Da alcuni anni la diplomazia azera è particolarmente attiva nella sua propanda su Khojaly. Come abbiamo già evidenziato (LEGGI QUI) la grancassa mediatica (alla quale si prestano anche italici servi sciocchi o marchettari di basso lignaggio…) è servita e serve solo a coprire l’orrore del pogrom anti armeno di Sumgait.

I pogrom di armeni a Sumgait nel febbraio del 1988 hanno il dubbio onore di essere stati la prima pulizia etnica attuata in quello che era ancora spazio sovietico.

A una serie di dimostrazioni pacifiche di armeni che desideravano decidere le loro proprie vite, il proprio futuro, non nell’ambito della giurisdizione dell’Azerbaigian, il governo azero rispose con la violenza e la repressione

L’esempio più violento e più manifestatamente politico di questa risposta sono proprio i massacri che ebbero luogo per tre giorni nel febbraio del 1988 nella città di Sumgait, a molti chilometri di distanza dal territorio del Nagorno Karabakh.
La violenza contro gli armeni a Sumgait ha invero cambiato la natura del conflitto del Karabakh militarizzandolo.

Non c’era alcun rifugiato ed alcuna questione territoriale quando il popolo del Nagorno Karabakh intraprese tutte le necessarie azioni legali al fine di optare per l’auto-determinazione in conformità con la legislazione del tempo. La risposta fu un’aggressione militare. E’ molto significativo che un governo sovrano abbia risposto ad azioni democratiche dei propri cittadini con l’uso delle armi. Inoltre, la violenta risposta militare non fu nemmeno diretta contro la popolazione del Nagorno Karabakh, (almeno in un primo momento), ma contro gli armeni di Baku e Sumgait, chilometri lontano dal territorio e dalla popolazione del Nagorno Karabakh.

I massacri di armeni a Sumgait (una città situata a mezz’ora di auto dalla capitale dell’Azerbaigian, Baku) si svolsero in pieno giorno, testimoniati da numerosi attoniti passanti. Il picco delle atrocità commesse da azeri fu raggiunto il 27-29 febbraio 1988. Gli eventi furono preceduti da una ondata di dichiarazioni anti-armene e manifestazioni che attraversarono l’intero’Azerbaigian nel febbraio del 1988.

Il quotidiano “Izvestia Daily” (20 agosto 1988) cita il vice procuratore sovietico Katusev che ha detto che quasi tutta l’area di Sumgait, una città con popolazione di 250.000 abitanti, era diventato un luogo di libero pogrom di massa. Gli autori materiali che fecero irruzione nelle case degli armeni erano stati aiutati da liste preparate con i nomi dei residenti. Erano armati con sbarre di ferro, pietre, asce, coltelli, bottiglie e taniche piene di benzina. Secondo testimoni, alcuni appartamenti sono stati perquisiti da gruppi da 50 a 80 persone. Simili folle (fino a 100 persone) hanno preso d’assalto le strade.

Ci furono dozzine di incidenti e 53 assassinati – la maggior parte di quelli bruciati vivi dopo essere stato aggrediti e torturati. Centinaia di persone innocenti furono ferite e rese invalide. Molte donne, tra le ragazze adolescenti, furono violentate. Più di duecento appartamenti furono perquisiti, decine di auto bruciate, numerosi negozi e botteghe saccheggiate. I manifestanti scagliarono mobili, frigoriferi, televisori, letti dai balconi e poi li bruciarono. Il risultato diretto e indiretto di questi orrori furono decine di migliaia di profughi.

Queste furono le perdite umane. Politicamente, è stato più orribile e significativo che né la polizia né gli addetti alla pubblica emergenza interferirono. Il testimone S. Guliev descrisse gli eventi: “La polizia ha lasciato la città in balia della folla. Non era in nessun posto. Non ho visto alcun poliziotto in giro...” 
In tribunale, il testimone Arsen Arakelian raccontò la malizia dei medici dell’ambulanza che non vennero per aiutare la madre sofferente di una commozione cerebrale, con le ossa rotte, emorragie e bruciature, né lasciarono che venisse portata in ospedale.

L’esercito arrivò a Sumgait il 29 febbraio. Tuttavia, si è limitò a fare scudo contro i manifestanti che devastavano e lanciavano pietre contro i soldati e fece poco per proteggere gli Armeni.”Noi non abbiamo istruzioni per andare dentro”, fu ‘risposta dei soldati alle richieste di aiuto delle vittime, secondo la testimonianza di S. Guliev.

Quanto accaduto a Sumgait (e poi a Baku e Kirovabad) fa parte della storia e non può essere negato. Il regime azero cerca però di nascondere questo crimine e, negli anni, ma in particolare negli ultimi, ha montato controstorie che, grazie a generose prebende, riescono ad avere anche una qualche risonanza mediatica.

Ma l’orrore del febbraio 1988 non potrà certamente essere dimenticato!

PER SAPERNE DI PIU’:

S. Shahmuradian, “La tragedia di Sumgait” (Guerini e associti)

Sito in lingua italiana sul massacro di Sumgait

Ruben Vardanyan, che è stato dismesso oggi dalla carica di ministro di Stato dell’Artsakh, ha rilasciato una lunga lettera aperta nella quale parla, appassionatamente, dei 112 giorni del suo mandato. Con riconoscenza per l’incarico ricevuto quattro mesi fa, con grande amore per la patria ma anche con qualche stilettata per comportamenti che non giudica consoni alle circostanze in cui versa l’Artsakh a causa del blocco azero. Ecco il testo del suo intervento:

“Lavorerò qui, starò al tuo fianco. Grazie, signor Presidente, per tutto. Anche se abbiamo delle contraddizioni nei diversi approcci, l’idea generale è che abbiamo “linee rosse” che nessuno dovrebbe oltrepassare. Queste linee rosse sono molto importanti per la nostra dignità, al fine di mantenere Artsakh armeno, indipendente e dignitoso. Sono fiducioso che insieme supereremo questa strada”, ha detto.

Prima di tutto, vi ringrazio per il modo in cui siamo passati insieme e per la fiducia che il signor Presidente ha riposto in me. È stata una grande esperienza per me.

Sai che vengo in Artsakh da decenni, avevo ottimi contatti, ma all’inizio di settembre ho dichiarato di essere venuto perché sentivo che ci trovavamo sull’orlo di un precipizio, non pienamente consapevoli della situazione.

Per me era Sardarapat [battaglia fondamentale per la stessa esistenza del popolo armeno dopo il genocidio, NdR]

Quando dico Sardarapat, capisco la crisi, un’agenda diversa, e mi percepisco come un soldato che fa tutto il necessario per salvare la nostra patria. Quindi, quando ho ricevuto questo invito, è stato inaspettato per me, perché mi ero dato la mia parola che non sarei entrato nel governo, ma ho capito che se sono un uomo di parola, andando a difendere la mia patria, non posso non essere “voglio, non voglio, posso, non posso”. Se deve essere fatto, allora deve essere fatto.

È stata, ovviamente, una decisione difficile per me.

D’altra parte è stato facile, perché ho deciso da solo che ero qui, sarei rimasto, non sarei andato da nessuna parte, e se fossi stato necessario in questa direzione, allora avrei lavorato in questa direzione, se potessi essere utile in patria in un’altra direzione, lavorerei in un’altra direzione.

Da questo punto di vista, potrebbe essere più facile per me sia accettare la posizione sia rinunciarvi. Siamo in guerra e abbiamo dovuto lottare in quella direzione, spero che la mia lotta ci abbia in qualche modo aiutato a superare insieme queste difficoltà.

Devo rispondere ad alcuni punti di discussione.

Primo, perché non mi sono dimesso. Voglio essere chiaro: pensavo di essere un soldato, non posso dimettermi. Se necessario, il Comandante in Capo Supremo dovrebbe sollevarmi dal mio incarico.

In secondo luogo, sono sicuro che abbiamo svolto un lavoro molto importante in un periodo molto difficile, e voglio ringraziare tutte le persone che hanno lavorato in questa difficile crisi, dalle 7 del mattino alle 2 di notte, senza luce e gas, dimostrando che, come squadra, sono pronti a tutto. È stata un’esperienza molto importante per me, per la quale sono molto grato.

Terzo, c’era davvero molta pressione dall’esterno. Il signor Presidente ha più informazioni e comprende la situazione. Ma abbiamo un mondo esterno e un mondo interno. Mi è sembrato che la pressione dall’esterno non ci aiuti internamente ad avere una situazione tale da farci sentire in grado di combattere più duramente quella pressione. Ho presentato al signor Presidente il lavoro del Governo in 110 giorni, e sono pronto a presentarlo al pubblico in modo più dettagliato.

Per fare il lavoro, devi prima redigere un piano, avere uno schizzo, gettare le fondamenta, costruire i muri interni. Abbiamo compiuto passi in varie direzioni, che, ovviamente, in condizioni di crisi erano difficili, ma siamo felici di trasmettere i risultati del lavoro svolto al signor Nersisyan e speriamo che continui a lavorare su queste direzioni.

So che c’è una certa pressione su di me per rimanere in Artsakh, ma vorrei sottolineare che non solo non me ne andrò, ma non riesco a immaginarmi fuori dall’Artsakh. Sono felice di continuare il lavoro che ho fatto prima. La nostra fondazione, l’agenzia “We Are Our Mountains” ha già realizzato molti progetti. Vorrei dire che è stato un esempio molto importante di cooperazione tra Stato e settore privato, Armenia, Diaspora e ONG armene e non armene. Penso che sia molto importante perché se parliamo di futuro, è molto importante che questa cooperazione continui.

Continueremo i nostri sforzi e faremo un ottimo lavoro affinché quanti più armeni possibile vengano in Artsakh, in modo che non solo gli armeni in Artsakh non si sentano soli, ma anche coloro che hanno lasciato l’Artsakh in tempi diversi, durante questa crisi, tornino e rafforzare ancora di più la nostra Patria.

Come ho già accennato, abbiamo problemi finanziari e gestionali, oltre al problema della preparazione al prossimo inverno. Durante questo periodo abbiamo acquisito molta esperienza, abbiamo compreso le nostre carenze e abbiamo registrato le carenze in quali aree di lavoro sono state svolte. È molto importante trarre insegnamenti da tutto ciò e fare di tutto affinché queste carenze non si ripetano né in termini di cibo, né di carburante, né in termini di altri problemi. Abbiamo un’idea molto migliore della situazione ora rispetto a prima del blocco.

Più importante delle questioni finanziarie, gestionali e di altro tipo era il fatto che l’Azerbaigian, che sperava di metterci in ginocchio, di spezzarci, si sbagliava crudelmente. L’Azerbaigian ha visto che siamo diventati più uniti

E anche l’indifferenza è scomparsa. In effetti, è stato molto incoraggiante sentire persone in diverse comunità dire: siamo pronti a resistere senza gas e luce, solo non tradirci e continuiamo a combattere.

In effetti, la tua responsabilità di presidente, che è stato eletto quattro mesi prima della guerra, è molto pesante, ti trovi in una posizione molto difficile, avendo portato questo fardello per così tanto tempo.

Dico con sicurezza che per avere successo, l’approccio deve essere sistemico. Se non costruiamo un sistema, se non mettiamo in atto meccanismi trasparenti e coerenti, è molto difficile raggiungere il successo.

L’argomento della discussione è anche che nessun individuo è più importante della nostra patria.

Anche la fiducia è molto importante; Spero che la nostra parola, infatti, non abbia perso il suo valore. Ho rivisto i suoi discorsi prima della guerra: erano discorsi molto brillanti, profondi, signor Presidente. Sono sicuro che ti rifarai alle tue parole anche adesso. Vorrei solo che trasformassi le tue parole in fatti. È molto importante che le persone non perdano la fiducia in queste parole.

Mi dispiace, ma a volte non possiamo davvero dire quello che vogliamo dire, o dobbiamo ricorrere alle allegorie. Tuttavia, le persone devono credere alle nostre parole e alle nostre azioni.

Come qualcuno che non ha lavorato nel sistema governativo fino a questi 112 giorni, mi sono reso conto che la maggioranza in Artsakh sono dipendenti pubblici dedicati. In ogni caso, le sfide esistenti non possono essere superate solo dagli sforzi del governo.

I problemi che abbiamo nelle sfere finanziaria, della sicurezza e dell’identità richiedono una cooperazione molto seria; quindi, spero che ne capiremo l’importanza quando cercheremo di utilizzare il potenziale della diaspora.

Il campo politico ha le sue leggi ed è possibile che se non fossimo in un blocco, guarderemmo tutto questo in modo diverso.

La cosa più difficile per me è che non sono riuscito a dimostrare e spiegare due cose: che questa non è una situazione normale e che la crisi ha le sue leggi. Questa è stata probabilmente una delle mie più grandi omissioni.

L’altra difficoltà è stata che non sono riuscito a spiegare che la lotta significa che dobbiamo capire ogni giorno quali sono i nostri punti deboli e i nostri punti di forza, come dobbiamo rafforzare la nostra posizione, come dobbiamo essere in grado di utilizzare le nostre risorse limitate.

La nostra lotta è sia nell’economia che nel campo dell’informazione. Questi 112 giorni hanno portato cambiamenti, che inevitabilmente hanno mostrato una nuova situazione, un nuovo Artsakh.

Da una parte eravamo tutti sulla stessa barca, e quella barca ci univa tutti. Ma d’altra parte, abbiamo visto gli esempi inaccettabili di cui parlavo, che alcune persone non hanno questa comprensione dell’inaccettabile, quando, per esempio, in una situazione di crisi mandi frutta e verdura a funzionari di alto rango, essendo un tu stesso funzionario di alto rango… La questione non è che sia un male. Il problema è che di quelle poche decine di persone, solo poche persone lo hanno rispedito indietro, trovando il fenomeno in sé inaccettabile. Mi dispiace che portare ananas o rose durante un blocco sia considerato normale, ma ovviamente so che il numero di queste persone è piccolo. Non è quello che hanno fatto che mi preoccupa molto di più, è quello che pensiamo sia normale. In secondo luogo, non esisteva alcun meccanismo per punire. Il signor Nersisian e io abbiamo discusso ampiamente di questo problema: cosa dovrebbe essere punito in questa situazione e cosa no.

Il mio approccio può essere stato molto duro, ma non me ne pento. Di recente ho letto il libro di Nzhdeh: è stato interessante vedere che 100 anni fa Nzhdeh scriveva della stessa cosa. Vorrei leggere un piccolo estratto dalle sue memorie: “Il destino degli armeni sarebbe stato diverso se i loro capi, invece di divorarsi a vicenda, avessero dichiarato guerra alle loro mancanze”. Io stesso so che non ero un leader perfetto, ho commesso degli errori, ma ero sincero, ero un patriota, pretendevo di più da me stesso che dagli altri.

Signor Presidente, voglio dire che siamo felici qui perché abbiamo una nazione fantastica. Questa nazione ha dimostrato di poter sopportare qualsiasi cosa, è pronta a combattere, pronta a seguirci ed è davvero un grande onore che io abbia avuto l’opportunità e comunicando con queste persone ho capito quanto sono forti gli Artsakhi, ho capito la differenza tra gli artsakiani e gli armeni che vivono in altri luoghi. Questo è molto stimolante.

Sono fiducioso che possiamo superare la strategia del “salame” applicata dall’Azerbaigian, che è molto pericolosa. Sono sicuro che non solo una persona, o il Consiglio di sicurezza, o poche centinaia di persone dovrebbero avere il diritto di scegliere la strada, ma l’intero popolo dovrebbe prendere una decisione molto dura e responsabile, di cui abbiamo parlato prima del blocco, durante il blocco e durante la manifestazione.

Siamo tutti esseri umani che hanno i nostri difetti. Spero che se avrò offeso qualcuno senza rendermene conto sarò perdonato, se non ho fatto qualcosa o fatto qualcosa sono pronto ad ascoltare sia le critiche che i consigli, perché ho sempre imparato dagli altri”.

[Traduzione e grassetto redazionali]

Doppia sconfitta per l’Azerbaigian davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (Tribunale internazionale dell’Aja, organo giudiziario delle Nazioni unite) che ha accolto il ricorso dell’Armenia e respinto quello di Baku contro Yerevan.

Nella prima sentenza, i giudici (tredici e due) hanno statuito che l’Azerbaigian adotti tutte le misure in suo possesso per consentire la libera circolazione di uomini e merci lungo la strada del corridoio di Lachin che gli azeri bloccano dallo scorso 12 dicembre isolando di fatto 120.000 armeni dell’Artsakh (Nagorno Karabakh).

L’istanza contraria sollevata dal procedimento azero contro l’Armenia è stata bocciata all’unanimità.

Di fronte a tale condanna ora tutti si interrogano se il regime di Aliyev ottemperà a quanto indicato dai giudici dell’Onu oppure farà spallucce disinteressandosi del provvedimento e proseguendo con il blocco criminale che sta portatndo la popolazione della regione in piena crisi umanitaria.

Il “partner affidabile” dell’Unione europea disarrenderà la sentenza o aprirà finalmente la strada ripristinando il diritto alla vita della popolazione?

IL TESTO DELLE DUE DECISIONI DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

“L’AIA, 22 febbraio 2023.
La Corte internazionale di giustizia, organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite, ha emesso oggi il suo Ordine sulla Richiesta di indicazione di misure provvisorie adottate dalla Repubblica di Armenia nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (Armenia c. Azerbaigian).

Nella sua Ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte indica il seguente provvedimento provvisorio:

Con tredici voti contro due,
la Repubblica dell’Azerbaigian, in attesa della decisione finale del caso e in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di razzismo, discriminazione, adotti tutte le misure a sua disposizione per garantire la circolazione senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio Lachin in entrambe le direzioni.

FAVOREVOLI: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abramo, Bennouna, Xue, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudice ad hoc Daudet;

CONTRO: Giudice Yusuf; Giudice ad hoc Keith”z

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“L’AIA, 22 febbraio 2023.
La Corte internazionale di giustizia, organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite, ha emesso oggi il suo Ordine sulla Richiesta di indicazione di misure provvisorie adottate dalla Repubblica dell’Azerbaigian nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (Azerbaigian c. Armenia).

Nella sua ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte:

All’unanimità,
respinge la richiesta di indicazione di misure cautelari presentata dalla Repubblica di Azerbaigian il 4 gennaio 2023″

Il ministero degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) ha rilasciato un comunicato in occasione del 35° anniversario dell’inizio della lotta di liberazione. Questo il testo:

La Repubblica dell’Artsakh (Repubblica del Nagorno Karabakh) celebra oggi il 35° anniversario dell’attuale fase della lotta di liberazione nazionale degli armeni dell’Artsakh – Movimento del Karabakh, una lotta che incarnava l’aspirazione collettiva del popolo a ripristinare la giustizia storica, preservare l’identità nazionale e dignità, e realizzano pienamente il loro inalienabile diritto di vivere liberamente e svilupparsi nella loro patria. In risposta alle decennali politiche discriminatorie dell’Azerbaigian, il popolo dell’Artsakh ha raccolto tutta la sua volontà e si è mobilitato per l’idea della rinascita dell’Artsakh e della riunificazione con l’Armenia.

35 anni fa, il 20 febbraio 1988, si tenne una sessione straordinaria del Consiglio dei deputati del popolo dell’NKAO, che decise di presentare una petizione ai Soviet Supremi della SSR dell’Azerbaigian e della SSR armena per trasferire la regione autonoma dall’Azerbaigian all’Armenia. La questione del trasferimento del Nagorno Karabakh all’Armenia è stata sollevata in modo democratico, parlamentare, sulla base della volontà del popolo, in stretta conformità con la legislazione sovietica allora in vigore e con le norme generalmente riconosciute del diritto internazionale.

La decisione della sessione, che ha confermato il diritto del popolo dell’Artsakh a decidere del proprio destino, ha segnato la fase attuale del Movimento del Karabakh e ha predeterminato le prospettive di sviluppo socio-politico del Nagorno Karabakh. Essa, infatti, è diventata l’antesignana della Dichiarazione di Indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh, adottata il 2 settembre 1991, sotto le nuove realtà storiche e politiche create dal crollo dell’Unione Sovietica, e ha segnato l’inizio del percorso verso la indipendenza statale dell’Artsakh.

Questo atto di espressione di volontà a livello nazionale da parte del popolo dell’Artsakh è stato giustamente considerato una garanzia affidabile contro la politica di discriminazione della popolazione etnica armena perseguita per decenni dall’Azerbaigian, che alla fine avrebbe dovuto portare alla sua completa distruzione. Gli eventi successivi hanno confermato la legittimità e la correttezza della scelta storica del popolo dell’Artsakh. Solo una settimana dopo la sessione del Consiglio regionale, le autorità azere hanno organizzato brutali pogrom e omicidi di armeni a Sumgait e in altre città dell’Azerbaigian e, con il crollo dell’Unione Sovietica, hanno scatenato una guerra su vasta scala contro l’Artsakh. La politica criminale delle autorità di Baku, finalizzata alla distruzione del popolo dell’Artsakh, non è cambiata nemmeno decenni dopo. Ciò è dimostrato dalle aggressioni militari del 2016 e del 2020, dal terrorismo di stato in corso contro il popolo dell’Artsakh, nonché dal blocco dei trasporti e dell’energia della Repubblica che dura già da tre mesi.

Nonostante le incredibili difficoltà e prove, il popolo dell’Artsakh continua la lotta per la propria esistenza libera e indipendente nella patria storica, realizzando così il diritto dei popoli all’autodeterminazione, sancito dal diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite. Gli ultimi 35 anni hanno chiaramente dimostrato che il prerequisito più importante per risolvere i problemi nazionali è l’unità nazionale, il consolidamento delle forze morali e spirituali dell’Armenia, dell’Artsakh e della Diaspora, che rende possibile affrontare le sfide più gravi del tempo.

Attraverso molti anni di lotta per la dignità nazionale e il diritto di decidere liberamente il proprio destino nella propria patria storica, nonché la creazione di uno stato democratico e vitale, il popolo dell’Artsakh ha dimostrato di meritare il riconoscimento della propria indipendenza da parte della comunità internazionale .

In questo giorno memorabile, onoriamo la memoria di tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà e l’indipendenza dell’Artsakh e per ideali e valori universali.

[traduzione e grassetto redazionale]

Da due mesi l’Azerbaigian, ricorrendo ad azioni criminali e terroristiche, tiene sotto blocco circa 120.000 persone dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), con l’obiettivo di attuare la pulizia etnica nell’Artsakh. Il presidente di quest’ultimo, Arayik Harutyunyan, ha rilasciato un commento al riguardo.

“Questo blocco illegale contraddice tutte le norme del diritto internazionale e gli obblighi assunti dall’Azerbaigian, compresi quelli nell’ambito della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020.

Il blocco, basato sulla politica statale azera di odio razziale contro gli armeni, è onnicomprensivo: priva 120.000 cittadini dell’Artsakh dell’accesso naturale a cibo, energia, assistenza sanitaria e altri beni e servizi vitali, ed è, quindi, un grave, attacco deliberato e massiccio al diritto alla vita e ad altri diritti dei nostri compatrioti.

Dal 20 gennaio, per risolvere la grave carenza di cibo causata dal blocco, il governo dell’Artsakh è stato costretto a limitare l’accesso al cibo introducendo buoni: un chilogrammo di riso, grano saraceno, pasta, zucchero e olio vegetale a persona al mese, la cui portata sarà ampliata nel prossimo futuro.

L’Azerbaigian ha esacerbato la crisi umanitaria nell’Artsakh interrompendo le forniture di elettricità e gas in condizioni invernali rigide.
A causa di problemi con il riscaldamento e l’alimentazione, tutti gli asili, le scuole primarie e secondarie del Paese sono stati chiusi, privando circa 20.000 bambini e adolescenti del Paese dell’opportunità di ricevere un’istruzione. Anche il lavoro di molte imprese economiche è stato sospeso, lasciando disoccupati migliaia di cittadini.
La costruzione di circa 3.700 appartamenti e case destinati a persone sfollate con la forza dai territori occupati dall’Azerbaigian, così come altri lavori di costruzione, è stata interrotta.
Gli interventi chirurgici programmati nelle istituzioni mediche sono stati annullati, mettendo a repentaglio la salute e la vita di circa 600 cittadini.

Siamo grati al Comitato internazionale della Croce Rossa e alla missione di mantenimento della pace della Federazione Russa per i loro sforzi per garantire il trasferimento di circa 90 persone in condizioni di salute critiche in Armenia, per riunire decine di famiglie separate e per trasportare la quantità minima di cibo in Artsakh che ci permette di prevenire la carestia nel paese. Tuttavia, la situazione rimane insopportabile tra la grave carenza di cibo, medicine e altri beni di prima necessità, la continua interruzione delle forniture di gas ed elettricità, la separazione di migliaia di famiglie, il collasso dell’economia e altre condizioni di crisi.

Accogliamo con favore i chiari appelli delle autorità esecutive e legislative di molti Paesi, nonché delle organizzazioni internazionali, all’Azerbaigian affinché revochi immediatamente e incondizionatamente il blocco. Tali richieste e posizioni, tuttavia, sono inefficaci nelle condizioni di fanatica e odiosa intransigenza dell’Azerbaigian.

Questo è il motivo per cui la comunità internazionale deve agire, come ha fatto in altre regioni quando ci sono segnali premonitori di genocidio.

Facciamo appello principalmente alla Russia, agli Stati Uniti e alla Francia, che co-presiedono il Gruppo di Minsk dell’OSCE, nonché a tutti i membri della comunità internazionale, affinché adottino congiuntamente o individualmente misure efficaci per aprire la strada della vita dell’Artsakh e prevenire nuovi crimini.

In tale contesto, li esortiamo a imporre sanzioni contro tutti gli autori e sostenitori di crimini contro il popolo dell’Artsakh e lo stato dell’Azerbaigian, tra le altre sanzioni, vietando loro di entrare nei loro territori e congelando i loro beni mobili e immobili nelle loro Paesi.

Il tentativo di pulizia etnica da parte dell’Azerbaigian del popolo dell’Artsakh è conforme al concetto legale di crimini contro l’umanità (erga omnes). La sua prevenzione è un obbligo morale, legale e politico vincolante per tutti i firmatari della Carta delle Nazioni Unite.

Pertanto, è dovere di ogni membro della comunità internazionale fare del proprio meglio per proteggere il popolo dell’Artsakh e la sua vita dignitosa nella propria patria“.

Non deve essere difficile in Azerbaigian costruire fake news. Ne sanno qualcosa gli attivisti per i diritti umani, i giornalisti, gli oppositori al regime di Aliyev che vengono incarcerati con le scuse più banali: le più ricorrenti sono il “possesso di droga” o la “collusione con il nemico”.

Nessuno si è quindi sorpreso della reale natura dei “manifestanti per l’ambiente” che dal 12 dicembre hanno bloccato la strada che passa per il corridoio di Lachin e unisce il Nagorno Karabakh (Artsakh) all’Armenia. Due mesi di blocco, crisi umanitaria in corso e tentativo di pulizia etnica. Una “protesta” organizzata dal governo dell’Azerbaigian come peraltro ammesso anche dal suo stesso presidente.

La scusa iniziale erano le miniere (un paio) che all’improvviso sono diventate un problema per gli azeri: sfruttamento illegale (considerano l’Artsakh territorio loro) e inquinamento ambientale (chiudendo due occhi su quello vero sulle sponde del Caspio dove non si può protestare altrimenti si finisce in prigione).

A fine dicembre Stepanakert annuncia l’interruzione dell’attività di scavo nelle miniere. Fine della protesta? No, ovviamente, perché dalle miniere si passa alle mine (coincidenza, in inglese è la stessa parola, mine) che gli armeni avrebbero disseminato nel territorio, di qui la necessità di ispezionare tutti i carichi in transito sulla strada.

A giustificazione delle loro rivendicazioni, ecco produrre foto di mine made in Armenia e datate 2021. La prova certa della colpevolezza armena!

Peccato che quegli ordigni siano stati prelevati dagli azeri nel corso delle loro invasioni (da maggio 2021, fino all’ultima grave aggressione del settembre 2022) nel territorio sovrano della repubblica di Armenia. La difesa di Yerevan le aveva collocate lungo il confine con l’Azerbaigian (i territori ora occupati dagli azeri dell’Artsakh, Kashatagh e Karvachar) nel disperato (e vano) tentativo di arginare le incursioni del nemico.
Il quale, evitato l’ostacolo, ha utilizzato le mine per giustificare il blocco della strada e il suo tentativo di pulizia etnica.

Dalle miniere alle mine, il passaggio ortografico è breve ma il risultato è sempre lo stesso: fake!

Per Andranik Khachatryan, direttore della società “ArtsakhEnergo” che distribuisce energia elettrica in Artsakh (Nagorno Karabakh), sono settimane ancor più frenetiche del solito.
Ogni giorno deve cercare di far quadrare i conti, ovvero rifornire di elettricità i 120.000 armeni che popolanbo la regione.

Sono trascorsi infatti più di 20 giorni dal guasto (o più probabilmente, sabotaggio) dell’unica linea elettrica aerea ad alta tensione (110 kV) che alimenta l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) dall’Armenia. E gli azeri impediscono qualsiasi intervento di riparazione.

L’incidente dell’elettrodotto in ingresso ad Artsakh dall’Armenia è avvenuto il 9 gennaio, nella seconda metà della giornata, secondo i dati registrati dalle relative apparecchiature di ArtsakhEnergo, nella tratta Berdzor-Aghavno, al 30° km del linea aerea. Quella sezione è completamente sotto il controllo degli azeri; cioè, anche se il corridoio di Lachin venisse riaperto, gli specialisti armeni non possono avvicinarsi al luogo dell’incidente senza il permesso degli azeri.

Se gli azeri consentono agli specialisti armeni di avvicinarsi all’area, è possibile riparare i danni in poche ore.

Si capisce ora per quale motivo nello scorso agosto l’Azerbaigian impose – in violazione dell’accordo di tregua del novembre 2020 – lo slittamento più a sud del corridoio di Lachin: non solo per occupare Berdzor, Aghavno e Sos ma anche per avere pieno controllo sulla linea elettrica che arriva dall’Armenia. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

È difficile dire inequivocabilmente se l’incidente sia tecnico o il risultato di un intervento collaterale. Tenendo conto che gli azeri non ci hanno dato l’opportunità di eseguire lavori di riparazione dell’incidente per quasi un mese, ciò fa sospettare che ci è stato un intervento artificiale. Inoltre, l’incidente non ha avuto gravi conseguenze e può essere ripristinato in poche ore“, dice Andranik Khachatryan alla stampa.

Al momento l’elettricità viene fornita in Artsakh dalla centrale idroelettrica di Sarsang, ma la sua capacità è limitata, e se questa situazione persiste, sorgeranno seri problemi perchè il bacino idrico si svuoterà rapidamente e non vi sarà acqua per irrigare i campi in primavera (compresi quelli azeri…)

Per sopperire alla mancanza di corrente è stato fatto un programma di interruzioni di corrente: prima due ore al giorno, poi 4 ore, poi 6 ore salvo ulteriori incrementi se necessario.

E’ stata interrotta l’erogazione alle grandi aziende energivore e questo ha inevitabilmente una ricaduta sull’economia di tutto il Paese sia in termini economici che sociali; anche per le contemporanee interruzioni – sempre per sabotaggio azero – della fornitura del gas.

Ma questo è esattemente quello che il dittatore azero Aliyev vuole.

ARTSAKH RESISTI!

Ufficialmente sono 33 i prigionieri di guerra armeni detenuti illegalmente nelle carceri dell’Azerbaigian oltre due anni dopo la fine del conflitto.

Per il regime di Baku sono “terroristi“. Poichè i soldati armeni furono catturati alcune settimane dopo la fine della guerra in una vallata dell’Artsakh rimasta sotto il loro controllo e sfuggita all’operazione militare azera non vi è altro termine per l’Azerbaigian di definirli.
Altrimenti Baku dovrebbe ammettere un’operazione militare avvenuta dopo l’accordo di tregua del 9 novembre 2020 e restituire al controllo armeno il territorio nel quale si trovavano i soldati così come previsto dalle condizioni del suddetto accordo.
Quindi, le corti azere hanno processato questi soldati e condannati a pene detentive molto alte in palese, criminale, violazione delle convenzioni internazionali e del documento che ha posto fine alla guerra del 2020.

Ma oltre a questi ci sarebbero un’ottantina di soldati armeni mancanti, missing in action, di cui non si hanno più notizie.

Potrebbero essere stati uccisi in battaglia o anche dopo e i loro corpi mai restituiti; oppure potrebbero essere imprigionati da qualche parte, al di fuori dei procedimenti “legali”.

Oltre un centinaio di soldati che ventisette mesi dopo la fine del conflitto ancora non possono tornare a riabbracciare le famiglie, ammesso che siano ancora vivi.

Le istituzioni internazionali hanno ripetutamente invitato l’Azerbaigian a restituire i prigionieri di guerra ma senza ricevere alcun riscontro dal regime di Aliyev che l’altro giorno ha riconsegnato il corpo di un soldato armeno ucciso nell’attacco all’Armenia del 13 settembre: oltre quattro mesi dopo…

INTRODUZIONE

“Lo sterminio include l’inflizione intenzionale di condizioni di vita, tra l’altro la privazione di l’accesso al cibo e alle medicine, calcolato per provocare la distruzione di una parte della popolazione”.
(Statuto della Corte penale internazionale, articolo 7)

A partire dal 12 dicembre 2022, intorno alle 10:30, agenti del governo azero in borghese che si spacciavano per attori indipendenti, bloccavano l’unica strada che collega l’Artsakh (Nagorno Karabakh) all’Armenia e al mondo esterno – la statale Goris-Stepanakert – che attraversa il “corridoio di Lachin (Berdzor)” citato nella Dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020.

Con questo atto, l’Azerbaigian ha violato una delle disposizioni della citata dichiarazione firmata dai leader di Armenia, Azerbaigian e Russia, vale a dire il Punto 6: (…) “Il corridoio di Lachin (5 km di larghezza) che assicurerà la comunicazione tra il Nagorno-Karabakh (NK)/Artsakh e Armenia e allo stesso tempo aggirerà la città di Shushi, rimarrà sotto il controllo del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa

Sostenendo il blocco del corridoio Lachin, l’Azerbaigian continua a violare i propri obblighi internazionali assunti ai sensi della Dichiarazione del 9 novembre 2020, che prevedono inoltre, senza mezzi termini, che “l’Azerbaigian deve garantire la sicurezza di persone, veicoli e merci che si muovono lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”.

Come risultato dell’ostruzione fisica dell’unica strada, insieme all’interruzione deliberata da parte dell’Azerbaigian della connessione Internet e delle forniture di gas ed elettricità dall’Armenia all’Artsakh 120.000 persone sono state effettivamente poste sotto un blocco completo senza accesso a beni e servizi essenziali, compresi farmaci, cibo, carburante e prodotti per l’igiene, da più di 40 giorni. Inoltre, quattro comunità della regione di Shushi – Lisagor, Mets Shen, Hin Shen e Eghtsahogh – si sono ritrovate in completo isolamento sia dall’Artsakh che dall’Armenia. In questo contesto, colpire e attaccare intenzionalmente l’infrastruttura critica dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian non fa che aggravare la già terribile situazione umanitaria che colpisce la popolazione civile dell’Artsakh sotto blocco.

Questa è la seconda volta che l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin nel periodo post-bellico del 2020. In precedenza, il 3 dicembre 2022, un gruppo di azeri aveva bloccato la strada per false preoccupazioni ecologiche sull’estrazione di risorse naturali dell’Artsakh. A seguito di trattative di tre ore, sotto la mediazione del Contingente di pace russo, la strada fu riaperta.

Aggravando ulteriormente la situazione, e con l’intenzione di provocare una catastrofe umanitaria, le autorità azere hanno tagliato la fornitura di gas naturale all’Artsakh pochi giorni dopo. Dal 13 al 16 dicembre 2022, nelle rigide condizioni invernali, le autorità azere hanno interrotto la fornitura di gas naturale dall’Armenia all’Artsakh, privando la popolazione civile dell’Artsakh delle necessità di base indispensabili per salvaguardarne il sostentamento. La fornitura di gas all’intero territorio dell’Artsakh è stata interrotta nuovamente dall’Azerbaigian il 18 gennaio 2023, intorno alle 13:00, lasciando la maggioranza delle famiglie dell’Artsakh ancora senza accesso al riscaldamento e all’acqua calda in pieno inverno.

La natura deliberata di queste interruzioni è chiaramente evidenziata. Nel marzo 2022, l’Azerbaigian ha interrotto la fornitura di gas naturale attraverso l’unico gasdotto dall’Armenia all’Artsakh (attualmente attraversa i territori occupati dall’Azerbaigian durante la guerra dei 44 giorni del 2020) per più di 20 giorni sabotandolo in un punto critico. Dopo aver fatto saltare l’oleodotto, l’Azerbaigian ha installato una valvola sull’oleodotto stesso, permettendogli così di stabilire un controllo arbitrario sulla fornitura di gas all’Artsakh. Le conseguenze umanitarie di questo atto criminale dell’Azerbaigian sono state discusse in dettaglio nel rapporto “Sulle violazioni dei diritti del popolo Artsakh da parte dell’Azerbaigian a febbraio-marzo 2022” del Difensore civico della Repubblica dell’Artsakh.

Inoltre, il 9 gennaio 2023, l’unica linea ad alta tensione che fornisce elettricità all’Artsakh dall’Armenia, è stato danneggiata nella sezione Aghavno-Berdzor (corridoio di Lachin) sotto il controllo azero. Le autorità azere non hanno permesso che venissero condotti dagli specialisti dell’Artsakh i lavori di riparazione sulla sezione danneggiata e, di conseguenza, l’elettricità è ora fornita esclusivamente da centrali idroelettriche locali. Così, il governo dell’Artsakh è stato obbligato a programmare blackout continui e altre restrizioni in tutto l’Artsakh per risparmiare le risorse idriche nel bacino idrico di Sarsang nel tentativo di garantire ed estendere la produzione di elettricità per la popolazione civile. Tuttavia, i bacini essenziali per generare energia idroelettrica dispongono di risorse molto limitate.

Il 12 gennaio 2023, l’unico cavo in fibra ottica che fornisce la connessione Internet all’Artsakh dall’Armenia è stato danneggiato nel tratto della strada Stepanakert-Goris dove gli azeri hanno istituito il blocco dal 12 dicembre 2022. In conseguenza di ciò, l’intero Artsakh è stato privato dei servizi Internet per due giorni, con conseguente isolamento totale delle informazioni. Il 14 gennaio 2023 la connessione è stata ripristinata, ma persistono ricorrenti interruzioni della connessione Internet. Dopo lo stabilimento del cessate-il-fuoco del 2020, la parte azera ha costantemente interrotto le comunicazioni mobili e accesso a Internet in tutto l’Artsakh, utilizzando vari tipi di disturbatori e silenziatori.

Nel mezzo di questa crisi umanitaria in rapida evoluzione nell’Artsakh, l’Azerbaigian usa la vulnerabilità delle infrastrutture critiche per terrorizzare e intimidire la pacifica popolazione civile dell’Artsakh, infliggendo ulteriori sofferenze al popolo dell’Artsakh sotto blocco, con l’obiettivo della loro totale distruzione ed espulsione dalla loro terra nativa – obiettivo finale della decennale politica sistematica e coerente di armenofobia, pulizia etnica e genocidio guidati dall’Azerbaigian.

Lo scopo di questo rapporto è quello di illustrare le violazioni in corso dei più diritti fondamentali del popolo dell’Artsakh causati dall’interruzione del funzionamento delle infrastrutture critiche dell’Artsakh durante il blocco di oltre un mese da parte dell’Azerbaigian.

1 – CONSEGUENZE UMANITARIE DELLA ROTTURA DELLE INFRASTRUTTURE CRITICHE

Gli attacchi deliberati all’infrastruttura critica dell’Artsakh sono un metodo di guerra e una pulizia etnica che l’Azerbaigian ha ripetutamente attuato contro la pacifica popolazione civile dell’Artsakh dalla guerra del 2020. Lo scopo principale di queste azioni criminali è terrorizzare la pacifica popolazione dell’Artsakh e creare così condizioni di vita disumana affinché la popolazione sia costretta a lasciare la propria terra natale.

  1. – Interruzione della fornitura di gas

La crisi umanitaria in corso è stata gravemente aggravata da parte dell’Azerbaigian dalla interruzione della fornitura di gas naturale dall’Armenia all’Artsakh attraverso l’unico gasdotto che attraversa i territori attualmente sotto il controllo dell’Azerbaigian. Dall’inizio del blocco il 12 dicembre, la parte azera ha deliberatamente interrotto la fornitura di gas quattro volte: il 13 dicembre (per 3 giorni), il 17 gennaio (per 1 giorno), il 18 gennaio (per 3 giorni), di nuovo il 21 gennaio. Dal 21 gennaio, intorno alle 21:00, la fornitura di gas metano a tutto il territorio dell’Artsakh attraverso l’unico gasdotto proveniente dall’Armenia all’Artsakh è stata tagliata ancora una volta dall’Azerbaigian. L’interruzione ha interessato la maggior parte delle famiglie dell’Artsakh, oltre a istituzioni che prestano cure mediche, sociali ed educative rimaste prive di accesso al riscaldamento e all’acqua calda durante il rigido inverno. L’attacco all’infrastruttura del gas dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian ha causato molteplici violazioni dei diritti umani fondamentali della popolazione dell’Artsakh.

Circa l’80% delle circa 120.000 persone che attualmente vivono in Artsakh ha le proprie abitazioni rifornite di gas. Il gas è ampiamente utilizzato dalla gente dell’Artsakh: per il riscaldamento di abitazioni, da parte di enti pubbliche e private, organizzazioni educative, sociali e sanitarie; per la fornitura di acqua calda; per la produzione alimentare; e per una moltitudine di altre attività economiche. Pertanto, a causa dell’interruzione della fornitura di gas, le ricadute sul piano umanitario si sono solo intensificate in modo critico nell’Artsakh bloccato.

Durante la precedente interruzione della fornitura di gas da parte dell’Azerbaigian nel marzo 2022, le persone hanno superato le difficoltà umanitarie utilizzando l’elettricità. Tuttavia, ora, anche la sola linea elettrica dall’Armenia all’Artsakh è stata interrotta dall’Azerbaigian, lasciando 120.000 persone in completo isolamento energetico. Dal governo dell’Artsakh è stata adottata una misura tampone programmando blackout continui per prevenire il sovraccarico e il guasto totale del sistema interno di approvvigionamento elettrico, mitigare la crisi energetica e risparmiare energia. Pertanto, l’intera popolazione dell’Artsakh è attualmente priva di elettricità per 6 ore al giorno, che, insieme all’interruzione della fornitura di gas, significa che le persone hanno risorse palesemente insufficienti per sostenere i propri mezzi di sussistenza.

  1. – Interruzione della fornitura di elettricità

Il 9 gennaio 2023, l’unica linea ad alta tensione che fornisce elettricità dall’Armenia all’Artsakh è stata danneggiata nella sezione Aghavno-Berdzor (Lachin), che è sotto controllo azero. Le autorità azere si rifiutano di consentire i lavori di riparazione della rete sul luogo dell’incidente. Di conseguenza, il governo dell’Artsakh è stato obbligato a organizzare la fornitura di energia elettrica attraverso le centrali idroelettriche locali con restrizioni sempre maggiori. A partire dal 10 gennaio è iniziata la fornitura di elettricità alla popolazione di Artsakh a determinati intervalli, con interruzioni intermittenti.

Poiché Artsakh produce solo il 57% del suo consumo di elettricità, un programmato blackout continuo di 4 ore è stato introdotto dal governo dell’Artsakh per diversi giorni per gestire la crisi elettrica in Artsakh. Le autorità azere continuano a non consentire lavori di riparazione dagli specialisti dell’Artsakh sulla linea elettrica principale dell’Artsakh, danneggiata dal 9 gennaio 2023. Di conseguenza, e a partire dal 21 gennaio 2023, è stato introdotto un programma di blackout continui di 6 ore stato implementato. In particolare, la produzione locale di energia elettrica viene effettuata principalmente attraverso la centrale idroelettrica di Sarsang, dove viene utilizzata l’acqua del bacino di Sarsang in grandi volumi per generare elettricità. Proseguire l’utilizzo della risorsa idrica in questi volumi esaurirà rapidamente la capacità e dovranno essere imposti blackout più lunghi.

Questa circostanza determina un problema particolarmente critico per coloro che riscaldano le proprie

case con elettricità in inverno e per chi usa l’elettricità come impianto di energia alternativa per il riscaldamento in assenza di forniture di gas. In condizioni invernali fredde e con forti nevicate, l’Artsakh sta affrontando un’allarmante crisi energetica, che aggrava la situazione della già terribile crisi umanitaria, poiché le persone sono ora private di qualsiasi tipo di riscaldamento per almeno 6 ore al giorno.

  1. – Interruzione della connessione internet

Il 12 gennaio 2023, la connessione Internet in Artsakh è stata interrotta a causa di un danneggiamento all’unico cavo in fibra ottica che fornisce servizi Internet all’Artsakh dall’Armenia. Secondo il provider Internet locale in Artsakh, il danno del cavo ha avuto luogo esattamente nel punto in cui gli azeri hanno bloccato la strada.

Secondo le attività conoscitive dell’Ufficio del difensore civico per i diritti umani dell’Artsakh, l’Azerbaigian ha danneggiato intenzionalmente l’unico cavo che fornisce Internet collegamento con Artsakh dall’Armenia per causare ulteriori sofferenze alla popolazione dell’Artsakh, oltre a creare un’atmosfera di intimidazione, paura e incertezza. Al momento della stesura del Rapporto, l’accesso a Internet è stato ripristinato, ma – tenendo conto del fatto che la parte azera ha costantemente interrotto l’accesso alle telecomunicazioni nel

intero territorio dell’Artsakh dall’istituzione del cessate il fuoco nel novembre 2020 – il difensore dei diritti umani si aspetta che l’Azerbaigian intraprenda misure simili in futuro.

2 – VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI ALLA LUCE DELLA ROTTURA DELLE INFRASTRUTTURTE CRITICHE

In tempi di crisi umanitarie, in particolare quelle guidate da una pericolosa e simultanea convergenza di molteplici cause, come nel caso dell’Artsakh i diritti umani sono sempre in gioco, soprattutto nei gruppi più vulnerabili della società quali bambini, anziani, donne e persone con disabilità. Quindi, questi diritti e gruppi

richiedono attenzione e protezione specifiche.

  • Diritto a mezzi di sussistenza adeguati (riscaldamento, acqua calda, produzione alimentare)

In pieno inverno, la temperatura media nel territorio dell’Artsakh oscilla intorno a -2 e +2 gradi Celsius e spesso può precipitare fino a -5 gradi Celsius. Nevica e gela per giorni. In queste pericolose condizioni invernali, case residenziali, residenze temporanee di sfollati, una miriade di istituzioni di istruzione e salute, aziende private e le istituzioni statali restano prive di uno stabile e sufficiente riscaldamento a causa dell’attacco intenzionale dell’Azerbaigian alle infrastrutture dell’Artsakh.

Circa l’80% delle circa 120.000 persone che attualmente vivono in Artsakh ha le proprie abitazioni rifornite di gas. La principale fonte di riscaldamento per la stragrande maggioranza della popolazione dell’Artsakh è ostacolata.

Il gas viene utilizzato anche nelle famiglie dell’Artsakh per preparare il cibo; quindi, la sua assenza direttamente influisce sulla normale organizzazione della nutrizione della popolazione. Il pericolo è composto qui, dove sia il gas che l’elettricità non vengono forniti ad Artsakh; le persone sono private delle necessità vitali ovvero il riscaldamento per il caldo fisico, acqua calda per lavarsi e per cucinare il cibo, senza alcuna fonte alternativa di energia.

  • Diritto all’educazione

A causa del blocco dell’Artsakh e dell’interruzione delle sue infrastrutture vitali da parte dell’Azerbaigian, i diritti dei bambini sono stati violati, in primo luogo il diritto all’istruzione. Il problema del riscaldamento ha sostanzialmente sconvolto il normale funzionamento del processo educativo in Artsakh, poiché un gran numero di istituzioni educative sono riscaldate a gas, inclusi asili, scuole, istituti di istruzione secondaria professionale e superiore. Così, il diritto all’istruzione dei bambini dell’Artsakh è stato chiaramente interrotto dal 14 al 16 dicembre 2022, quando l’Azerbaigian ha interrotto per la prima volta la fornitura di gas durante il blocco dell’Artsakh.Dal 18 gennaio 2023, con la seconda serie di interruzioni azere alla fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh, il diritto all’istruzione dei bambini dell’Artsakh è stato calpestato, ancora una volta.

Nella situazione attuale, è impossibile gestire efficacemente l’istruzione in Artsakh. Il 65% delle scuole del Paese sono riscaldate solo a gas; importante, il 60% degli studenti dell’Artsakh riceve un’istruzione in tali scuole riscaldate a gas. A causa dell’impossibilità di fornire un adeguato riscaldamento, il governo dell’Artsakh è stato obbligato a sospendere le lezioni scolastiche fino a nuovo avviso.

Oltre al problema del riscaldamento, il blocco ha ostacolato il processo di approvvigionamento, organizzazione e consegna del cibo alle istituzioni educative frequentate dai gruppi di bambini più vulnerabili (dai 2 ai 6 anni), quali asili, scuole materne, gruppi di- scuole primarie e scuole che lavorano con orario prolungato. Così, 117 scuole (41 asili nido, 56 scuole materne e 20 istituti di istruzione a tempo pieno) sono stati costretti a chiudere a causa della combinazione del problema del riscaldamento e della crisi alimentare che si è verificata per il blocco. Di conseguenza, più di 20.000 bambini sono attualmente privati della possibilità di ricevere assistenza e istruzione. Dal momento che queste istituzioni operavano senza scorte di cibo e ora è diventato impossibile fornire cibo ai bambini, queste istituzioni educative hanno sospeso le attività a partire dal 9 gennaio 2023. Negli ultimi giorni di dicembre 2022, le attività di 31 pubbliche, 7 benefiche e 3 private, gli asili e 56 gruppi prescolari di 30 scuole pubbliche erano già completamente sospese.

Per quanto riguarda gli istituti di istruzione superiore, il 100% delle università pubbliche e private sono riscaldate a gas. Sebbene alcune lezioni possano essere condotte a distanza, il generale processo educativo è ostacolato in Artsakh a causa delle azioni criminali in corso da parte dell’Azerbaigian.

Il 90% delle altre istituzioni educative, come scuole professionali secondarie, scuole d’arte, anche i collegi di medicina e musica e i centri creativi per giovani sono riscaldati a gas. A causa di mancanza di fornitura di gas, anche queste hanno dovuto cessare completamente la loro attività.

  • Diritto alla salute

L’interruzione repentina da parte dell’Azerbaigian del funzionamento delle infrastrutture critiche nell’Artsakh incide sul normale funzionamento del sistema sanitario, generando complessi e

persistenti problemi per la salute pubblica. L’interruzione dei rifornimenti di gas ed elettricità in Artsakh da parte dell’Azerbaigian, in particolare durante gli oltre 40 giorni di blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno, ha ostacolato la realizzazione del diritto all’assistenza sanitaria del popolo dell’Artsakh. Le persone sono ora private del corretto accesso a servizi salvavita, come trattamenti urgenti, interventi chirurgici programmati e operazioni, esami di laboratorio, esami periodici e regolari controlli sanitari, a causa della mancanza di riscaldamento adeguato, assenza di medicamenti, attrezzature e materiali medici necessari presso le istituzioni sanitarie.

Al 20 gennaio 2023, 113 persone sono in cura nelle istituzioni mediche della Repubblica dell’Artsakh, di cui 35 bambini. 8 bambini e 12 adulti sono in unità di terapia intensiva, mentre 4 di questi ultimi sono in condizioni critiche. Inoltre, 7 nuovi nati e 23 donne incinte sono attualmente in cura nell’ospedale di maternità.

Il 70% degli ospedali dell’Artsakh è riscaldato a gas. Durante la precedente interruzione nella fornitura del gas, alcune delle istituzioni mediche hanno avuto l’opportunità di passare ad alternativi impianti di riscaldamento a benzina, gasolio o elettricità. Tuttavia, nelle condizioni di interruzioni programmate e assenza di rifornimenti di gasolio, anche questi metodi alternativi di riscaldamento sono diventati inaccessibili e inaffidabili. Inoltre, il monitoraggio delle attività da parte dell’Artsakh Human Rights Defender hanno dimostrato che la richiesta temperatura (14-15 gradi Celsius) nei reparti non viene raggiunta, anche dove vengono utilizzate le fonti alternative. Inoltre, nota la direzione delle istituzioni sanitarie che a causa del passaggio all’energia alternativa, i costi operativi sono aumentati immediatamente, imponendo ulteriori pressioni sul normale funzionamento di tali istituzioni.

  • Impatto sull’attività economica e diritto al lavoro

A causa dell’interruzione dell’infrastruttura critica dell’Artsakh da parte delle azioni malvagie dell’Azerbaigian, sono sorti anche problemi in diversi settori dell’economia della Repubblica.

In particolare, l’approvvigionamento di gas nella capitale Stepanakert è necessario per la cottura del pane, per non parlare di altri alimenti. A causa dell’assenza sia di gas che di elettricità stabile, la produzione e la fornitura di pane ne ha risentito. A Stepanakert si sta già osservando una penuria di pane, un fondamentale segno di sopravvivenza.

In particolare, più del 50% della popolazione è concentrata a Stepanakert, compresa la maggior parte della popolazione sfollata con la forza a seguito del conflitto conseguente l’aggressione azera-turca del 2020 contro l’Artsakh.

L’interruzione della fornitura di gas all’Artsakh ha influito negativamente sul settore dei trasporti pubblici in tutto l’Artsakh. Tanti veicoli per uso personale, aziendale e pubblico funzionano  a gas.

Tuttavia, in assenza di gas, benzina e gasolio contemporaneamente, la popolazione dell’Artsakh è rimasta praticamente senza mezzi di trasporto, il che ha causato enormi problemi logistici e di costo per l’intera popolazione. Il collegamento tra Stepanakert e le regioni dell’Artsakh è ora molto limitato, cosicchè le persone non possono più fare il pendolare tra le loro destinazioni abituali per lavoro, affari o istruzione come prima.

Il settore dei servizi affronta la stessa situazione. Ad esempio, l’attività dei servizi di taxi nell’Artsakh è ora completamente interrotta, poiché non sono disponibili gas o benzina per rifornire le auto.

Tutte le stazioni di servizio e di benzina dell’Artsakh hanno cessato l’attività essenzialmente dall’inizio del blocco. Di conseguenza, i proprietari delle stazioni hanno subito, e continuano a subire, gravi perdite economiche, mentre centinaia di loro dipendenti sono ormai inattivi, privi del loro diritto fondamentale a un lavoro dignitoso.

Anche centinaia di imprenditori economici dell’Artsakh subiscono enormi perdite economiche e finanziarie a causa dell’interruzione della fornitura di gas. I magazzini, dove avviene la produzione e lo stoccaggio del cibo, sono tra i più colpiti perché funzionano a gas. Tuttavia, con il sistema di blackout continuo messo in atto, non possono nemmeno fare affidamento sui sistemi di alimentazione alternativa. Di conseguenza, le condizioni necessarie per la produzione e la conservazione degli alimenti non possono essere mantenute in modo coerente.

Infine, dal 19 gennaio 2023, le istituzioni statali della Repubblica dell’Artsakh hanno dovuto passare a una modalità operativa speciale, che richiede l’imposizione di alcune restrizioni e modifiche. Nella situazione di una crisi energetica in atto e nel tentativo di garantire il funzionamento ininterrotto di strutture e servizi vitali, nonché soddisfare il fabbisogno energetico di base della popolazione il più a lungo possibile, solo i dipendenti il cui lavoro richiede la loro presenza fisica sul posto di lavoro possono recarsi al lavoro; altri dovranno svolgere le proprie mansioni lavorative da remoto. È stata implementata una serie di altre modifiche, tra cui il raggruppamento dei dipendenti in una sola stanza e altre misure ancora, per utilizzare l’elettricità nel modo più efficiente possibile.

  • Impatto sull’ambiente e sulla raccolta dei rifiuti

In assenza di fornitura di gas, c’è un forte aumento dell’uso del legno da parte della popolazione per fornire riscaldamento e altre condizioni di vita alle case. Di conseguenza, la deforestazione è un rischio reale in quanto il ricorso al legno come fonte di riscaldamento probabilmente causerà un significativo impoverimento delle foreste, che avrà sicuramente un impatto sull’ambiente.

Secondo le informazioni ricevute dal comune di Stepanakert e dalle amministrazioni di tutte le regioni, ci sono problemi con la raccolta dei rifiuti nelle comunità. Le macchine e le attrezzature utilizzate per la raccolta dei rifiuti funzionano prevalentemente a gas e non è possibile passare ad altri combustibili.

Infine, sorgeranno gravi problemi ambientali dovuti al fatto che, in assenza di approvvigionamento di gas e di altre fonti energetiche, l’acqua del bacino di Sarsang viene necessariamente utilizzata oltre i suoi limiti naturali. Ciò significa che in primavera e in estate, quando l’acqua dell’invaso di Sarsang viene utilizzata per l’irrigazione, l’invaso si esaurirà pericolosamente e ci sarà un problema di approvvigionamento idrico. È interessante notare che l’acqua del bacino idrico di Sarsang viene utilizzata principalmente per l’irrigazione dei territori sotto il controllo dell’Azerbaigian e, con il blocco e l’interruzione delle infrastrutture per cacciare gli armeni indigeni dell’Artsakh, l’Azerbaigian non solo infligge danni agli armeni dell’Artsakh, ma rischia anche di danneggiare i propri cittadini.

OSSERVAZIONI E RACCOMANDAZIONI CONCLUSIVE

Alla luce del blocco di 42 giorni [al 23 gennaio, NdT] dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian – e come risultato dell’attacco alle infrastrutture vitali dell’Artsakh, come le sue forniture di gas ed elettricità e la sua connessione Internet – la Repubblica dell’Artsakh si è trovata in una situazione senza precedenti e in una crisi energetica pericolosa per la vita. Come risultato del taglio da parte dell’Azerbaigian dell’unico naturale gasdotto dall’Armenia all’Artsakh e dell’unica linea elettrica dall’Armenia all’Artsakh , le istituzioni mediche nell’Artsakh non sono in grado di fornire cure mediche di base, le attività delle istituzioni educative sono sospese e il lavoro degli enti e delle agenzie statali è interrotto. La mancanza di carburante ed energia per persone, istituzioni e veicoli sconvolge la vita della popolazione ed è progettata per generare un completo collasso del sostentamento, della sicurezza alimentare ed energetica e di tutta la logistica nel Paese.

La strada Stepanakert-Goris, l’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno, è di grande importanza umanitaria. Il suo blocco sta causando, e causerà ulteriormente, gravi conseguenze umanitarie per l’intera popolazione dell’Artsakh. Inoltre, ostacola direttamente qualsiasi colloquio di pace e iniziativa pacificatrice nella regione e mina fondamentalmente la fiducia internazionale e regionale.

Sfortunatamente, il blocco dell’Artsakh non è un atto isolato; costituisce una parte di una politica pluridecennale, diffusa e sistematica dell’Azerbaigian volta alla pulizia etnica degli armeni dell’Artsakh e alla loro completa espulsione dalla loro terra natale. Dall’istituzione del cessate il fuoco garantito dalla Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, l’Ombudsman dell’Artsakh ha ripetutamente riferito del ripetersi di simili minacce e provocazioni da parte azera. Negli ultimi due anni, l’Azerbaigian, tra l’altro, ha:

(a) fatto ricorso all’aggressione militare, violando il cessate il fuoco stabilito dalla Dichiarazione trilaterale, ha ucciso 18 persone, di cui 3 civili, e ha sottoposto centinaia di persone a tentato omicidio;

(b) attaccato deliberatamente e in massa le infrastrutture dell’Artsakh allo scopo di terrorizzare e intimidire la popolazione dell’Artsakh;

(c) lasciato l’intera popolazione dell’Artsakh senza rifornimenti di acqua e gas per settimane;

(d) interrotto il lavoro agricolo stagionale prendendo di mira i pacifici abitanti dei villaggi;

(e) costantemente sottoposto le comunità armene nelle immediate vicinanze delle loro postazioni militari a pressioni psicologiche da parte di altoparlanti;

(f) diffuso disinformazione e panico tra le persone effettuando attacchi informatici ai media statali dell’Artsakh.

Data l’attuale situazione umanitaria nell’Artsakh, il Difensore civico della Repubblica dell’Artsakh invita la comunità internazionale e tutti i suoi attori che difendono i diritti umani ad agire con urgenza, in particolare:

(1) esortare l’Azerbaigian a rispettare e adempiere ai suoi obblighi internazionali assunti, oltre alle convenzioni internazionali, dalla Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, che implica la fornitura di garanzie di sicurezza alla popolazione dell’Artsakh e la salvaguardia dei loro mezzi di sussistenza;

(2) fare pressione sull’Azerbaigian con l’uso di tutti gli strumenti pratici per aprire immediatamente l’unica strada senza alcuna condizione preliminare, consentire la libera circolazione delle persone e l’accesso ininterrotto a beni e servizi essenziali attraverso il Corridoio, riconoscendone la natura principalmente umanitaria;

(3) avviare una missione conoscitiva internazionale nell’Artsakh per valutare la situazione umanitaria sul campo;

(4) concedere l’accesso senza ostacoli alle organizzazioni e alle missioni internazionali per i diritti umani per entrare nell’Artsakh, valutare la situazione e fornire i necessari aiuti umanitari in base ai bisogni della popolazione civile;

(5) esortare l’Azerbaigian ad astenersi dall’attaccare in futuro le infrastrutture critiche dell’Artsakh, nonché i suoi collegamenti di trasporto, energia e comunicazione con l’Armenia;

(6) condannare la retorica armenofoba e infiammatoria sponsorizzata dallo Stato dell’Azerbaigian tra la sua popolazione che chiede discriminazione e aggressione nei confronti degli armeni dell’Artsakh.

Pur accogliendo con favore tutte le dichiarazioni e le reazioni ricevute dalle organizzazioni internazionali e dalle controparti che si battono sinceramente per i diritti umani fondamentali del popolo dell’Artsakh, il Difensore civico della Repubblica dell’Artsakh ritiene che i governi e gli attori internazionali coinvolti nella risoluzione del conflitto dovrebbero utilizzare tutte le misure diplomatiche a loro disposizione per fermare il blocco dell’Artsakh, ripristinare la sua fornitura di beni di prima necessità, invitare le autorità azere a smettere di prendere di mira infrastrutture critiche (gas, elettricità, Internet, comunicazioni mobili, acqua), fermare l’imminente catastrofe umanitaria e proteggere i diritti umani fondamentali delle persone che vivono in Artsakh.

La comunità internazionale dovrebbe assumere urgentemente una posizione unanime e inequivocabile e intraprendere azioni mirate per condannare, punire e impedire che l’Azerbaigian continui ad agire con un senso di assoluta impunità.

La comunità internazionale deve impedire all’Azerbaigian di realizzare il suo ultimo obiettivo di genocidio: la pulizia etnica della popolazione indigena armena dell’Artsakh.

[Traduzione del rapporto in formato ridotto e senza note esplicative]

Il difensore dei diritti umani dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) ha pubblicato un rapporto provvisorio “Sulle violazioni dei diritti umani del popolo dell’Artsakh a seguito della deliberata interruzione delle infrastrutture critiche nel mezzo del blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian dal 12 dicembre 2022“.

Il rapporto ha presentato fatti relativi alle violazioni diffuse e su larga scala dei diritti del popolo dell’Artsakh a causa di interruzioni deliberate delle infrastrutture vitali dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian: gasdotto, linee elettriche, telecomunicazioni e cavi Internet, che nelle condizioni del blocco in corso mettono la popolazione civile sull’orlo di una catastrofe umanitaria.

In condizioni climatiche fredde, quando la temperatura media nel territorio dell’Artsakh oscilla tra -2 e +2 gradi Celsius, raggiungendo talvolta -5 gradi di freddo, case, luoghi di residenza temporanea di sfollati, tutti i tipi di istituzioni educative e sanitarie e le imprese private, le istituzioni statali usano il gas come principale mezzo di riscaldamento. Interruzioni deliberate nella fornitura di gas privano la popolazione della possibilità di riscaldamento a gas e acqua calda.

A seguito del danneggiamento delle linee ad alta tensione provenienti dall’Armenia verso l’Artsakh e del blocco dei loro lavori di ripristino da parte dell’Azerbaigian, dal 9 gennaio l’importazione di elettricità è stata sospesa.
I residenti ricevono elettricità prodotta localmente. A causa dei volumi insufficienti, la popolazione riceve elettricità con un programma di blackout continuativo di 6 ore, il che rende quasi impossibile sostituire il riscaldamento a gas con il riscaldamento elettrico.

Anche le interruzioni dell’approvvigionamento di gas e l’uso limitato di energia elettrica incidono direttamente sulla normale organizzazione del cibo nelle famiglie.

Per risparmiare elettricità, le istituzioni statali sono passate a un regime di lavoro breve dal 19 gennaio, il che ha un impatto negativo sul processo di fornitura dei servizi necessari al pubblico e sull’organizzazione della vita pubblica.

La situazione attuale ha fortemente influito sulla normale organizzazione del processo educativo in Artsakh, tutte le istituzioni educative della Repubblica sono chiuse a causa della mancanza di riscaldamento, che ha portato alla violazione del diritto all’istruzione di oltre 20.000 bambini.

La grave situazione umanitaria ha inciso anche sul normale funzionamento del sistema sanitario.
Il 70% delle strutture sanitarie e degli ospedali, riscaldati a gas, deve affrontare seri problemi di riscaldamento. Al momento, 156 pazienti, di cui 45 bambini, stanno ricevendo cure mediche ospedaliere.

Centinaia di imprese subiscono anche ingenti perdite a causa delle interruzioni della fornitura di gas.

Nelle condizioni di interruzione dell’approvvigionamento di gas e di limitata possibilità di elettricità, per fornire il riscaldamento delle case e altre condizioni di vita, c’è un aumento del volume di legno utilizzato dalla popolazione, il che significa che il già limitato fondo forestale subirà gravi perdite.

Nelle comunità si sono verificati problemi legati al buon funzionamento del trasporto pubblico e all’organizzazione della raccolta dei rifiuti, dovuti al fatto che le macchine e le attrezzature utilizzate per il trasporto pubblico e la raccolta dei rifiuti funzionano con l’utilizzo di gas, benzina e gasolio, e c’è anche una carenza di vettori energetici nelle condizioni del blocco.