L’anno che verrà

Siamo certi che anche nel 2026 gli sfollati armeni dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) non potranno fare ritorno a casa. Forse ciò non avverrà mai a meno che, caduto il dittatore azero, un nuovo Azerbaigian democratico volti pagina e seppellisca una volte per tutte la retorica di guerra.

Di sicuro l’anno che sta arrivando porterà nelle prime settimane pesanti condanne a carico degli ostaggi armeni illegalmente detenuti in Azerbaigian e oggetto di un processo farsa con sentenze già prese prima ancora di iniziare. L’unica speranza è che Aliyev, tronfio per le condanne inflitte al nemico armeno, sia poi indotto a rilasciare se non tutti almeno una buona parte dei prigionieri.
Contiamo sulla pressione internazionale (molto fiacca) e su qualche iniziativa del governo armeno (che apparentemente non si scompone più di tanto…).

Il 2026 potrebbe forse portare a nuovi passi verso la normalizzazione delle relazioni con Turchia e lo stesso Azerbaigian.

Ma la parola “pace” è stata fin troppo abusata sopratutto da media e politici che non si rendono ben conto della situazione regionale.

Ci sarà “pace” non quando verrà firmato un trattato vero e proprio ma solo quando saranno rilasciati i prigionieri di guerra armeni, i soldati azeri si ritireranno dal territorio dell’Armenia, i monumenti del nostro Artsakh saranno preservati e non oggetto di vandalismi o demolizioni da parte degli occupanti azeri.

Ci sarà “pace” quando a Baku smetteranno di parlare di “Azerbaigian occidentale”, quando impareranno a usare una narrazione non di minaccia e di aggressione, quando nelle scuole elementari dell’Azerbaigian non si insegnerà più più a odiare l’armeno e non si bruceranno più le sue bandiere.

BUON ANNO A TUTTI

(con un pensiero sociale per gli armeni che si trovano nelle prigioni azere)