Trump ignorerà la visita del presidente del Nagorno Karabakh?

In occasione della visita a Washington del presidente Sahakyan, l’ex ambasciatore USA in Armenia, John Evans, ha pubblicato un interessante articolo sul magazine “National interest” che qui riprendiamo nella traduzione italiana

E’ tempo per la comunità internazionale di dare il benvenuto alla repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh nella comunità delle nazioni

Nel 451 d.C., i guerrieri armeni, avendo appena perso una feroce battaglia con il più forte impero persiano, si ritirarono nelle foreste di Artsakh nel Caucaso meridionale. Avevano perso la guerra, ma avevano conservato la loro fede cristiana e quindi la consideravano una vittoria. L’Armenia fu la prima nazione ad abbracciare il cristianesimo, nell’anno 301.

Nel 2018, una piccola ma decisa repubblica democratica armena, la Repubblica del Nagorno Karabakh (o “Artsakh”, come la chiamano gli armeni) sta tentando di sopravvivere, minacciata da un potere militarmente superiore che vuole schiacciarlo.

Questa settimana, il presidente dell’Artsakh, democraticamente eletto, Bako Sahakyan, visiterà Washington. Non sarà ricevuto dall’amministrazione, in parte perché gli Stati Uniti tacciono sulla questione se l’Artsakh debba alla fine essere indipendente dall’Azerbaigian, a cui è stato assegnato da Josef Stalin nel 1921. Washington non riconosce l’Artsakh – in effetti nessun Paese ancora lo ha fatto – ma il predecessore del presidente Sahakyan che ha visitato [gli Stati Uniti, NdT] nel 1999 e nel 2002 ha incontrato funzionari del Dipartimento di Stato a livello operativo, e c’è un rappresentante non ufficiale del Nagorno-Karabakh/Artsakh residente a Washington. Per questa visita, Sahakyan dovrà accontentarsi degli incontri al Campidoglio e un pranzo privato al Centro per l’Interesse Nazionale.

Insieme a Francia e Russia, gli Stati Uniti hanno tentato di mediare la disputa tra Azerbaigian e Nagorno Karabakh per più di venti anni. Sebbene i colloqui, sponsorizzati dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, non abbiano ancora prodotto un accordo, nel frattempo il popolo del Karabakh ha costruito una fiorente democrazia basata su principi di mercato, elezioni libere ed eque e rispetto dei diritti umani. Un fragile cessate il fuoco raggiunto nel 1994 sotto gli auspici russi è stato palesemente violato nell’aprile 2016 quando le truppe azere hanno tentato di invertire la vittoria ottenuta nei primi anni ’90 dagli armeni del Karabakh in lotta per il loro diritto all’autodeterminazione mentre l’Unione Sovietica iniziava a crollare. Il Nagorno Karabakh non ha mai fatto parte del moderno Azerbaigian se non come parte dell’URSS, quando era una regione autonoma, con il diritto di secessione. Né faceva parte dell’Azerbaigian di breve durata che esistette per poco tempo prima dell’istituzione del potere sovietico nel Caucaso meridionale [la repubblica democratica di Azerbaigian del 1918, NdT].

La guerra di quattro giorni del 2016 ha cambiato tutto. È stata una campagna brutale lanciata nel cuore della notte su più settori della linea di contatto che divide le forze armene e azere. Si ebbero circa quattrocento perdite prima che un traballante cessate il fuoco fosse ripristinato. Le forze azere hanno compiuto atrocità multiple, tagliando le orecchie a un’anziana coppia armena, torturando e mutilando i corpi di soldati armeni e, in almeno un caso, decapitandoli, in stile ISIS. Queste atrocità – circa ventotto – sono state documentate dal Difensore civico per l’Artsakh e riportate alla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il blitzkrieg (la guerra lampo, NdT) ha distrutto la poca fiducia che gli armeni di Artsakh potevano aver avuto nei colloqui di pace e nelle intenzioni di Baku nei loro confronti, che alcuni osservatori dicono equivalevano al genocidio.

Come ho visto con i miei occhi quando ho visitato a luglio dopo la guerra di aprile 2016, il popolo e le autorità de facto della Repubblica del Nagorno-Karabakh hanno costruito una democrazia funzionante pur essendo “non riconosciuta” dal mondo. Hanno dimostrato tutte le peculiarità di uno stato delineato nella Convenzione di Montevideo tranne l’ultimo: la capacità di condurre relazioni Stato-Stato. In effetti, hanno la capacità; è solo l’opportunità che è stata loro negata. L’Azerbaigian punisce chiunque visiti il ​​Karabakh senza il suo consenso, così il cantante d’opera Monserrat Caballé, il celebre cuoco Anthony Bourdain, l’editorialista del Washington Post David Ignatius e molti altri sono ora nella “lista nera” di Baku. A titolo informativo: sono su questa lista io stesso.

Secondo gli esperti di diritto internazionale che si sono incontrati di recente a Bruxelles per discutere la questione, il diritto all’autodeterminazione supera il principio dell’integrità territoriale, che può essere invocato solo “esternamente”, cioè in difesa dello stato contro minacce esterne, ma non per contrastare i diritti di una minoranza interna che cerca di esercitare i suoi diritti. Lasciando da parte il fatto che il Nagorno Karabakh si è separato legalmente dall’URSS nello stesso momento in cui l’Armenia e l’Azerbaigian lo hanno fatto, non c’è dubbio che il conflitto con il governo di Baku sia iniziato come un conflitto interno. È anche vero che l’Armenia è venuta in aiuto dei suoi cugini in Artsakh, così come gli armeni della California e di tutto il mondo. E va detto che l’autodeterminazione può talvolta essere esercitata all’interno di uno stato, come il Quebec ha scelto di fare in Canada. Ma quando lo stato “genitore” esercita la violenza contro ciò che considera i suoi cittadini, rinuncia al suo diritto di dominarli, e allora sorge la questione di ciò che è stato definito “secessione correttiva“. Come ci ricorda il professor Paul Williams dell’American University Washington College of Law, sono circa settanta movimenti attivi di autodeterminazione nel mondo di oggi. Questi conflitti, sottolinea, sono “mortali, durevoli e destabilizzanti”. Essi tendono a durare, in media, circa trenta anni. Ma come sottolinea un altro esperto di diritto internazionale, Alfred de Zayas, l’autodeterminazione è una forma di democrazia e dovrebbe essere vista come un fattore di stabilità a lungo termine.

È tempo che la comunità internazionale dia il benvenuto alla Repubblica del Nagorno-Karabakh-Artsakh nella comunità delle nazioni. Come ha affermato il vice ministro degli esteri dell’Artsakh, Armine Aleksanyan, di recente al Parlamento europeo, “il Karabakh è un paese, non un conflitto“. Il popolo di Artsakh vuole solo vivere la propria vita in pace e libertà. Anche se lo status della Repubblica di Artsakh non è stato ancora definitivamente determinato, il popolo dell’Artsakh possiede e dovrebbe godere degli stessi diritti di tutti noi e non dovrebbe essere messo in quarantena dal resto dell’umanità.

John Evans è un funzionario degli Stati Uniti in pensione che ha prestato servizio come ambasciatore nella Repubblica di Armenia nel periodo 2004-2006.

titolo originale dell’articolo: “Will Trump ignore a visit from the President of Nagorno Karabakh?” di John Evans, 11 marzo 2018

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(grassetto del testo a cura della redazione di Karabakh.it)