Il ministero degli Esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) ha rilasciato il seguente comunicato:

“Attribuiamo grande importanza agli appelli fatti al più alto livello dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea, dal Consiglio d’Europa e da altri rispettati attori internazionali per l’immediata revoca da parte dell’Azerbaigian del blocco illegale del Corridoio Lachin. Allo stesso tempo, è evidente che tali appelli non hanno alcun impatto sulla leadership dell’Azerbaigian, che, in un clima di impunità e completa mancanza di responsabilità, continua la sua politica di genocidio e sottopone alla fame 120mila persone dell’Artsakh, creando insopportabili condizioni di vita per loro.

Nei loro comunicati e negli appelli effettuati periodicamente da strutture internazionali, organizzazioni e singoli Stati, tutti nessuno escluso hanno preso atto del blocco illegittimo del Corridoio Lachin e hanno sottolineato la necessità di ripristinare la libertà di movimento lungo il corridoio. Tuttavia, non vengono prese misure specifiche ed efficaci in questa direzione. Nel frattempo, la catastrofe umanitaria e la crisi dei diritti umani nella Repubblica dell’Artsakh peggiorano ogni giorno che passa.

Le recenti dichiarazioni provenienti dall’Azerbaigian sulla possibilità di utilizzare percorsi alternativi per la presunta consegna di aiuti umanitari all’Artsakh dimostrano ancora una volta che Baku sta usando il blocco come arma e mezzo per esercitare pressioni sulla popolazione dell’Artsakh. Le autorità azere sfruttano la sofferenza delle persone e la catastrofe umanitaria che hanno creato per raggiungere i loro obiettivi politici. Tali azioni e comportamenti dell’Azerbaigian devono essere fermamente respinti dalla comunità internazionale come disumani.

A questo proposito, ancora una volta, esortiamo con forza tutti gli stati interessati, le organizzazioni internazionali e gli altri attori a passare dalle parole ai fatti per porre fine ai crimini internazionali commessi dall’Azerbaigian contro l’Artsakh e il suo popolo. Ricordiamo che la prevenzione del genocidio è un obbligo erga omnes, che richiede ad ogni Stato uno sforzo attivo e continuo per prevenire la commissione di tali crimini.

La fine della catastrofe umanitaria in corso e della crisi dei diritti umani nella Repubblica dell’Artsakh è una vera sfida per l’efficacia degli attori internazionali coinvolti. Siamo convinti che, in conformità con i loro impegni, siano in grado di affrontare una violazione così evidente ed eclatante dell’ordine internazionale da parte dell’Azerbaigian e prevenire il crimine di genocidio. Altrimenti ogni appello alla pace e alla normalizzazione sarà slegato dalla realtà e privo di ogni sostanza e prospettiva”.

Stepnakert, 5 agosto 2023

Davanti alla giornalista che lo intervista per ‘Euronews’ (un’intervista in parallelo con il premier armeno Pashinyan, stesse domande), l’autocrate presidente dell’Azerbaigian non si tira indietro. Non prova a camuffare quella irresistibile voglia di menare le mani che ha da quando è asceso al potere succedendo al padre.
Ilham Aliyev, forte dei successi militari grazie alla montagna di miliardi di dollari spesa in armamenti negli ultimi anni e grazie all’indispensabile aiuto del compare turco Erdogan, non si nasconde dietro inutili giri di parole anche quando logica e diplomazia imporrebbero di addolcire certe dichiarazioni.

Si contraddice in più di un’occasione ma da bravo padre-padrone del suo Paese non se ne cura, tanto le critiche in patria non arriveranno mai e all’estero il suo gas è troppo prezioso per ridare dignità alla politica internazionale.

Esordisce affermando che l’accordo tripartito del 9 novembre 2020 non è un trattato di pace (e in questo ha ragione) ma un “atto di capitolazione” dell’Armenia alla quale imporre poi le condizioni (ovviamente le sue) per una soluzione definitiva del contezioso.
Dietro ogni sua frase si nasconde un’ostilità latente, una voglia repressa di schiacciare definitivamente il nemico, prendersi tutto e risolvere una volta per tutte il problema. In fondo è quel che volevano i Giovani turchi nel 1915…

Non usa quasi mai l’espressione “Nagorno Karabakh” (che nel linguaggio azero è stata abolita) ma solo “Karabakh” nonostante il predetto accordo di tre anni fa la riportasse integralmente. Non dà valore a quella firma post-guerra ma poi rivendica che “l’Armenia ha l’obbligo sottoscritto dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh di consentirci l’accesso alla nostra exclave del Nakhchivan” (in realtà c’è solo una previsione di sblocco delle comunicazioni regionali non un diritto di occupare altra terra armena o di transito…).

Se vedremo un approccio costruttivo da parte degli armeni e soprattutto se questi ultimi metteranno da parte tutte le loro aspirazioni a contestare la nostra integrità territoriale allora potremo trovare una soluzione di pace molto preso forse anche entro la fine dell’anno” afferma: ma gli armeni lo hanno (imprudentemente, forse ora Pashinyan se ne sta pentendo) già fatto chiedendo solo la tutela e la sicurezza dei diritti della popolazione dell’Artsakh. Nel frattempo Aliyev continua a occupare pezzi di Armenia e ad avanzare rivendicazioni sulle “storiche terre azerbaigiane” che già detta così fa ridere per uno Stato nato nel 1918.

Nel suo traporto di certezze il patetico Aliyev si incarta parlando del blocco – a suo dire inesistente – del corridoio di Lachin: prima dice che sono passati 2000 armeni dal 23 aprile, poi parla di provocazione di Yerevan per il ferimento di un soldato (che, per la cronaca, aveva oltrepassato il ponte Hakari e piantato una bandiera dell’Azerbaigian in territorio dell’Armenia, evidente provocazione) e conferma che Baku ha chiuso la strada, poi ammette che i convogli della Croce Rossa sono stati fermati per “contrabbando” di sigarette, iphone e benzina: ma se il corridoio è aperto quale sarebbe il problema di far arrivare delle merci a Stepanakert?

Ma il meglio del dittatore azero arriva nel finale: alla domanda “Quale pensa sia la sua missione? Portare una pace duratura o vincere una guerra?” Aliyev non ha alcuna esitazione. “Vincere la guerra era la mia missione politica”. Un bravo consigliere gli avrebbe suggerito una risposta più diplomatica, meno diretta; ma nessuno si azzarda a contraddire il presidente che non è abituato a domande strane come quella conclusiva quando l’intervistatrice gli chiede cosa vorrebbe dire all’opinione pubblica armena: il sunto della sua risposta è che gli armeni dell’Armenia si devono fidare di lui e delle sue proposte, anzi condizioni, di pace mentre quelli dell’Artsakh dovrebbero essere contenti di diventare bravi cittadini dell’Azerbaigian (177° su 190 Stati per tutela dei diritti politici e civili…) oppure andarsene.

L’intervista si svolge nella città armena occupata di Shushi e il segnale è inequivocabile: qui ci sono e non me ne vado…

Qui il reportage di Euronews (in italiano)

Il 29 luglio, Vagif Khachatryan, 68 anni, che veniva trasportato dall’Artsakh (Nagorno Karabakh) in Armenia con gravi problemi di salute, accompagnato dal Comitato internazionale della Croce Rossa [CICR] per cure, è stato rapito da rappresentanti del servizio di frontiera azero al posto di blocco illegale nel Corridoio di Lachin e portato via in una direzione sconosciuta senza alcuna spiegazione. Qui di seguito il report sui fatti redatto dall’Ufficio del Difensore dei diritti umani della repubblica di Artsakh:

Fatti raccolti dall’ufficio del difensore civico sul rapimento di Vagif Khachatryan da parte dell’Azerbaigian
———————
Il 29 luglio, verso le 9:30, accompagnato dal CICR, previo accordo con la parte azera, il convoglio che trasportava pazienti dall’Artsakh all’Armenia ha raggiunto il “posto di blocco” illegale azero situato vicino al ponte Hakari.

Durante il controllo passaporti, Vagif Khachatryan, residente della comunità Patara della Repubblica dell’Artsakh, nato nel 1955, ha consegnato il suo passaporto ai rappresentanti del servizio di frontiera azero, che poi non lo hanno restituito. Quando è stato chiesto dalla figlia di Vagif Khachatryan e dal rappresentante del CICR perché non hanno restituito il passaporto, gli azeri hanno risposto che lo avrebbero restituito entro 5 minuti.
A quel punto, Vagif Khachatryan è stato scortato in uno studio medico situato presso il “posto di blocco” illegale dell’Azerbaigian, dove gli sono state poste domande relative alla salute, nonché sui motivi del suo trasferimento in Armenia.

Quindi Vagif Khachatryan è stato informato che doveva recarsi in una delle stanze situate vicino al “checkpoint” per 15 minuti per rispondere ad alcune domande. La figlia di Vagif e il rappresentante del CICR hanno insistito sul fatto che potevano porre le loro domande direttamente al posto di blocco e che non c’era bisogno di trasferirsi in un altro luogo. Successivamente, gli azeri hanno minacciato di farlo con l’uso della forza. Allo stesso tempo, secondo le testimonianze, molti militari azeri armati di mitra si sono radunati al posto di blocco.

Vagif Khachatryan e il rappresentante del CICR dell’Ufficio di Stepanakert (un cittadino straniero) sono stati caricati su un’auto Niva, che si è diretta verso la parte inferiore del ponte Hakari. Circa 10 minuti dopo, il rappresentante del CICR è tornato al posto di blocco su un’auto Chevrolet, mentre Vagif Khachatryan è stato portato via in una direzione sconosciuta. Secondo la testimonianza, il rappresentante del CICR è stato spinto fuori dall’auto dagli azeri.
Tutte queste azioni sono avvenute alla presenza della figlia di Vagif Khachatryan, che ha cercato di fare tutto il possibile per impedire il rapimento del padre, ma è stata minacciata con l’uso della forza.

Vagif Khachatryan, 68 anni, soffre di una malattia cardiovascolare ed era stato trasferito al Nork Marash Medical Center di Yerevan per essere operato.

Prima di trasferire i pazienti alle istituzioni mediche della Repubblica di Armenia, il CICR riceve il consenso di tutte le parti, inclusa la parte azera.
Pertanto, una volta raggiunto l’accordo, il CICR è responsabile del trasporto sicuro di queste persone.

Il procedimento penale avviato dall’ufficio del procuratore generale dell’Azerbaigian contro Vagif Khachatryan e il suo cosiddetto “arresto” all’interno del suo quadro è un pretesto falso e inverosimile per il suo rapimento. Secondo le informazioni ricevute e la ricerca condotta dall’Ufficio del difensore dei diritti umani della Repubblica di Armenia, è stato confermato che non ci sono dati su Vagif Khachatryan in nessun sistema di intelligence internazionale.
Di conseguenza, Vagif Khachatryan è una persona sotto protezione umanitaria internazionale, per la protezione dei cui diritti l’Ombudsman dell’Artsakh richiede quanto segue:

Una dichiarazione pubblica fatta dal CICR, che fa una valutazione legale di questo crimine dell’Azerbaigian, intraprende tutte le azioni derivanti dal mandato del CICR per riportare Vagif Khachatryan in Artsakh, per garantire la protezione dei diritti di Vagif Khachatryan prima del suo ritorno, per escludere la tortura e trattamento inumano nei suoi confronti.
Presentare alle organizzazioni internazionali e ai governi dei singoli Stati i fatti relativi al rapimento di un cittadino della Repubblica dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian e i crimini sistematicamente compiuti contro il popolo dell’Artsakh, perseguendo l’obiettivo innegabile della pulizia etnica e del genocidio, al fine di garantire la necessaria pressione internazionale sull’Azerbaigian.
Le organizzazioni internazionali dovrebbero prendere come base l’allarme espresso dal CICR e da una serie di organizzazioni internazionali per i diritti umani sulle violazioni su larga scala dei diritti del popolo dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian, applicare misure coercitive e punitive contro l’Azerbaigian per fargli adempiere ai suoi obblighi internazionali.

Il corridoio Lachin, che comprende anche il ponte Hakari, secondo la Dichiarazione trilaterale del 2020, è sotto il controllo delle forze di pace russe.
Il rapimento di Vagif Khachatryan è avvenuto a pochi metri dalla roccaforte del contingente di pace russo situata presso il ponte Hakari, che non ha fatto nulla per impedire il rapimento.
Tenendo conto del fatto che il corridoio di Lachin è considerato un territorio sotto il controllo delle forze di pace russe e la Federazione Russa è garante dell’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione trilaterale, la Federazione Russa dovrebbe intraprendere tutte le azioni per restituire Vagif Khachatryan a Artsakh e ripristinare il pieno controllo del corridoio Lachin, prevenendo il ripetersi di casi di rapimento di cittadini Artsakh da parte dell’Azerbaigian.

[traduzione e grassetto redazionale]

Il ministero degli Esteri della Repubblica dell’Artsakh ha rilasciato un commento in merito al comunicato stampa rilasciato dal ministro degli Esteri russo a seguito dell’ultimo incontro tripartito di Mosca.

“In relazione al comunicato stampa rilasciato dal Ministro degli Esteri russo a seguito dei colloqui trilaterali con i Ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian, avvenuti il ​​25 luglio 2023, riteniamo necessario affermare quanto segue.

La Repubblica dell’Artsakh apprezza molto gli sforzi di mediazione di lunga data della Federazione Russa, sia a livello nazionale che come Copresidente del Gruppo di Minsk dell’OSCE. Siamo grati alla Russia per il suo eccezionale contributo nel porre fine all’aggressione di 44 giorni dell’Azerbaigian e per la sua missione di mantenimento della pace nell’Artsakh.

Abbiamo preso atto che durante l’incontro, la parte russa ha presentato la sua valutazione delle misure che devono essere prese prontamente e senza indugio per fornire alla popolazione dell’Artsakh cibo, medicinali e altri beni essenziali e garantire la fornitura ininterrotta di elettricità e gas.

Pur non mettendo in discussione l’impegno della Russia nell’aiutare le parti a trovare una soluzione a lungo termine al conflitto Azerbaigian-Karabakh e facilitare la normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian, riteniamo necessario rilevare che la visione del dialogo tra Stepanakert e Baku proposta da la parte russa non è equilibrata. L’affermazione secondo cui è necessario un dialogo per concordare i diritti derivanti dagli obblighi internazionali, comprese le convenzioni sulla protezione dei diritti delle minoranze nazionali, riflette il punto di vista di una sola parte: l’Azerbaigian. Un tale approccio predetermina l’esito di ogni potenziale dialogo e quindi ne indebolisce e svaluta il significato.

L’affermazione che il conflitto Azerbaigian-Karabakh sia un problema di garantire i diritti di una minoranza nazionale è una falsa narrazione promossa dall’Azerbaigian con l’obiettivo di distorcere l’essenza del conflitto e giustificare la negazione del diritto del popolo dell’Artsakh all’autodeterminazione, determinazione principio fondamentale del diritto internazionale, più volte invocato dalla stessa Federazione Russa. 
I tentativi di trovare una soluzione al conflitto Azerbaigian-Karabakh basati sulla logica della salvaguardia dei diritti delle minoranze nazionali sono distaccati dalla realtà e non possono portare a una pace giusta, equilibrata e dignitosa. Sullo sfondo della palese inosservanza da parte dell’Azerbaigian delle disposizioni della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, e il suo obbligo internazionale di attuare le decisioni legalmente vincolanti della Corte internazionale di giustizia, osservare le norme del diritto umanitario internazionale ed eliminare tutte le forme di discriminazione razziale, le affermazioni che suggeriscono che l’Azerbaigian aderirà volontariamente a qualsiasi meccanismo sono prive di qualsiasi fondamento. I tentativi di imporre una tale visione della risoluzione dei conflitti sono carichi di conseguenze catastrofiche.

Per quanto riguarda l’osservazione che la questione più delicata dei negoziati “resta il problema delle garanzie per i diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh nel contesto dell’assicurazione dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian in piena conformità con la Dichiarazione del 1991 firmata dal leader delle ex repubbliche sovietiche ad Alma-Ata”, riteniamo opportuno ricordare ancora una volta che, al momento della firma del presente documento, la Repubblica dell’Artsakh aveva completato il processo di secessione dalla SSR dell’Azerbaigian in ottemperanza alla legislazione dell’Unione Sovietica Unione e le norme del diritto internazionale.

Inoltre, la Dichiarazione di Alma-Ata, come qualsiasi documento internazionale, dovrebbe essere guidata dagli scopi e dai principi della Carta delle Nazioni Unite e da altre norme e principi di diritto internazionale universalmente accettati. 
Pertanto, la Dichiarazione di Alma-Ata contiene gli stessi principi e norme della Carta delle Nazioni Unite, compreso il diritto all’autodeterminazione
Tuttavia, l’interpretazione del rapporto tra diverse norme giuridiche è soggetta alla logica generale dello sviluppo del diritto internazionale e della prassi internazionale. 
A questo proposito, riteniamo necessario sottolineare che il diritto alla secessione, fondato sul principio dell’autodeterminazione dei popoli, prevale sul principio dell’integrità territoriale degli Stati nei casi di massicce gravi violazioni dei diritti umani e di politiche discriminatorie
Questa formula, in particolare, è descritto nella Dichiarazione sui principi del diritto internazionale concernente le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, più volte invocata dal ministro degli Esteri russo. Esprimiamo il nostro consenso all’interpretazione più volte fornita dalla parte russa in merito al rapporto tra i principi del diritto all’autodeterminazione e l’integrità territoriale. Questo approccio si è affermato anche nelle pratiche giudiziarie di vari paesi.

Esortiamo con forza gli attori internazionali affinché nella risoluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh siano guidati esclusivamente dai principi del diritto internazionale e dagli interessi di persone che per quasi 8 mesi sono state sull’orlo di una catastrofe umanitaria, nonché sotto la crescente minaccia di pulizia etnica”.

[traduzione e grassetto redazionale]

Il presidente della Repubblica dell’Artsakh Arayik Harutyunyan ha dichiarato l’Artsakh una zona disastrata, affermando che l’Artsakh si trasformerà in un campo di concentramento se non ci saranno urgenti interventi internazionali di sostegno.

Tenendo conto dell’attuale grave situazione e delle crescenti minacce all’esistenza fisica del nostro popolo, oggi dichiaro Artsakh una zona disastrata, in attesa di una risposta internazionale urgente e di un sostegno politico e umanitario da parte della comunità internazionale in forma collettiva e individuale“, ha dichiarato Harutyunyan in una conferenza stampa tenutasi oggi.

Parlando delle sue aspettative da parte della comunità internazionale, il presidente Harutyunyan ha dichiarato: “Prima di tutto chiediamo alle parti della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, in particolare alla Russia, di attuare gli obblighi del garante della sicurezza, e chiediamo all’Armenia di rispettare il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh e di astenersi da qualsiasi dichiarazione o azione che riconosca l’Artsakh come parte dell’Azerbaigian“.

Ha aggiunto che Artsakh chiede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di agire per prevenire la politica di genocidio portata avanti dall’Azerbaigian e garantire che quest’ultimo si conformi agli ordini della Corte internazionale di giustizia e della CEDU sull’apertura del corridoio Lachin.

Chiedo al Segretario generale delle Nazioni Unite di mostrare responsabilità e leadership morali e politiche per mettere in guardia la comunità internazionale sulla grave situazione in cui versa il popolo dell’Artsakh. Chiedo al signor Guterres di lanciare, senza esitazione e indugio, il sistema delle Nazioni Unite per risolvere questa situazione”, ha detto Harutyunyan, aggiungendo di essere pronto a contattare personalmente il Segretario generale online e presentare la situazione.

Il presidente della Repubblica dell’Artsakh si è rivolto alla nazione parlando della grave situazione, delle azioni imminenti in mezzo al deterioramento della sicurezza, della situazione umanitaria causata dal blocco dell’Azerbaigian ma anche della inattività della comunità internazionale che non è andata oltre a generici richiami all’Azerbaigian. “Se entro una settimana la situazione del popolo dell’Artsakh non tornerà a uno stato più o meno stabile e normale con l’intervento internazionale, allora ricorreremo ad azioni più dure sia nell’Artsakh che al di fuori di esso” dichiara Harutyunyan.

“Cari compatrioti,
sono più di sette mesi che il popolo dell’Artsakh combatte contro il nuovo crimine azero contro l’umanità, il blocco. Gli ostacoli alla circolazione di cittadini, veicoli e merci dell’Artsakh, il divieto totale di consegna anche di beni umanitari nell’ultimo mese, la continua interruzione della fornitura di gas ed elettricità, le periodiche aggressioni e provocazioni militari, il terrorismo psicologico mirano a reprimere e rompere il libero arbitrio e il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh, soggiogarlo con la forza e portare infine alla pulizia etnica.

Il popolo e le autorità della Repubblica dell’Artsakh hanno ripetutamente espresso le loro posizioni, di cui vorrei evidenziare quanto segue:

  1. Ci battiamo per la realizzazione, il riconoscimento e la protezione del nostro diritto inalienabile a una vita dignitosa e all’autodeterminazione nella nostra patria, e questo diritto è naturale e non soggetto a negoziazione e concessioni.
  2. Nelle condizioni della politica sistemica di odio etnico e discriminazione contro il popolo armeno prevalente in Azerbaigian, in particolare gli armeni dell’Artsakh stanno affrontando una reale minaccia di distruzione fisica, che è chiaramente evidenziata dai crimini contro l’umanità del 2020 manifestati dalla guerra e l’attuale blocco. In tali circostanze, riconoscere e tutelare il nostro diritto all’autodeterminazione esterna è un mezzo indispensabile non solo per gestire il nostro destino, ma anche per garantire l’esistenza fisica di un intero popolo indigeno.
  3. Considerando inaccettabile la guerra del 2020, le sue modalità criminali e le sue conseguenze, allo stesso tempo abbiamo dovuto tenere conto della nuova realtà formata dalla dichiarazione tripartita del 9 novembre, sperando che almeno fornisca un certo ambiente stabile per lungo tempo tempo per la nostra gente di vivere in sicurezza e dignità nella loro patria. Tuttavia, durante questo periodo, abbiamo avuto una serie di aggressioni militari da parte dell’Azerbaigian, e due anni dopo la fine della guerra, già un blocco, poi un assedio completo, violando non solo le ben note norme del diritto internazionale, ma anche molte disposizioni della Dichiarazione Tripartita, riguardanti il corridoio del Kashatagh (Lachin), le garanzie delle truppe russe di mantenimento della pace e altri aspetti.
  4. Allo stesso tempo, siamo sempre stati aperti a discutere con la parte azera tutte le componenti del conflitto azero-karabako e le preoccupazioni delle parti, ci siamo sempre mostrati una parte costruttiva, rendendoci conto della nostra situazione vulnerabile, ma cercando di preservare i nostri diritti e interessi vitali. Tuttavia, l’Azerbaigian non ha mai voluto avere un vero dialogo con noi, incoraggiato dall’impunità internazionale, scegliendo la via della crescente oppressione e sottomissione.

Durante tutto il blocco, abbiamo sperato che vari attori della comunità internazionale sollevassero il blocco, impedendone l’ulteriore approfondimento. Tuttavia, abbiamo sentito solo belle parole.
Non abbiamo visto l’attuazione pratica né della Dichiarazione Tripartita, né delle ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU, né delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, né degli appelli delle organizzazioni internazionali, dei singoli stati e di altri attori.

La situazione della gente dell’Artsakh è diventata sempre più complicata.

Dopo l’estenuante blocco che dura da dicembre e il completo assedio dello scorso mese, ora in Artsakh abbiamo una grande carenza di cibo, carburante, medicine, igiene e altri beni di prima necessità; una sospensione quasi totale dei lavori agricoli, continue interruzioni delle infrastrutture idriche e di comunicazione, interruzioni nel lavoro di ospedali, panifici e altre strutture vitali per la mancanza di soluzioni alternative per l’approvvigionamento energetico; malnutrizione di bambini, donne incinte e altri gruppi vulnerabili; centinaia di famiglie separate, ecc., In pochi giorni, questa condizione diventerà molto più grave con tutte le sue conseguenze irreversibili.

Cari compatrioti,

Tenendo conto dell’attuale situazione disastrosa, ho deciso di ricorrere a una misura estrema, ovvero di unirmi al sit-in iniziato da molti cittadini in piazza della Rinascita a Stepanakert da questo momento. Questo è un ulteriore sforzo e allarme per attirare l’attenzione pratica internazionale, per sollecitare la comunità internazionale ad adempiere ai propri obblighi, per spingere il popolo armeno e tutti i nostri amici ad azioni attive e immediate.

Con questo sit-in, ci aspettiamo che Armenia, Russia, Stati Uniti, Francia, Unione Europea, Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e altri organismi autorizzati, così come tutti gli altri attori correlati, si astengano dall’incoraggiare l’Azerbaigian e ignorino le sue ulteriori azioni aggressive e criminali.

Aderire al sit-in che è iniziato è un passo estremo verso l’adempimento dei miei obblighi costituzionali, civili e nazionali, in questa situazione non ho trovato un’altra opzione più efficace.

Durante questi giorni, avrò l’opportunità di comunicare con tutti i principali attori e gruppi del movimento popolare, società in Piazza della Rinascita, per discutere insieme ciò che dobbiamo fare e per prendere insieme le decisioni appropriate e attuarle.
Se entro una settimana la situazione del popolo dell’Artsakh non tornerà a uno stato più o meno stabile e normale con l’intervento internazionale, allora ricorreremo ad azioni più dure sia nell’Artsakh che al di fuori di esso.

Possa Dio proteggere l’Artsakh e il popolo dell’Artsakh”

Arayik Hartyunyan, Stepanakert 17 luglio 2023

[Traduzione e grassetto redazionale]

Il Presidente della Repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, ha inviato lettere ai leader di tutti gli Stati membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU, al Segretario generale delle Nazioni Unite, al Presidente in carica dell’OSCE, al Presidente del Consiglio europeo, al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, nonché al Primo Ministro della Repubblica di Armenia, chiedendo l’applicazione di misure urgenti nel quadro degli obblighi internazionali assunti e misure efficaci per fermare il blocco illegale e completo dell’Artsakh effettuato dall’Azerbaigian e fermare i sistematici crimini di massa e il terrorismo contro il popolo dell’Artsakh.

Come si apprende dal messaggio diffuso dall’ufficio del Presidente dell’Artsakh, le lettere, oltre a presentare le aspettative della Repubblica dell’Artsakh da parte di ciascun destinatario, facevano anche riferimento alla situazione attuale. La parte principale del testo delle lettere è presentata di seguito.

” Io,  in qualità di Presidente della Repubblica dell’Artsakh ( Nagorno Karabakh ), a nome del governo e del popolo dell’Artsakh, con questo appello urgente, allerto la comunità internazionale sull’emergente e l’aggravarsi della crisi di sicurezza e umanitaria nell’Artsakh  che sta rapidamente trasformandosi in un disastro.
Questa situazione si è formata a seguito delle seguenti azioni criminali compiute dall’Azerbaigian.

Nel 2022 il 12 dicembre, a seguito del blocco illegale da parte dell’Azerbaigian del corridoio Lachin (Kashatagh) che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo esterno, circa 120.000 persone dell’Artsakh si sono ritrovate sotto assedio. Inoltre, circa 30.000 cittadini della Repubblica dell’Artsakh sono stati privati ​​della possibilità di esercitare il diritto al ritorno in patria.

Da allora, il movimento umanitario di persone e merci attraverso il Corridoio Lachin avviene esclusivamente dal Comitato Internazionale della Croce Rossa e dalle forze di pace russe, con un volume molto limitato e alcune interruzioni periodiche, e il movimento dei veicoli dei cittadini dell’Artsakh è completamente proibito.

Nel 2023 dal 9 gennaio, l’Azerbaigian ha interrotto la fornitura di energia elettrica sull’unica linea ad alta tensione tra Armenia e Artsakh, causando gravi problemi energetici e umanitari in Artsakh durante questi 185 giorni, blackout giornalieri di sei ore, diminuzione del 48% del consumo di elettricità ed esaurimento dei locali sistemi di produzione e fornitura di energia elettrica.  Dal 13 dicembre, e quasi ininterrottamente dal 21 marzo, l’Azerbaigian ha interrotto l’unica fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh (per un totale di 148 giorni), aggravando così la crisi energetica e umanitaria.

Il 23 aprile, l’Azerbaigian ha istituito un posto di blocco illegale al confine tra Artsakh e Armenia, nel corridoio Lachin, avviando ufficialmente e apertamente un controllo militare, severo e arbitrario su tutti i movimenti.

Dal 15 giugno, l’Azerbaigian ha bloccato completamente il Corridoio Lachin, vietando completamente il trasporto di andata e ritorno di qualsiasi persona o merce (inclusi cibo, medicine, articoli per l’igiene, carburante) anche da parte della Croce Rossa e delle forze di pace.

Dal 25 giugno al 10 luglio è stato ripristinato in misura molto limitata il trasporto di pazienti medici con problemi urgenti ai centri medici armeni attraverso la Croce Rossa, così come l’importazione di alcuni medicinali in Artsakh, e dal 10 luglio il movimento di la Croce Rossa è stato nuovamente bloccato.

Durante tutto questo periodo, l’Azerbaigian ha usato la forza e la minaccia della forza contro il popolo dell’Artsakh, con evidenti manifestazioni di odio etnico e terrorismo, e con lo scopo palese della pulizia etnica.

L’uso della forza da parte dell’Azerbaigian e la minaccia della forza continuano a ostacolare l’organizzazione delle attività agricole su circa 10.000 ettari di terreno adiacente alla linea di contatto, che costituisce una parte significativa del totale dei terreni coltivati.

Soprattutto a seguito della sospensione di tutti gli aiuti umanitari dal 15 giugno e dell’utilizzo delle sole scorte interne, la situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno, in particolare:

  • c’è un peggioramento della scarsità di cibo, e questo per il fatto che prima del blocco, circa il 90% di tutto il cibo consumato veniva importato dall’Armenia;
  • A causa della crescente carenza di carburante e di altre risorse necessarie, circa il 70 percento dei lavori agricoli pianificati non è stato eseguito e più in altri rami dell’economia.
  • Per lo stesso motivo la circolazione interna del trasporto pubblico si è ridotta di circa il 50 per cento, e nel caso del trasporto privato, quasi del tutto,
  • La crescente carenza di medicinali, forniture mediche e igieniche e il divieto di trasportare pazienti medici in Armenia rappresentano minacce crescenti per la vita e la salute delle persone,
  • In condizioni di interruzioni di corrente quotidiane e carenza di carburante, le apparecchiature mediche funzionano con grande difficoltà e interruzioni, portando a un’ulteriore diminuzione del volume e della qualità dei servizi forniti,
  • A causa della mancanza di alimenti e vitamine necessari circa 2.000 donne incinte e circa 30.000 bambini devono sopravvivere in condizioni di malnutrizione,
  • Interruzioni di corrente quotidiane e carenze di carburante e altri beni di prima necessità causano gravi interruzioni nell’approvvigionamento idrico e nelle infrastrutture di telecomunicazione in molti insediamenti;
  • A causa del blocco e dell’interruzione delle forniture di elettricità e gas, circa 12.000 persone sono diventate disoccupate e hanno perso la loro fonte di reddito, che rappresenta oltre il 60% delle persone che lavorano effettivamente nel settore privato.

Il blocco completo della Repubblica dell’Artsakh e il suo isolamento dal mondo esterno, effettuato con l’obiettivo di soggiogare con la forza il popolo dell’Artsakh, aggrava la crisi umanitaria e prepara un terreno favorevole affinché i continui crimini contro l’umanità dell’Azerbaigian si trasformino in crimine di genocidio. Con tali misure, l’Azerbaigian crea deliberatamente condizioni insopportabili per la vita del popolo dell’Artsakh, con l’obiettivo di ottenere lo spopolamento dell’Artsakh e la distruzione del popolo dell’Artsakh in quanto tale.

Le menzionate e molte altre questioni di sicurezza e umanitarie pongono minacce crescenti all’esistenza fisica del popolo dell’Artsakh. La situazione attuale è esplosiva e rischia di trasformarsi in un vero e proprio disastro non solo per la popolazione dell’Artsakh, ma anche per l’intera regione in brevissimo tempo.

Purtroppo, l’Azerbaigian continua a dimostrare un intenzionale disprezzo per i suoi obblighi internazionali, violando ripetutamente le disposizioni della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, la sentenza del 21 dicembre 2023 della Corte europea dei diritti dell’uomo, le ordinanze emesse dalla Corte internazionale di giustizia il 22 febbraio e il 6 luglio 2023. Le azioni dell’Azerbaigian persistono nonostante le richieste e gli appelli di numerose organizzazioni e stati internazionali. Inoltre, le attività aggressive e criminali dell’Azerbaigian sono state alimentate dal prevalente senso di impunità all’interno della comunità internazionale”.

”Il popolo della Repubblica dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), di fronte alla minaccia del genocidio, fa appello a tutti i Paesi e popoli del mondo, nonché alle organizzazioni internazionali designate a garantire la corretta attuazione del diritto internazionale.
Dal 15 giugno 2023, ricorrendo a una provocazione sul ponte Hakari, l’Azerbaigian ha inasprito il blocco dell’Artsakh, che dura da quasi 7 mesi, a partire dal 12 dicembre 2022, e ha bloccato i trasporti umanitari effettuati dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) e il contingente russo per il mantenimento della pace, compreso il trasporto di pazienti alle istituzioni mediche della Repubblica di Armenia, forniture di cibo, medicinali, beni di prima necessità, carburante, aggravando così drasticamente la crisi umanitaria nel paese. Una settimana dopo, il 22 giugno 2023, la parte azera ha installato blocchi di cemento sul ponte dove era stato installato un posto di blocco illegale il 23 aprile 2023, bloccando letteralmente l’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno.

Dal 25 giugno 2023 è stato ripristinato il trasporto dei pazienti alle istituzioni mediche in Armenia accompagnati dal CICR, tuttavia, conoscendo il modello distruttivo dell’Azerbaigian, che utilizza le questioni umanitarie come leva di pressione sull’Artsakh, non ci sono garanzie che non sarà interrotto ancora una volta. Queste azioni dell’Azerbaigian non dovrebbero essere considerate come atti di aggressione separati, ma come parte della coerente e sistematica politica di pulizia etnica contro l’Artsakh e la sua popolazione indigena armena.

Nella notte del 28 giugno 2023, l’Azerbaigian ha fatto ricorso a un’altra provocazione militare contro l’Artsakh utilizzando artiglieria a lungo raggio e un drone, provocando la morte di quattro militari dell’Artsakh che difendevano la loro patria e la popolazione pacifica dall’aggressione azera.
Ignorando le risoluzioni adottate dal Parlamento europeo del 19 gennaio 2023 e dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) del 22 giugno 2023, la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 21 dicembre 2022, la decisione della Corte internazionale di giustizia (ICJ) delle Nazioni Unite (ONU) del 22 febbraio 2023, l’Azerbaigian, come se deridesse l’autorità di queste organizzazioni, continua ostinatamente a condurre la politica di genocidio e patriacidio contro il popolo dell’Artsakh, dimostrando una volontà criminale, opponendosi così al mondo civilizzato. Inoltre, il presidente dell’Azerbaigian si permette apertamente di minacciare i rappresentanti della comunità internazionale che non condividono il suo approccio alla risoluzione della questione dell’Artsakh, pur ritenendo che il diritto internazionale sia interamente dalla parte dell’Azerbaigian.

Il governo di Baku respinge la richiesta di fornire garanzie per la sicurezza del popolo dell’Artsakh e insiste costantemente sul fatto che si tratta di un problema interno dell’Azerbaigian, che intende risolvere a sua discrezione. Sullo sfondo della palese armenofobia, che è diventata parte della politica statale del regime autoritario dell’Azerbaigian e permea completamente la società azera. Poiché ci sono molte prove, non è difficile immaginare quale potrebbe essere questa “soluzione” se il popolo dell’Artsakh si trovasse improvvisamente sotto il dominio di Baku. Accogliamo con favore la crescente comprensione internazionale secondo cui il popolo dell’Artsakh ha bisogno di solide garanzie internazionali di protezione. Ringraziamo i membri del Congresso che hanno parlato su questo argomento al Congresso degli Stati Uniti il 21 giugno 2023, chiamando pane al pane e dando una valutazione obiettiva della politica dell’Azerbaigian, così come tutti gli altri attori internazionali che hanno il coraggio di parlare ad alta voce del minacce esistenziali poste dall’Azerbaigian e che incombono sul popolo dell’Artsakh.

Esprimiamo la nostra speranza che sempre più persone nel mondo capiscano le vere cause di questo conflitto e capiscano perché il popolo del Nagorno Karabakh ha fatto una legittima richiesta di ritirarsi dalla RSS Azera e unirsi all’Armenia nel 1988, che ha portato all’inizio dell’aggressione azera e di una sanguinosa guerra in cui il popolo dell’Artsakh è stato costretto a difendersi.

Ora, quando ci sono appelli da varie piattaforme internazionali per una risoluzione pacifica del conflitto includendo l’Artsakh in Azerbaigian, suggeriamo di ricordare la storia della seconda guerra mondiale e provare a immaginare: sarebbe possibile chiamare gli ebrei a vivere sotto il regime nazista di Hitler? Governo? L’Azerbaigian moderno è anche uno Stato nazista in relazione agli armeni, e non è difficile accertarsene – nel caso di uno sguardo obiettivo a questo problema senza il consumo unilaterale della propaganda azera.

Essendo sopravvissuto agli orrori delle tre guerre scatenate dall’Azerbaigian, pogrom, esilio, terrore psicologico, perdite umane e materiali, continuando a convivere con l’incombente minaccia esistenziale, il popolo dell’Artsakh chiede di utilizzare tutti i meccanismi internazionali esistenti per prevenire la pulizia etnica e il genocidio effettuato dall’Azerbaigian. In considerazione della situazione attuale, chiediamo la presenza di rappresentanti di tutte le organizzazioni internazionali pertinenti in Artsakh.

Tenendo conto delle violazioni degli accordi riflessi nel punto 6 della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, secondo cui dovrebbe essere garantito il passaggio libero e sicuro attraverso il corridoio Lachin, chiediamo alle organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite, di inviare una missione internazionale nella Repubblica dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) al fine di prevenire una catastrofe umanitaria nell’Artsakh, rafforzare e migliorare il funzionamento dell’istituto di mantenimento della pace. Inoltre, a causa del fatto che l’Azerbaigian ignora apertamente l’attuazione delle decisioni della CEDU e dell’ICJ delle Nazioni Unite emesse durante il blocco, facciamo appello alla comunità internazionale affinché imponga sanzioni contro questo paese.

A nome della società civile dell’Artsakh, facciamo appello ai diritti umani internazionali e alla società civile affinché contribuiscano a portare la voce dell’Artsakh alla più ampia comunità internazionale e chiediamo che i loro governi adottino misure preventive reali per prevenire i prossimi crimini dell’Azerbaigian contro l’umanità.

Pur esprimendo la nostra gratitudine per essere preoccupati per il destino del popolo dell’Artsakh, sottolineiamo che l’unica garanzia affidabile dei nostri diritti e della nostra sicurezza è il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh, che si basa sul diritto del popolo a l’autodeterminazione, sancita dal diritto internazionale, e il libero arbitrio del popolo dell’Artsakh.
L’Artsakh non è un “territorio” ereditato da qualcuno per diritto dei forti, ma la nostra Patria, dove abbiamo un diritto pieno e inalienabile a una vita sicura. L’Artsakh non è solo una manciata di 120.000 persone, senza contare i circa 30.000 residenti dell’Artsakh sfollati con la forza, che sono stati espulsi dalle loro case a seguito dell’aggressione militare dell’Azerbaigian nel 2020. Oggi l’Artsakh è una prova dei valori dichiarati dal mondo democratico e un cartina di tornasole dell’ordine mondiale.

L’essenza del sistema di valori dell’ordine mondiale in mutamento sarà definita dalla scelta tra bugie, discriminazione, violenza, terrorismo, autoritarismo da un lato o libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani dall’altro”.

[Questo appello, datato 10 luglio 2023, è stato firmato da 28 ONG della repubblica di Artsakh- Nagorno Karabakh)

L’ambasciatore statunitense in Armenia, Kristina Kvien, intervistato dalla televisione pubblica armena ha dichiarato tra l’altro che “gli Stati Uniti credono e sperano che i residenti armeni del Karabakh saranno in grado di vivere in sicurezza dentro l’Azerbaigian“.

Non sappiamo se al momento di rilasciare questa dichiarazione l’ambasciatore fosse in pieno possesso delle proprie facoltà mentali o se davvero a Washington pensano che la popolazione armena dell’Artsakh – oggetto di odio azero da decenni – possa vivere tranquillamente all’ombra della dittatura di Aliyev.

Alla sconsiderata affermazione ha replicato Davit Babayan, consigliere del presidente dell’Artsakh.

Il Paese, leader del mondo democratico, la cui intera costruzione statale si basa sulla democrazia e sui diritti umani, sta violando i principi democratici. Non importa se uno Stato democratico sia riconosciuto o meno, il consgenarlo a uno Stato totalitario e dichiarando con una faccia come Madre Teresa che credono che lì andrà tutto bene, è solo un degrado dei principi democratici e dei diritti umani. Dobbiamo essere molto onesti perché noi [l’Artsakh] abbiamo combattuto per la democrazia per diversi decenni e abbiamo fatto di più nella lotta per la democrazia di quella stessa ambasciatrice e dei suoi capi. La questione del Karabakh è, prima di tutto, una lotta per la democrazia e i diritti umani“, ha detto Babayan.

Il quale aggiunge: “Voglio chiedere all’ambasciatore americano quando annuncia la possibilità di garanzie di sicurezza per gli ‘armeni del Karabakh’ in Azerbaigian: e Taiwan non può far parte della Cina? Dopotutto, sono le stesse persone, soprattutto da quando i cinesi hanno dimostrato in pratica di poter costruire “uno Stato, due sistemi” sull’esempio di Hong Kong e Macao.
E il Kosovo non può far parte della Serbia? Perché l’avete bombardata e distrutta? La Bosnia non potrebbe far parte della Jugoslavia? Siria, Libia, Iraq, Afghanistan. È meglio lì adesso rispetto a prima che tu venissi? Allora perché la Crimea non può far parte della Russia? Perché combatti, spendi miliardi di dollari e milioni di persone muoiono in un caso, ma qui ritieni possibile che uno Stato democratico faccia parte di uno Stato totalitario
?”

Babayan, inoltre, sottolinea il fatto che gli Stati Uniti “credono” e “sperano” ma non prometto di far rispettare i diritti umani e politici degli armeni nella regione.

L’Assemblea nazionale dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), a seguito dell’attacco azero di questa notte costato la vita a quattro soldati armeni, ha adottato una dichiarazione che invita la delegazione dell’Armenia attualmente a Washington DC a interrompere immediatamente i colloqui con l’Azerbaigian.

Le forze armate dell’Azerbaigian, violando ancora una volta gravemente il regime di cessate il fuoco in Nagorno Karabakh adottato il 9 novembre 2020, dall’1:30 del 27-28 giugno di quest’anno, hanno aperto il fuoco con vari tipi di armi in direzione del territorio della Repubblica dell’Artsakh, a seguito della quale sono stati uccisi quattro dei nostri compatrioti.

Nelle condizioni di blocco completo dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian, questa ennesima uccisione di cittadini dell’Artsakh per mezzo di artiglieria e UAV dimostra che la leadership politico-militare di quella repubblica, ignorando le chiamate e le decisioni internazionali autorevoli, si insinua con falsi programmi di pace e dialogo, e si adopera per azioni di genocidio con l’uso di strumenti militari, politici ed economici per raggiungere il suo obiettivo principale: la de-armenizzazione finale dell’Artsakh.

È degno di nota e significativo che questo nuovo episodio di violazioni regolari del regime di cessate il fuoco da parte dell’Azerbaigian, simile ai casi precedenti, sia stato registrato anche in un momento in cui sono in corso a Washington, con la mediazione del Segretario di Stato americano, colloqui dei ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian sul tema di un accordo di pace armeno-azero. Ciò, ovviamente, conferma e dimostra ancora una volta che in realtà anche i colloqui sul trattato di pace in corso non sono altro che un’imitazione della formazione di un’atmosfera di pace e stabilità durature nella regione, presumibilmente nel contesto degli sforzi internazionali.

Profondamente preoccupati per l’attuale pericolosa realtà, facciamo appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a nome del popolo dell’Artsakh, ai leader dei paesi copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, affinché compiano passi pratici concreti oltre alle dichiarazioni di solidarietà, esortazioni e consigli, in particolare ad applicare sanzioni all’Azerbaigian, frenandone le ambizioni aggressive.

Siamo convinti che il metodo di lavoro dei doppi standard renda l’Azerbaijan ancora più entusiasmante, rendendolo dilagante e incontrollabile.

Fermare le azioni antiumane e genocide dell’Azerbaigian, con le misure più severe nell’ambito della missione di pace della Federazione Russa.

La delegazione dell’Armenia a Washington parla per interrompere immediatamente i colloqui avviati fino all’istituzione di un cessate il fuoco completo sulla linea di contatto con l’Artsakh e ai confini dell’Armenia, e fornendo garanzie documentali per preservarlo. Altrimenti, la continuazione del i colloqui significheranno incoraggiare il comportamento aggressivo della parte azera e consentirlo a livello internazionale.

Inchinandoci davanti alla memoria dei nostri quattro martiri che hanno sacrificato la loro vita per la patria, siamo pronti a continuare il loro sacro lavoro”.