Elezioni in Azerbaigian: il grande imbroglio

Oggi è giornata elettorale in Azerbaigian: si vota per la carica di presidente della repubblica e l’unica incertezza è solo quella di sapere se i risultati (ovviamente “aggiustati”) proclameranno l’uscente Aliyev vincitore con più o con meno del 90%.

L’autocrate leader ha imposto elezioni anticipate, si sarebbero dovute tenere il prossimo anno, per sfruttare l’onda lunga della vittoria in guerra e della conquista del Karabakh (Artsakh) e provare a dimostrare che l’Azerbaigian è una nazione democratica, circostanza questa alla quale non crede più nessuno.

Corre praticamente da solo, visto che gli altri sei candidati (sui 16 che inizialmente si erano proposti) non hanno alcuna speranza non solo di vincere ma neppure di guadagnare un consenso a doppia cifra. Se ciò accadrà sarà solo per far vedere che Aliyev si è imposto sulla “concorrenza”.

Un disoccupato, quattro deputati di un parlamento dove non esiste opposizione, un politico: tutti ben attenti nella campagna elettorale (noiosa e durata solo tre settimane) a non disturbare il padre-padrone del Paese, addirittura lodato per i suoi successi in guerra contro gli armeni. E non si capisce perché un elettore non dovrebbe votare per il presidente uscente se perfino i suoi avversari lo incensano.

Nonostante il successo scontato, Aliyev non si è fatto mancare nulla: terrorizzato da possibili colpi di coda di una società che non si accontenta più delle battaglie ma vuole un sistema sociale diverso e (forse) la democrazia, il dittatore azero ha messo a tacere le pochissime voci ancora libere. Da novembre, da quando cioè sono state annunciate le elezioni anticipate, sono undici i giornalisti arrestati. E questo la dice lunga sul dibattito pubblico in un Paese che risulta tra i peggiori al mondo per tutela dei diritti civili e politici.

Un altro dei possibili motivi per i quali Aliyev ha deciso di anticipare il suo plebiscito alle urne potrebbe essere quello di dimostrare che in Karabakh quasi nessuno della popolazione armena è andato a votare: logica conseguenza della pulizia etnica generata dall’ultima aggressione dello scorso settembre ma che potrebbe essere a pretesto per spingerlo a negare qualsiasi ipotesi a un ritorno agli sfollati con il pretesto del mancato esercizio del diritto elettorale.

Aliyev vincerà (magari questa volta avranno il buon gusto a Baku di non annunciare la vittoria il giorno prima come accaduto un paio di elezioni fa…) e governerà come è abituato a fare: in carica dal 2003, succeduto al padre (che aveva rovesciato con un colpo di Stato il predecessore Elcibay e si era riciclato dal Partico Comunista) e con la moglie come vicepresidente. Si è modellato la costituzione a suo piacimento, prima rimuovendo il limite dei due mandati e poi portando la durata degli stessi da cinque a sette anni.

Si è dunque assicurato il diritto di essere presidente a vita in un Paese dove il controllo della polizia e dei servizi segreti è ferreo e nessuna voce contraria è tollerata. Quando si sarà stufato cederà lo scettro alla moglie, Mehriban Aliyeva che ha tre anni meno di lui, oppure a uno dei figli (Leyla 38 anni, Arzu 35 e Heydar 27).

Insomma, il popolo azero per molto tempo ancora dovrà sottostare alla famiglia Aliyev. A meno che, come accaduto a tanti altri regimi anche in passato, qualche ingranaggio si rompa…