Quattro mesi di blocco, nuovo report dell’Ombudsman dell’Artsakh sulla grave situazione

122 giorni, quattro mesi. Dal 12 dicembre 2022, l’Azerbaigian sta bloccando la strada per il corridoio di Lachin (Berdzor), unico collegamento tra l’Artsakh (Nagorno Karabakh) e l’Armenia ovvero il resto del mondo.
La situazione diviene ogni giorno più critica. Di seguito riportiamo le informazioni diffuse dall’Ufficio dell’Ombudsman dell’Artsakh che integrano un precedente rapporto del 21 marzo da noi pubblicato nella traduzione italiana.

• Il movimento delle persone in transito sulla strada Stepanakert-Goris (lungo il corridoio Lachin) è diminuito di circa 183 volte (1.638 ingressi e partenze invece di 298.900);

• Il traffico automobilistico su strada è stato quasi 48 volte inferiore a quello che avrebbe dovuto essere in assenza di blocco (2.362 entrate e partenze di auto, effettuate solo dalla Croce Rossa e dalle forze di pace russe, invece di 112.240);

• È stato importato circa 12 volte meno carico vitale rispetto a quello che avrebbe dovuto essere in assenza di blocco (4.089 tonnellate invece di 48.800 tonnellate);

• Un totale di circa 3.900 persone, tra cui 570 bambini, non hanno potuto rientrare nelle loro case a causa del blocco;

• A causa della sospensione degli interventi programmati, circa 1060 cittadini hanno perso la possibilità di risolvere i propri problemi di salute attraverso gli interventi;

• L’Azerbaigian ha interrotto in tutto o in parte la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh per un totale di 56 giorni;

• La fornitura di energia elettrica dall’Armenia all’Artsakh è stata completamente interrotta per 93 giorni, il che ha portato all’introduzione di blackout continui seguiti da numerosi incidenti;

• Secondo stime preliminari, circa 10.300 persone hanno effettivamente perso il posto di lavoro e le fonti di reddito (compresi i casi di mantenimento del posto di lavoro), che rappresentano oltre il 50% del totale degli occupati del settore privato;

• L’interruzione delle forniture di gas ed elettricità ha portato a un disboscamento non pianificato: sono stati tagliati circa 7.400 alberi in più, il che, a sua volta, creerà ulteriori problemi a lungo termine in termini di garanzia di un ambiente sano;

• L’economia del Paese ha subito perdite per circa 230 milioni di dollari

• È stata interrotta la costruzione di 32,6 km di strade, decine di chilometri di acquedotti, sistemi di irrigazione per migliaia di ettari di terreno, 3.717 appartamenti, più di 40 infrastrutture sociali e industriali;

• Un numero di violazioni dei diritti è più pronunciato nel caso di gruppi vulnerabili, in particolare 30.000 bambini, 9.000 persone con disabilità, 20.000 anziani, 60.000 donne (donne e ragazze) e 15.000 sfollati.

Oltre alle continue e molteplici violazioni delle disposizioni della Dichiarazione Tripartita del 9 novembre 2020, l’esecuzione obbligatoria della decisione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) delle Nazioni Unite (ONU) riguardo l’obbligo di garantire l’ingresso e la partenza senza ostacoli di persone, auto e merci lungo il corridoio di Lachin ormai da 50 giorni consecutivi non è stato attuata dall’Azerbaigian che ancora una volta calpesta i più alti valori e principi internazionali.
Di conseguenza, la comunità internazionale ha non solo il diritto, ma anche l’obbligo indiscutibile di attuare la decisione della Corte Suprema Internazionale di Giustizia con mezzi pratici il prima possibile e di prevenire futuri crimini azerbaigiani, compreso il nuovo crimine pianificato e brutale contro l’umanità.

Tutte le violazioni dell’Azerbaigian contro il popolo dell’Artsakh sono effettuate nell’ambito della sua politica statale di discriminazione razziale (Armenofobia) e sono profondamente dirette contro il suo diritto all’autodeterminazione e il fatto della sua realizzazione, volto a risolvere definitivamente il conflitto a loro vantaggio attraverso la pulizia etnica basata sulla logica del “niente popolo, niente diritti”.

La sistematica e coerente politica di odio etnico perseguita dall’Azerbaigian, che si è manifestata sia durante l’aggressione contro il popolo dell’Artsakh nel 2020 sia dopo l’istituzione del regime di cessate il fuoco, dimostra indiscutibilmente che qualsiasi status di Artsakh all’interno dell’Azerbaigian equivale alla pulizia etnica dell’Artsakh e il genocidio degli armeni dell’Artsakh. Pertanto, nel contesto del conflitto dell’Artsakh, il diritto all’autodeterminazione equivale al diritto delle persone a vivere nella propria patria.

Il diritto fondamentale all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh, così come le invasioni e le minacce dell’Azerbaijan contro la sua esistenza fisica sulla base della discriminazione razziale sono motivi più che sufficienti per la protezione del popolo dell’Artsakh da parte della comunità internazionale, come nonché il riconoscimento internazionale della Repubblica dell’Artsakh basato sul principio del “riconoscimento correttivo”.