Mine vaganti

Riassumiamo: gli azeri scatenano una guerra in piena pandemia fregandosene delle raccomandazioni ONU. Con un dispiego di uomini e mezzi senza precedenti, aiutati logisticamente dalla Turchia e da mercenari jihadisti tagliagole assoldati un tanto ad armeno ammazzato, hanno attaccato la minuscola repubblica dell’Artsakh, 150.000 abitanti.

Si sono fatti beffa delle raccomandazioni internazionali e di anni di negoziati non approdati a conclusione solo per la testardaggine nazionalista del dittatore Aliyev.
Nel corso della guerra hanno commesso crimini orribili sia contro i soldati armeni che contro la popolazione civile. Dopo sei settimane di conflitto cadenzato anche da cluster bomb e bombe al fosforo sui centri abitati, hanno strappato una tregua al nemico sconfitto.

Poi, nei territori occupati, hanno cominciato a distruggere tutto ciò che aveva qualche attinenza con l’identità armena, hanno demolito chiese e cimiteri, Aliyev ha dato esplicito ordine di rimuovere qualsiasi iscrizione armena da ogni edificio della regione e al tempo stesso ha impedito agli ispettori Unesco di controllare la situazione sul campo.

Hanno umiliato il nemico sconfitto con un macabro “Parco della vittoria” dove scorrazzano ignari bambini fra gli elmetti dei soldati armeni morti in battaglia e manichini rappresentanti il nemico in pose degradanti secondo uno schema di body shaming degno della Germania nazista.

Contravvenendo a quanto stabilito dall’accordo di tregua del 9 novembre hanno ucciso e catturato altri soldati armeni che erano rimasti a presidiare sacche di territorio e per giustificare tali azioni li hanno etichettato come “terroristi e sabotatori”, stesso appellativo utilizzato per uomini e donne civili rapiti dopo la guerra.

Circa duecento armeni sono tenuti prigionieri come ostaggi di Baku, alcuni torturati e ammazzati.

In violazione dei confini internazionali, centinaia di soldati dell’Azerbaigian hanno oltrepassato il confine di Stato e sono entrati nel territorio della repubblica di Armenia cercando di acquisire posizioni strategicamente più rilevanti; con la scusa di rivedere la linea di frontiera di epoca sovietica, ancora una volta l’Azerbaigian usa la forza e la minaccia della forza per risolvere i suoi problemi. Se non si è arrivati a una nuova guerra è solo per la saggezza nel non cadere in una evidente provocazione. Intanto altri sei soldati armeni vengono catturati dagli azeri nel territorio dell’Armenia e fatti passare, anche loro, come “sabotatori”.

Ieri, in una stradina sterrata nella regione di Karvachar (già facente parte dell’Artsakh ora sotto controllo azero) un autocarro azero è saltato per aria a causa di una mina e sono morte tre persone (compreso un giornalista e un cameraman).  Dispiace per le perdite umane, ma questa è purtroppo la conseguenza della guerra.

Questo episodio, ancora una volta, è stato il pretesto per le autorità dell’Azerbaigian per accusare l’Armenia di attività criminale: sì, hanno detto proprio così a Baku e i rappresentanti delle sedi diplomatiche sparse per il mondo compresa quella italiana.
Hanno dichiarato che sono stati gli armeni a piazzare la mina: cioè, questi “sabotatori” avrebbero superato le guardie di frontiera azere, quelle russe della forza di pace, sarebbero entrati nel territorio controllato dal nemico per undici chilometri e avrebbero interrato una mina in un viottolo di campagna di una remota località in mezzo alle montagne. Tutto può essere, ma non ci stupiremmo certo se fossero stati gli stessi azeri a organizzare il tutto con buona pace per vittime e feriti. Intanto però è subito partita ben orchestrata la campagna di accuse agli armeni. Nulla di nuovo, gli azeri hanno sempre lanciato il sasso e accusato il nemico. Fanno il loro lavoro, non gliene vogliamo…

Quello che è assolutamente inaccettabile è che ci sia una manciata (per fortuna molto ridotta) di politici italiani pronta a sposare sic et simpliciter la tesi azera. Personaggi patetici, venduti alla causa azera senza alcuna cognizione storica e politica della questione; buoni solo a ripetere a comando, servi sciocchi del ricco padrone di Baku, le parole d’ordine della propaganda azera.
Personaggi senza dignità, incapaci di spendere due parole per capire meglio i problemi e cercare anche le ragioni degli “altri”.

Mine vaganti della politica italiana.