Il premier armeno ha annunciato di aver firmato una dichiarazione congiunta con Russia e Azerbaigian per la fine della guerra alle ore 1 locali (le 22 in Italia). Questo il messaggio del premier armeno:

Cari compatrioti, sorelle e fratelli, ho preso una decisione difficile, estremamente difficile per me personalmente e per tutti noi. Ho firmato una dichiarazione con i Presidenti di Russia e Azerbaigian sulla fine della guerra a partire dall’01: 00. Il testo della dichiarazione che è già stato pubblicato è estremamente doloroso per me personalmente e per il nostro popolo. Ho fatto quella discussione sulla base di un’analisi approfondita della situazione militare e delle valutazioni degli individui che meglio comprendevano quella situazione, anche sulla base della convinzione che nella situazione esistente questo fosse il miglior risultato POSSIBILE. Mi rivolgerò alla nazione nei prossimi giorni riguardo a tutto questo. Questa non è una vittoria, ma non c’è sconfitta fino a quando non ti consideri sconfitto. Non ci considereremo mai sconfitti e questo deve diventare il punto di partenza della nostra unità nazionale, era di rinascita. Dobbiamo analizzare gli anni della nostra indipendenza, pianificare il nostro futuro per non ripetere i nostri errori del passato. Mi inginocchio davanti a tutti i nostri martiri. Mi inginocchio davanti a tutti i nostri soldati, ufficiali, generali e volontari che hanno difeso e difeso la loro Patria sacrificando le loro vite. Hanno salvato gli armeni dell’Artsakh con il loro altruismo. Abbiamo lottato fino all’ultimo e vinceremo. Artsakh è in piedi. Lunga vita all’Armenia, lunga vita all’Artsakh ”.

Non sono ancora stati resi noti i dettagli. Secondo alcune indiscrezioni circolate in questi minuti il testo dell’accordo dovrebbero essere il seguente:

“Noi, presidente della repubblica dell’Azerbaigian I. Aliyev, Primo ministro della repubblica dell’Armenia N. Pashinyan, e il presidente della Federazione russa V. Putin abbiamo annunciato ciò che segue:

  1. Un completo cessate il fuoco e di tutte le ostilità nel Nagorno Karabakh zona di conflitto è annunciato alle ore 00:00 ora di Mosca del 10 novembre 2020. La repubblica dell’Azerbaigian, la repubblica dell’Armenia, da qui in avanti “le parti” si fermano alle loro posizioni.
  2. La regione di Aghdam e i territori tenuti dalla parte armena nella regione del Gazakh (al confine della regione di Tavush in Armenia, NdR) della repubblica dell’Azerbaigian saranno restituiti alla parte azerbaigiana al 20 novembre 2020
  3. Lungo la linea di contatto nel Nagorno Karabakh e lungo il corridoio di Lachin un contingente di peace keeping della Federazione russa è impiegato nel numero di 1960 uomini di servizio con piccole armi, 90 veicoli di trasporto truppe corazzati, 380 unità di automobili ed equipaggiamento speciale
  4. Il contingente pacificatore della Federazione russa è dislocato parallelamente al ritirarsi delle forze armene. La durata della permanenza del contingente di peace keeping della Federazione russa è cinque anni con automatica estensione per i successivi cinque anni, se nessuna delle due parti dichiara sei mesi prima la scadenza del periodo l’intenzione di terminare l’applicazione di questa disposizione.
  5. In ordine di aumentare l’effettività del controllo sull’implementazione degli accordi delle parti in conflitto un centro di mantenimento della pace è impiegato per controllare il cessate-il-fuoco.
  6. La repubblica dell’Armenia restituirà la regione Kelbajar alla repubblica dell’Azerbaigian entro il 15 novembre 2020 e la regione di Lachin entro il 1 dicembre 2020 lasciando dietro il corridoio Lachin (largo cinque chilometri) che assicurerà la connessione del Nagorno Karabakh con l’Armenia e al tempo stesso non interesserà la città di Shushi.

[testo non ufficiale, traduzione redazionale]

La città, una rocca difficilmente espugnabile, è al momento il principale obiettivo di Aliyev. Analizziamo la situazione sul campo

Ci riuscirono gli armeni nel 1992. La guerra, ancora una volta scatenata dagli azeri, infuriava da fine gennaio e la conquista della città era per gli armeni una questione di vita o di morte.

Shushi, infatti, sorge in quota, tra i 1440 e i 1600 metri, domina dall’alto la piana di Stepanakert e all’epoca era utilizzata come base per colpire la capitale della neonata repubblica. Allora la popolazione, circa 10.000 abitanti, era solo azera; i quartieri armeni, nel 1920, furono dati alle fiamme, migliaia di persone furono trucidate o costrette alla fuga, di qui la “purezza” azera della città.

La battaglia infuriò a partire dell’8 maggio e durò diverse ore: circa duemila armeni procedettero su quattro direttrici diverse convergendo intorno alla rocca che sul fianco sud non era stata difesa perchè dalla gola Hunot si alza una imponente parete di roccia alta più di duecento metri. Un commando guidato da Ashot Ghoulyan (nome di battaglia Pekor) riusci a scalare il contrafforte montuoso e colse di sorpresa il nemico. All’alba del 9 maggio Shushi era stata liberata. Da quel momento in poi la guerra cambiò il suo corso, il corridoio di Lachin fu liberato e le forze nemiche progressivamente sconfitte.

Oggi, gli azeri stanno puntando alla città la cui conquista nell’immaginario azero avrebbe un valore enorme per lavare l’onta militare subita ventotto anni fa.

Ma le forze azere, spalleggiate dai mercenari jihadisti, si sono rese presto conto che espugnare la rocca è tutt’altro che facile e stanno subendo notevoli perdite. Certo, oggi la guerra turco-azera si avvale dei micidiali droni, ma un conto è lo scontro in campo aperto con gli eserciti che si fronteggiano apertamente (come accaduto nella piana a sud vicino al confine con l’Iran), altro è stanare il nemico dall’alto in mezzo alle foreste che circondano la zona. E poi con il brutto tempo i droni non volano e la stagione fredda si sta avvicinando rapidamente.

Per chi non conosce lo stato dei luoghi, cerchiamo di dare un aiuto. L’unica strada carrozzabile che porta a Shushi è quella che dall’Armenia (Goris) scende nel famoso corridoio di Lachin con parecchi tornanti per poi arrampicarsi nuovamente sui contrafforti montuosi dell’Artsakh passando per Berdzor fino a Stepanakert; poco prima della capitale c’è una deviazione sulla destra che sale a Shushi.

Gli azeri hanno provato ad arrivare sulla strada infilandosi nelle montagne a est di Berdzor ma sono stati falciati dalla difesa armena. La strada corre per lunghi tratti a mezza quota ed è esposta al tiro di chi difende.

A sud-est la profonda gola di Hunot è un potente baluardo: anche in questo settore gli azeri hanno provato a infilarsi rimanendo imbottigliati con molti veicoli armati distrutti. Battaglie si sono svolte nei pressi del villaggio di Karin Tak.

Il fianco nord è adeguatamente presidiato dagli armeni, mentre la parte sud-ovest è interessata da montagne che raggiungono i 1500/1600 metri di altezza, non vi sono strade carrozzabili ma solo sentieri che i carri armati non possono percorrere. L’inverno si sta avvicinando (venerdì a Stepanakert, in basso, la temperatura minima era di 8 gradi, sulle cime più alte è già nevicato) e muoversi su quel terreno è molto difficile. Anche perchè la difesa, in mezzo ai boschi o in piccoli altopiani è decisamente più agevole.

L’unica soluzione per gli azeri potrebbe essere utilizzare la strada che da est (Karmin Shuka) arriva fin quasi a Stepanakert. In questi giorni sono in corso violenti scontri proprio in quel settore dove il nemico sta spingendo. Ma anche ammesso e non concesso che riesca ad avanzare, per raggiungere Shushi dovrebbe arrivare fin quasi alla capitale, passando dal villaggio di Shosh ma anche in questo caso vale il discorso della strada di Berdzor, ovvero la maggior esposizione di uomini e mezzi in una valle piuttosto stretta.

I pesanti combattimenti che ancora oggi si registrano vicino a Shushi confermano che la città è l’obiettivo primario azero in questa fase della guerra. Ma, per loro non sarà facile e c’è il rischio che questi tentativi si infrangano contro la difesa armena aumentando ancor di più il pesante bilancio di perdite dell’Azerbaigian.

La forza militare messa in campo da Aliyev sia per uomini che per armamenti è enorme: parliamo di un esercito di 100.000 uomini più 300.000 riservisti che dichiara guerra a uno Stato di 150.000 abitanti. Più passa il tempo (e peggiora il meteo) più sarà difficile per gli azeri avanzare. Per questo stanno spingendo con tale intensità in questi giorni.

La mattina dell’8 novembre il presidente Aliyev sui social ha annunciato la “liberazione” della città ma a distanza di alcune ore non è stato postato alcun video che conferma tale circostanza. Le notizie parlano invece di violentissimi scontri, con incursori azeri che cercano di entrare in alcune zone dell’abitato ma vengono poi ricacciati indietro dagli armeni. Nonostante le tante perdite subite, le forze azere mandano ondate di soldati con l’imperativo di dar seguito al proclama presidenziale.

Il giorno seguente, proseguono violenti combattimenti in tutto il settore; nel pomeriggio, a oltre trenta ore dall’annuncio del presidente azero, il media dell’Azerbaigian diffondono un video di un minuto e mezzo dove un gruppo di una decina di soldati percorre velocemente un tratto di strada all’inizio dell’abitato, si ferma per foto davanti al palazzo di città e prosegue per 300/500 metri fino alla moschea superiore. Sono gli stessi incursori che nella conferenza stampa serale del comando difesa armeno vengono confermati ma che sarebbero stati eliminati o messi in fuga. Nessun altro video a conferma della “liberazione” di Shushi.

Forse ci riusciranno vista la sproporzione di forze in campo ma pagheranno un prezzo altissimo. Per non parlare del fatto che, una volta arrivati alla città, dovranno anche tenerla. Non basta piantare una bandiera con 50 o 100 incursori.

E poi, forse, comincerà la battaglia per Stepanakert…

Conosciamo tuti la biografia di Ilham Aliyev, figlio di Heydar e nipote di Alirza. Del nonno si sa ben poco salvo che è statoprobabilmente rimosso dalla storiografia ufficiale perché nato in Armenia (Tanahat, Syunik) e forse di origine curda.

Il padre Heydar, burocrate di partito di lunga data, si è inserito nella politica dell’Azerbaigian post-comunista governando con il pugno di ferro un Paese privo di storia, comparso sulle mappe planetarie solo dopo il 1918, e reduce dalla cocente sconfitta contro gli armeni nella prima guerra del Nagorno Karabakh.

Alla sua morte il potere è passato al figlio che fino a quel momento si era distinto solo per la passione per il gioco e per le donne.

Governare uno Stato dove la popolazione è soggetta a controllo ferreo e rigida censura può essere facile e difficile al tempo stesso. Ma diventa agevole quando il Paese galleggia su un mare di gas e petrolio e incassa miliardi di dollari ogni anno grazie alle provvidenziali pipeline; e diviene anche piacevole quando una parte di quella marea di soldi finisce, a quanto dicono le cronache, in conti off-shore ad appannaggio della famiglia come lo scandalo dei Panama paper parrebbe aver ben evidenziato.

La “politica del caviale”, ovvero la diffusa corruzione verso politici e giornalisti stranieri, ha fatto il resto permettendo al giovane Ilham, nel frattempo arrivato quasi alla soglia dei sessanta anni, di governare riverito, coccolato e temuto.

Gli armeni rimangono il nemico sul quale impostare ogni discorso e ogni politica nazionale: dalla materna all’Università, fin dentro gli stadi di calcio, si insegna a odiarli e si dimenticano i mali di una nazione che viaggia agli ultimissimi posti nella classifica mondiale della libertà di informazione.

Solo che Aliyev non è nell’immaginario collettivo Kim Jong-un e il ricco Azerbaigian non è la lontana Corea del Nord; e per buona parte dell’Europa pecunia non olet.

Sempre pronto a fare la voce grossa e a boicottare ogni tentativo di mediazione internazionale, Aliyev ha anche provato di tanto in tanto a mettere in pratica le sue minacce contro gli armeni: ma ogni qualvolta ha tentato l’avventura bellica, ultimo caso nel 2016, ha rimediato concenti sconfitte ed è stato costretto a ritirarsi in buon ordine continuando a imprecare con l’acerrimo nemico, “male assoluto” del mondo.

Tra un belato e l’altro siamo arrivati a questa estate 2020, già maledetta per la pandemia che tanti lutti sta arrecando nel mondo.

Le vicende belliche di queste settimane ci hanno chiaramente rappresentato il ruolo della Turchia nel conflitto. Alcuni osservatori internazionali e indipendenti hanno affermato che senza il supporto aereo (droni da combattimento ed F16 turchi) e senza l’appoggio delle milizie mercenarie jihadiste (gentilmente fatte arrivare dalla Siria via Turchia) l’esercito azero avrebbe conosciuto un’altra sonante sconfitta. Che ancora non è arrivata grazie appunto a questo potente aiuto tecnologico fornito dal compare Erdogan.

E così il dittatore azero, tra una bugia e l’altra, si fa tronfio e rilascia dichiarazioni a ruota libera che, non fosse per la gravità del momento, fanno scompisciare dalle risate per la goffaggine del presidente: intervistato da Tv americana si lascia scappare che “fino al 9 ottobre in effetti gli azeri bombardavano gli insediamenti civili”  (in realtà anche dopo, ma lui ha sempre negato), in piena tregua umanitaria appena concordata twitta delle conquiste azere di qualche sperduto villaggio e alla tv giapponese Nikkei arriva a sostenere che “gli azeri hanno sempre rispettato gli armeni i quali però hanno commesso un genocidio nei confronti degli azerbaigiani”

Ora, va bene che se la devi sparare è meglio spararla grossa… ma simili affermazioni oltrepassano il limite del ridicolo.

La pecora Aliyev smette di belare e grazie ai Bayraktar turchi e ai tagliagole mercenari prova a farsi lupo: aumenta le minacce, promette una pulizia etnica di tutto l’Artsakh e la “liberazione” di tutto il territorio.

Intanto i suoi uomini cadono come mosche nelle pianure e sulle montagne del Karabakh; almeno un miliardo di dollari di armamenti è andato già perduto sul campo e la fine della guerra è ancora molto, troppo lontana.

Forse un giorno la pecora Aliyev si trasformerà davvero in lupo e – Dio non voglia – caccerà tutti gli armeni dell’Artsakh dalla loro patria; ma il costo che l’Azerbaigian dovrà sostenere sarà, anche in termini di vite umane, enorme. Il regime ha silenziato anche i media internazionali (cronisti di guerra sono solo i turchi…), la popolazione non conosce il numero dei caduti (che presumibilmente ad oggi ha superato quota seimila) e il furore nazionalista pervade ogni momento della vita sociale azera.

Ma di fatto, con l’entrata in campo del sultano Erdogan, l’Azerbaigian si è ridotto a uno Stato vassallo della Turchia, Baku prona ai voleri di Ankara.

E la pecora che volle farsi lupo continuerà a rimanere pecora.

Si era aperta con una tregua fittizia e si conclude con una nuova tregua concordata per la mezzanotte del 18 ottobre. La terza settimana di guerra ha maggiormente evidenziato l’andamento sul campo di battaglia.

Innanzitutto, emerge con chiarezza l’intento azero di fare tabula rasa della regione. Non solo la capitale ma la maggior parte degli insediamenti civili vengono pesantemente bombardati. Danni alle infrastrutture ma anche e soprattutto alle civili abitazioni.

Il dato che l’Ombudsman dell’Artsakh comunica è che quasi il 60% ella popolazione è fuggito. Chi rimane e non combatte vive negli scantinati al riparo dai missili.

In tre settimane di guerra viene distrutto quanto era stato costruito in trenta anni di autodeterminazione. Non si hanno notizie precise sul palazzo del parlamento e su quello presidenziale o sull’università ma le immagini dei reportage dalla capitale sono emblematiche. Le sirene antiaeree suonano con sempre maggiore frequenza e le detonazioni accompagnano lo scandire delle ore.

Le operazioni militari sul campo si concentrano prevalentemente a sud (Fizuli, Jibrayl, verso Hadrut) e a nord. La situazione non è chiara ma da quanto si può capire gli armeni hanno arretrato alcune linee difensive preferendo arroccarsi in posizioni più idonee.

Ecco allora che arrivano i video del ministero della difesa azero che mostrano suoi soldati in penetrazione in alcuni villaggi nel settore meridionale e settentrionale.

A sud, la “liberazione” riguarda alcuni piccoli insediamenti praticamente disabitati e che erano rimasti diroccati dalla guerra di trenta anni prima; al nord pare che sia a Talish che a Mataghis le truppe azere siano entrate. Però non è dato sapere se ci sono rimaste; la mancanza di ulteriori prove documentali da parte del comando lascia ipotizzare che non vi sia uno stazionamento fisso.

Ciò è sostanzialmente spiegato dalla diversa natura che sta assumendo il conflitto: a parte una battaglia definita di violentissima intensità con mezzi blindati nel settore settentrionale il 13 ottobre, una buona parte delle attività militari non sono più condotte con carri armati e scontri frontali. Nel momento in cui le forze armate azere lasciano la pianura e cercano di salire per le colline e le montagne dell’Artsakh devono necessariamente cambiare strategia.

Ecco dunque operazioni con gruppi di incursori che avanzano ma senza occupare stabilmente alcune porzioni del territorio armeno. L’esercito di difesa dell’Artsakh sovente adotta la tattica di indietreggiare, far avanzare il nemico e poi colpirlo. Questa strategia rallenta sicuramente la tabella di marcia azera che riesce a ottenere poco dagli scontri. Tra l’altro ogni avanzata dovrebbe avere le spalle coperte con postazioni di rifornimento (di armi e carburante) ma sovente queste finiscono nel mirino della artiglieria armena.

Detto questo, è innegabile che nella terza settimana di guerra gli azeri abbiano conquistato posizioni. Lo ammette il presidente della repubblica Harutyunyan ma anche il premier armeno Pashinyan in un appassionato messaggio indirizzato alla nazione il 14 ottobre.

Non è però dato sapere quanto territorio sia stato lasciato agli azeri. Secondo alcuni analisti, dopo venti giorni di guerra, Baku avrebbe conquistato stabilmente una superficie pari al 2,5% dell’intero Stato; ovvero circa 250 chilometri quadrati, soprattutto nel settore meridionale.

Il 18 ottobre alle ore 00:00 locali entra dunque in vigore una nuova tregua umanitaria.

Riguardo alla situazione sul campo è significativa una dichiarazione che viene rilasciata circa 45 minuti dopo l’inizio del cessate-il-fuoco da parte del portavoce del presidente dell’Artsakh Vahram Poghosyan: egli assume che se l’Azerbaigian osserva il cessate il fuoco umanitario, l’Esercito di difesa dell’Artsakh sarà pronto a fornire un corridoio umanitario alle truppe azerbaigiane assediate.

Il che lascia supporre che in effetti vi siano sacche di incursori azeri penetrati nel territorio armeno rimasti isolati e quindi assediati. Questa comunicazione, rilasciata come detto poco dopo l’entrata in vigore della tregua umanitaria, fornisce una visione della situazione sul campo negli ultimi giorni di guerra.


Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, oggi alle ore 14 locali ha rivolto il seguente messaggio alla nazione

“Caro popolo, orgogliosi cittadini della Repubblica d’Armenia, orgogliosi cittadini della Repubblica Artsakh, orgogliosi armeni della diaspora,

La guerra terroristica scatenata dalla Turchia e dall’Azerbaigian contro l’Artsakh va avanti da 18 giorni. Prima di fare riferimento alla situazione in prima linea, considero cruciale sottolineare che oggi dobbiamo capire la situazione politico-militare, ma dobbiamo prima capire le ragioni dietro la guerra e le condizioni di fondo.

Nel corso dei negoziati sulla questione del Karabakh, passo dopo passo l’Azerbaigian ha raggiunto un punto in cui ha insistito sul fatto che gli armeni del Karabakh dovessero rinunciare ai loro diritti.

La loro richiesta consisteva in quanto segue: consegnare immediatamente 5 territori su 7 all’Azerbaigian, elaborare un calendario preciso per la consegna dei restanti 2 territori e affermare che qualsiasi status del Nagorno-Karabakh implicava l’appartenenza all’Azerbaigian. Inoltre, lo status del Nagorno-Karabakh non dovrebbe essere associato al trasferimento di territori. In altre parole, i territori dovrebbero essere ceduti non per lo status ma per la pace, altrimenti l’Azerbaigian avrebbe minacciato di risolvere la questione attraverso la guerra.

Il nostro governo, che aveva ereditato l’attuale quadro negoziale, ha rifiutato di discutere la questione in questo modo perché era inaccettabile. In queste circostanze, mentre cercavamo di affermare chiaramente che la soluzione della questione senza definire lo status di Artsakh era impossibile, l’Azerbaigian ha rinunciato a qualsiasi discussione seria sullo status, affermando infatti che l’unico status che Artsakh poteva avere era l’autonomia all’interno dell’Azerbaigian, che di fatto aveva lo scopo di costruire un quadro istituzionale che avrebbe aperto la strada alla pulizia etnica nell’Artsakh. Allo stesso tempo, l’Azerbaigian stava sviluppando la retorica militare e la propaganda anti-armena.

Negli ultimi due anni e mezzo, abbiamo implementato riforme per potenziare il nostro esercito nel tentativo di fornire precondizioni reali per la premessa che “la questione del Karabakh non ha una soluzione militare“. Le battaglie vittoriose intraprese a Tavush nel luglio 2020 sono venute a dimostrare una realtà, per molti inaspettata, vale a dire che l’esercito azero non è in realtà in grado di risolvere la questione del Karabakh con mezzi militari. Questo fatto è stato scioccante non solo per l’Azerbaigian, ma anche per altri Paesi, in particolare per la Turchia.

Poco dopo le battaglie di luglio furono lanciate esercitazioni militari turco-azere senza precedenti; un gran numero di truppe e attrezzature militari turche è stato trasferito in Azerbaigian. Le esercitazioni hanno testimoniato ancora una volta che le forze armate dell’Azerbaigian non erano in grado di svolgere compiti specifici nell’immediato futuro e la Turchia ha deciso che spetta a lei occuparsi della questione del Karabakh.

A quel punto è accaduto qualcosa senza precedenti: la Turchia iniziò a minacciare apertamente e pubblicamente l’Armenia, con un gran numero di terroristi e mercenari trasportati dalla Siria alla zona di conflitto del Karabakh, rendendosi conto che le forze azere non potevano affrontare il problema da sole.

In questa situazione si è cercato di attuare meccanismi strategici di contenimento, considerando che se la Turchia raggiungesse i propri obiettivi nel Caucaso meridionale, si innescherebbe inevitabilmente una reazione a catena di sviluppi, e quindi quei paesi regionali ed extra regionali che inevitabilmente ne soffriranno la destabilizzazione dovrebbe adottare misure strategiche di contenimento.

In questa fase, tuttavia, abbiamo registrato una strana circostanza: un certo numero di Paesi, in grado di adottare misure di deterrenza strategica, non è riuscito a valutare adeguatamente la minaccia. Hanno continuato a considerare la questione nel contesto del conflitto del Karabakh, considerando che la formula “territori per la pace” potrebbe salvare la situazione. Questa formula inaccettabile è simile all’accordo di Monaco del 1938, quando le potenze europee avrebbero ceduto la Cecoslovacchia alla Germania per amore della pace. Sappiamo tutti cosa è successo dopo. Ora la domanda è se il mondo permetterà l’emergere di un nuovo Hitler in Asia Minore.

La guerra contro l’Artsakh non è arrivata come qualcosa di inaspettato per noi. Eravamo preparati e ci chiedevamo solo quando e da dove il nemico avrebbe attaccato.

L’Esercito di difesa dell’Artsakh ha condotto una battaglia eroica dallo scoppio delle ostilità. L’alleanza militare Turchia-Azerbaigian-terroristi-mercenari ha lanciato l’attacco più forte di sempre contro l’Artsakh: carri armati, veicoli corazzati, missili, artiglieria, aerei militari, elicotteri, droni, un numero enorme di combattenti, comprese diverse migliaia di truppe speciali dalla Turchia e secondo quanto riferito dal Pakistan, così come mercenari e terroristi dalla Siria.

L’avversario non ha registrato guadagni strategici o territoriali durante la prima settimana, quando non ha dovuto affrontare alcuna restrizione di rifornimenti e manodopera, mentre Artsakh e Armenia operavano nel mezzo di un blocco di lunga data. Durante questo periodo, l’avversario ha perso un’enorme quantità di hardware militare, ha subito un gran numero di vittime, compresi i mercenari.

Ogni goccia di sangue armeno fa male a tutti noi, per non parlare dell’enorme numero di vittime che abbiamo già al momento. Al fine di prevenire ulteriori perdite, abbiamo aderito al processo avviato e la dichiarazione adottata a Mosca venerdì scorso, che prevedeva un cessate il fuoco umanitario, il pieno scambio di cadaveri, prigionieri e detenuti, torna al formato di co-presidenza del Gruppo OSCE di Minsk con la logica di risolvere il problema il prima possibile. Tuttavia, l’Azerbaigian non ha aderito all’accordo di cessate il fuoco per un secondo e ha portato avanti gli attacchi, ostacolando contemporaneamente l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio del cessate il fuoco.

Ciò significa che l’Azerbaigian continua ad aderire alla linea politica adottata in origine e si è posto il compito della piena occupazione del Nagorno-Karabakh. A questo punto, tuttavia, possiamo registrare il seguente fatto: il piano terroristico turco-azerbaigiano per occupare il Nagorno-Karabakh e i territori adiacenti con un blitzkrieg è fallito a causa degli sforzi congiunti del nostro esercito di eroici generali, ufficiali, sottufficiali ufficiali, sergenti, volontari, soldati, il nostro sistema di amministrazione pubblica: i leader di Artsakh e Armenia, i governi, le assemblee nazionali, l’autogoverno locale e le agenzie statali.

Abbiamo subito numerose vittime. Piango i nostri coraggiosi martiri che sono caduti difendendo la Patria, proteggendo il diritto del nostro popolo a vivere, salvaguardando l’identità, la dignità e il futuro dell’Armenia. E mi inchino a tutte le nostre vittime, martiri, alle loro famiglie, ai loro genitori e specialmente alle loro madri, e considero la loro perdita la mia perdita, la mia perdita personale, la perdita della mia famiglia.

Caro popolo,

Orgogliosi cittadini della Repubblica d’Armenia,

Orgogliosi cittadini della Repubblica Artsakh

Orgogliosi armeni della diaspora,

Durante gli ultimi 18 giorni di guerra, le nostre eroiche truppe si sono ritirate a nord e a sud. Nei giorni scorsi l’avversario ha cambiato tattica cercando di creare scompiglio nelle retrovie con gruppi sovversivi. Tuttavia, a costo di pesanti combattimenti, perdite di manodopera e attrezzature, l’Esercito di difesa dell’Artsakh tiene la situazione sotto controllo, infliggendo numerose perdite di uomini e attrezzature al nemico.

Ma dobbiamo tutti sapere che stiamo affrontando una situazione difficile. Questa non è una dichiarazione di disperazione o disperazione. Fornisco queste informazioni perché mi impegno a dire la verità al nostro popolo, a differenza dell’Azerbaigian, che nasconde il fatto di migliaia di vittime al suo stesso popolo e, secondo le nostre stime, la perdita di oltre un miliardo di dollari in attrezzature militari. Ma lo scopo principale del mio messaggio di oggi è parlare di ciò che dobbiamo fare e della nostra strategia, nonché di riunire la nostra unità nazionale attorno a tale obiettivo. Pertanto, è necessario affermare che l’alleanza terroristica turco-azera non fermerà il suo attacco ad Artsakh e all’Armenia.

In questi giorni i copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE – Russia, Francia e Stati Uniti – si sono adoperati e continuano a lavorare per un cessate il fuoco. Le dichiarazioni sono state rilasciate dai presidenti e dai ministri degli esteri dei tre paesi, seguite dalla dichiarazione del 10 ottobre adottata a Mosca.

Desidero ringraziare i copresidenti del Gruppo OSCE di Minsk per i loro sforzi.

Sono grato all’Amministrazione degli Stati Uniti per tutti gli sforzi che sono stati compiuti finora.

Desidero ringraziare la Francia e il presidente Emmanuel Macron per la sua determinazione a fare un nome sin dai primi giorni di guerra e per la sua disponibilità a compiere ulteriori sforzi.

Un ringraziamento speciale al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, con il quale siamo stati in stretto contatto durante tutto questo tempo. La Russia è stata in grado di svolgere il suo ruolo di copresidente del Gruppo di Minsk dell’OSCE e di alleato strategico dell’Armenia ad alto livello, e sono convinto che la Russia attuerà questo ruolo in modo inequivocabile in conformità con le migliori tradizioni di amicizia tra i popoli armeno e russo.

Impegnato nella logica di una soluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh, vorrei sottolineare che saremo molto costruttivi nel rendere efficaci i nostri sforzi diplomatici.

Tuttavia, finora questi sforzi non sono stati sufficienti per sfidare il blocco terroristico turco-azero, perché il compito che si sono prefissati non è solo quello di risolvere la questione del Karabakh, ma anche di continuare la tradizionale politica di genocidio turca contro il nostro popolo.

Ma in questo momento cruciale non ci tireremo indietro, perché questa è una guerra cruciale per il nostro popolo. In questa situazione, il popolo armeno ha solo una cosa da fare: unire, mobilitare tutto il potenziale che abbiamo, fermare il nemico con un colpo decisivo e ottenere una vittoria finale, cioè la soluzione finale del conflitto del Nagorno-Karabakh, il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo del Nagorno-Karabakh.

Le anime, lo spirito e la forza degli altri nostri grandi martiri ed eroi, Re Artash, Tigran il Grande, Ashot Yerkat, Aram Manukyan, Hovhannes Baghramyan, Monte Melkonyan, Vazgen Sargsyan, sono con noi oggi. Oggi gli armeni sono uniti più che mai. Centinaia di migliaia di armeni stanno fornendo sostegno finanziario, economico, mediatico e politico all’Armenia e all’Artsakh.

In centinaia di comunità basate sulla diaspora i nostri compatrioti stanno organizzando manifestazioni pacifiche di solidarietà, protesta e sostegno, con due questioni specifiche all’ordine del giorno: il riconoscimento internazionale dell’indipendenza dell’Artsakh e la condanna dell’aggressione terroristica turco-azera.

Questo è il culmine della nostra unità nazionale, e questo culmine deve essere coronato dalla realizzazione dei nostri obiettivi nazionali specifici. Nessuno può spezzare la volontà del popolo armeno, è impossibile intimidire la nazione armena, è impossibile sconfiggere il popolo armeno. Resisteremo fino all’ultimo, combatteremo fino all’ultimo, e il nome di quella fine è libro e felice Artsakh, libera e felice Armenia.

Oggi, in questo momento cruciale, ognuno di noi deve concentrarsi sul raggiungimento di questo obiettivo. Artsakh, l’esercito, il soldato e la linea del fronte dovrebbero essere al centro dei nostri sforzi nella diaspora e in Armenia. Dobbiamo trasformare il nostro lutto in rabbia, le nostre paure in determinazione e i nostri dubbi in azione.

Dobbiamo vincere, dobbiamo vivere, dobbiamo costruire la nostra storia e stiamo costruendo la nostra storia, la nostra nuova epopea, la nostra nuova eroica battaglia, il nostro nuovo Sardarapat.

E quindi,

viva la libertà!

viva la Repubblica d’Armenia!

viva la Repubblica Artsa

viva l’esercito armeno!

viva i volontari armeni,

Lunga vita alla diaspora armena!

Lunga vita al popolo armeno!

E lunga vita ai nostri figli che vivranno in un’Armenia libera e felice, in un Artsakh libero e felice.

Gloria agli eroi! “

[traduzione e grassetto redazionale]

Si è chiusa la seconda settimana di guerra con una tregua fragilissima che comunque permetterà interventi di natura umanitaria come lo scambio dei prigionieri o il recupero dei cadaveri sul campo. Dopo quindici giorni di intensi combattimenti proviamo ad analizzare la situazione sul campo alla luce delle informazioni che giungono dal teatro di guerra ma anche valutando ciò che le rispettive propagande non dicono.

Aliyev non sfonda

L’attacco sferrato con uomini e mezzi senza precedenti avrebbe dovuto portare nelle intenzioni del comando azero a uno sfondamento delle linee nemiche armene colpite oltre tutto da droni, missili e bombe sganciate dall’aviazione.

Soprattutto il settore meridionale, ovvero la piana che si allunga verso ovest lungo il fiume Araks e che segna il confine con l’Iran, avrebbe dovuto garantire una facile avanzata delle forze azere.

Il terreno consente spostamenti veloci, per molti chilometri non ci sono insediamenti abitati ma solo i resti di alcuni villaggi distrutti durante la guerra degli anni Novanta; qualche contadino e maggiori difficoltà per la difesa in campo aperto.

Non è un caso che gli attacchi più intensi sono stati portati proprio in quel settore. È assai probabile che gli azeri abbiano conquistato alcuni chilometri quadrati a ridosso della linea di contatto nel distretto di Fizuli; ma come hanno provato a spingersi un po’ più avanti sono incorsi in pesanti sconfitte.

Gli armeni si sono strategicamente ritirati dalle trincee verso Jibrail e il nemico è avanzato con sicurezza in quella direzione salvo poi venire colpito pesantemente: tre brigate, uomini e mezzi, sono state annientate in una mattinata di combattimenti.

Al nord, forse, qualche chilometro conquistato dagli azeri nei pressi della linea di contatto; ma più che avanzata è stato un arretramento strategico degli armeni che hanno consolidato le posizioni in altura lasciando campo al nemico laddove la difesa era più problematica.

Se la regione si chiama Nagorno (montuoso) o Alto Karabakh ci sarà pure un motivo: chi attacca viene dalla pianura e chi difende sta in alto

Propaganda di Stato

Aliyev e il Comando azero devono giustificare una guerra che secondo gli ultimi dati (non ufficiali perché dall’Azerbaigian non arrivano numeri sui caduti) ha fatto più di 4700 morti tra le fila azere.  A prescindere dalla reale consistenza del numero, si tratta pur sempre di cifre altissime.

Per il presidente azero doveva essere una passeggiata o quasi; ma non riesce a sfondare come abbiamo detto e ciò determina un problema di immagine. Dopo aver speso miliardi di dollari in armamenti e lodata la forza invincibile dell’esercito del suo Paese, il fatto di non raggiungere alcun obiettivo militare sta diventando un problema di immagine.

Ecco allora che le conquiste azere diventano virtuali o effimere: cartelli stradali taroccati o incursioni in avanti solo per poter mostrare una bandiera dell’Azerbaigian in una determinata località. Ma poi la ritirata è immediata perché la posizione è indifendibile.

È successo così per Hadrut dichiarata conquistata dal presidente poco prima che scattasse la tregua dopo i colloqui di Mosca; per non smentire le parole del dittatore, le forze armate azere hanno inviato una squadra di incursori sabato mattina nel tentativo di far sventolare la bandiera azera davanti al palazzo comunale. Sono riusciti a infilarsi in città (tra l’altro uccidendo una donna e il figlio disabile nella loro casa) ma sono stati respinti con perdite (e prigionieri) dalle forze armene. Il tutto solo per far apparire come vere le parole del presidente.

Stretegia della tensione

Alla luce degli insuccessi sul campo, il comando azero nel corso della seconda settimana di guerra ha puntato sulla strategia di terrorizzare la popolazione civile bombardando gli insediamenti civili in primo luogo la capitale Stepanakert. Duplice l’obiettivo: distruggere quanto più possibile e far scappare la popolazione per avere un Artsakh svuotato dai suoi abitanti.

In effetti quasi metà dei 150.000 cittadini della repubblica (quasi tutte le donne, i bambini e chi non è in condizione di combattere) hanno trovato rifugio altrove. Sono rimasti gli uomini e tutte le donne che possono operare logisticamente e militarmente, pronti a combattere casa per casa se necessario.

Quanto alle distruzioni sono evidenti, ma a guerra finita la diaspora armena (che già sta raccogliendo fondi) nel giro di un paio di anni provvederà alla ricostruzione.

Da ultimo, il bombardamento della cattedrale di Shushi suona come il tentativo di spostare sul piano della guerra di religione lo scontro fra armeni e azeri. D’altronde è provata la presenza di mercenari jahadisti nelle fila azere (ci sono video inequivocabili). Ma la mossa non ha sortito altro risultato se non quello di calamitare ancora di più l’attenzione dei media verso gli armeni

Il ruolo della Turchia

In principio era solo un supporto logistico pianificato nel tempo. Armi, droni (compresi quelli prodotti dalla società di cui è proprietario il genero di Erdogan), aerei F16 e mercenari arruolati dalla Siria e via Ankara fatti arrivare in Azerbaigian.

Ma con il passare dei giorni si è capito sempre più il disegno del dittatore turco che vuole spazzare via il popolo armeno (dopo il Nagorno Karabakh sarà la volta della stessa Armenia). Non può attaccare direttamente perché la Russia, se non altro in forza del trattato CSTO, potrebbe intervenire e non accetterebbe un’ingerenza così ingombrante da parte turca; però sprona i “fratelli azeri” al combattimento e si è dichiarato contrario a qualsiasi tregua anche umanitaria.

Ma l’invadente intervento turco, unitamente alla conclamata presenza dei miliziani mercenari, al pari di altri errori tattici e di propaganda azeri, ha finito con lo spostare decisamente l’asse della simpatia dell’opinione pubblica mondiale dalla parte armena che si trova a fronteggiare due dittatori guerrafondai.

Di certo, l’Azerbaigian ne esce come un vassallo della Turchia e il prestigio di Aliyev fortemente compromesso.

Una settimana di guerra. Proviamo a fare il punto della situazione e a riflettere sull’andamento del conflitto

Da nove giorni si combatte in Nagorno Karabakh (Artsakh). L’attacco azero del 27 settembre è stato un fulmine abbattutosi con violenza sulla regione sud caucasica e sugli equilibri non solo mediorientali. Cerchiamo di capire cosa è successo in questi primi giorni di guerra. Solo dentro le stanze degli alti comandi militari è nota la situazione. Però qualche idea ce la siamo fatta alla luce di quanto si è scritto, si è detto e si è visto in questi giorni… Per capire le dinamiche di questa guerra è però necessario fare un doppio salto all’indietro nel tempo.

La guerra dei quattro giorni

In primo luogo, ritorniamo indietro alla cosiddetta “guerra dei quattro giorni” del 2016. Allora gli azeri attaccarono cercando di sfondare a nord e a sud dei settori orientali della linea di contatto. Lo scopo era duplice: da un lato cercare di guadagnare terreno, dall’altro provare a spingere la difesa armena verso quei territori così sguarnendo la parte centrale, quella che dà accesso diretto alla piana di Askeran e alla capitale Stepanakert. Gli armeni, in difesa, non caddero nel tranello e a costo di grandi sacrifici umani tennero le posizioni. Alla fine, l’offensiva azera, costata centinaia di morti soprattutto da parte di Baku, determinò la “conquista” di pochi lembi di territorio (da quattro a otto chilometri quadrati). L’attacco terrestre fu in sostanza un fallimento.

Scontri di luglio

Ora, andiamo indietro a un paio di mesi fa quando gli azeri provocarono scontri al confine nord-orientale dell’Armenia nella regione di Tavush. Tre, quattro giorni di schermaglie che alla luce di quanto sta accadendo ora suonano come un tentativo di sviare l’attenzione della difesa armena lontano dalla linea di contatto del Nagorno Karabakh (Artsakh) dove almeno da un paio di anni regna una relativa calma. Quella tensione sul settore armeno-azero fu il pretesto per Baku per organizzare grandi manovre militari congiunte con la Turchia. Oggi possiamo dire con certezza che molti aerei, carri e lancia missili turchi rimasero sul suolo azero al termine delle manovre; pronti a essere impiegati per le future operazioni militari di settembre.

Una settimana di guerra

Dunque, l’Azerbaigian ha attaccato domenica 27 settembre la repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh). Dopo più di una settimana, possiamo delineare un primo sviluppo delle operazioni belliche.

Con un massiccio spiegamento di uomini e mezzi, gli azeri hanno provato a sfondare le linee di difesa armene. L’attacco, questa volta, è stato sviluppato sull’intera linea di contatto, dal passo Omar a nord  fino al fiume Araks al confine con l’Iran. Non più solo un’operazione di terra, ma un assalto coadiuvato da droni (compresi quelli kamikaze, tipo Orbiter 1 di fabbricazione israeliana) e aerei (compresi caccia turchi).

I comunicati dei rispettivi comandi militari non possono ovviamente rendere nota la reale situazione sul campo. Però è possibile farsi un’idea su ciò che viene detto e non detto dalle parti. Soprattutto quella azera, l’attaccante.

Dopo sei giorni di guerra, costati a Baku centinaia di morti, decine di carri armati, veicoli, aerei, elicotteri e droni distrutti, nessun proclama di vittoria arriva dagli alti comandi. L’Azerbaigian è un regime dittatoriale, la libertà di informazione non esiste, da una settimana l’uso di internet e dei social è praticamente nullo.

Ecco che sabato 3 ottobre, il ministero della difesa e il presidente Aliyev annunciano la conquista di alcuni villaggi armeni prossimi alla linea di contatto. Già questa dovrebbe essere una mezza sconfitta: se dopo una settimana di guerra sei riuscito solo a conquistare qualche chilometro quadrato e lo sbandieri come un trionfo, c’è qualcosa che non va.

Aliyev annuncia la liberazione di Mataghis e la notizia viene ripresa da siti indipendenti. Segue video sul campo. Ma il video non arriva e la notizia comincia ad assumere i contorni della bufala. Qualche ora dopo, il ministero della difesa azero pubblica un video che annuncia la cattura di Talish (altro villaggio vicino alla linea di contatto e già colpito nel 2016). Ma il video è palesemente taroccato, anche in maniera grossolana. Compare un cartello stradale con la scritta Talish in azero ma si vede che è fatto con photoshop e diviene immediatamente virale finendo sulla luna e a Berlino.

Contro un muro

Nonostante il dispiegamento di mezzi, l’uso di mercenari, il supporto logistico della Turchia gli azeri non riescono a sfondare.

Se si chiama “Alto Karabakh” ci sarà pure un motivo in fondo. L’esercito di difesa dell’Artsakh sfrutta il posizionamento in altura e – a costo di gravi perdite anche umane – riesce a tener testa al nemico. A nulla valgono le centinaia di razzi sparati contro le postazioni armene; che perdono in effetti parecchi carri e almeno duecento uomini, ma riescono a rintuzzare le ripetute incursioni nemiche che si infrangono contro un muro difensivo invalicabile.

Sicché, Aliyev decide di spaventare la popolazione civile e comincia a bersagliare Stepanakert, Shushi e le altre città. È un tentativo disperato, dietro al quale si nasconde la frustrazione per non aver conseguito a oggi alcun risultato.

Una palese violazione delle convenzioni internazionali, in particolare quella del 2010 che vieta l’uso delle bombe a grappolo. Questo accanimento contro la popolazione civile (che genera inevitabili risposte da arte armena) è sintomatico della crisi che sta vivendo il regime di Baku.

Aliyev promette conquiste, promette di scacciare gli armeni dalla regione, manda migliaia di ragazzi morire in battaglia. Ma, fino a oggi, ottiene poco o nulla. Non sarà qualche chilometro quadrato e neppure qualche piccolo insediamento di frontiera (ammesso e non concesso che sia stato preso…) a consentirgli di cantare vittoria.

Tempi lunghi

Se le parti non concorderanno un cessate il fuoco, se le organizzazioni internazionali (su tutte il Gruppo di Minsk dell’Osce che tuttavia non piace a turchi e azeri), se la Russia non riusciranno a far bloccare le ostilità c’è il rischio che la guerra vada avanti a oltranza.

La settimana appena iniziata è dunque molto importante per capire se il conflitto si sta incanalando verso una guerra di posizionamento o nuove offensive azere (e controffensive armene) smuoveranno lo stato di cose.

Più passa il tempo e più la posizione di Aliyev si fa critica anche perché comincerà ad aumentare il malumore interno; più passa il tempo e più il dittatore azero potrebbe convincersi a aumentare il livello del conflitto attaccando l’Armenia il che comporterebbe però l’intervento russo per il trattato CSTO; opzione azzardata e francamente poco praticabile perché infilerebbe l’Azerbaigian in un vicolo cieco. Oppure Aliyev potrebbe intensificare i bombardamenti sulle città dell’Artsakh costringendo di fatto buona parte della popolazione a scappare. Ma la guerra sarebbe tutt’altro che vinta.

Terzo giorno di guerra 29 settembre

(8,00) AGGIORNAMENTO – Continuano combattimenti con diversa intensità lungo tutta la linea di contatto. L’Azerbaigian sta preparando un nuovo attacco dopo che le forze di difesa armene hanno respinto il nemico e recuperato parte delle posizioni perdute domenica. Gravi perdite inflitte agli azeri. La situazione rimane comunque difficile. L’Esercito di difesa armeno ha perso 89 soldati caduti in due giorni di combattimento

(8,15) VIOLENTA BATTAGLIA NELLA NOTTE – Per tutta la notte si sono svolte feroci battaglie al confine con l’Artsakh (Nagorno-Karabakh). L’avversario – tramite il fuoco pesante di veicoli corazzati, UAV e artiglieria – ha cercato di effettuare attacchi, soprattutto nelle direzioni nord e sud, ma è stato respinto perdendo circa 60 militari e una considerevole quantità di veicoli blindati. Lo ha dichiarato questa mattina Artsrun Hovhannisyan, un rappresentante del Ministero della Difesa dell’Armenia.

(8,30) CONTROFFENSIVA ARMENA – le unità armene hanno respinto gli attacchi delle forze armate azerbaigiane in diverse direzioni della linea di contatto, avviando azioni punitive in alcune aree, provocando perdite significative di manodopera e attrezzature all’avversario. “In particolare, questa mattina presto, un gruppo di veicoli corazzati attaccanti dell’avversario è stato colpito nella direzione meridionale [dell’Artsakh].

(9,00) COLPITO BUS CIVILE IN ARMENIA – Il governo dell’Armenia riferisce che un drone azero ha colpito un bus civile nei pressi della città di Vardenis nella repubblica di Armenia

(10,30) COLPI CONTRO UNITA’ MILITARE A VARDENIS – Droni azeri hanno colpito una postazione militare armena nei pressi di Vardenis, così riferisce la portavoce del ministero della difesa dell’Armenia che ha altresì seccamente smentito accuse azere di colpi verso la città di Dashkesan nel territorio dell’Azerbaigian; queste notizie infondate, secondo il MOD armeno preparano gli attacchi azeri contro l’Armenia

(11,00) FORZE ARMENIA IN ALLERTA – Il ministero della difesa dell’Armenia riferisce che il territorio armeno è stato oggetto di colpi azeri sin dall’inizio dell’offensiva e che tutte le forze di difesa sono pronte al combattimento su ogni direttrice compresa quella del Nakhichevan

(11,00) CIVILI UCCISI A VARDENIS – Si segnalano anche vittime civili a Vardenis (Armenia) per bombardamento azero.

(11,15) INFLITTE NUOVE PERDITE AL NEMICO – Secondo gli ultimi dati gli azeri avrebbero perso altri due elicotteri, 11 droni, 5 carri armati e 4 veicoli da trasporto truppe.

(13,00) CACCIA TURCHI IN AZIONE – A partire da oggi alle 10:30, i caccia F-16 turchi sono stati rilasciati dall’aeroporto Gyanja dell’Azerbaijan e hanno assicurato gli attacchi missilistici in direzione degli insediamenti armeni e delle unità territoriali delle forze armate armene di stanza nei distretti di Vardenis, Gran Masrik e Sotk e nei dintorni della città di Vardenis in Armenia partendo dall’aeroporto di Dalyar in Azerbaijan

(14,00) CIVILI ARMENI MORTI – Sono quattro i civili armeni morti nel corso dei bombardamenti azeri. Victoria Gevorgyan, 9 anni, è la più piccola vittima

(17,00) ABBATTUTO AEREO ARMENO – Un aereo Su-25 dell’aviazione armena è stato abbattuto da un caccia turco F 16, decollato dalla base azera di Ganja, nello spazio aereo armeno.

(17,00) PASHINYAN – “L’Azerbaigian, con l’incoraggiamento attivo, il sostegno politico e militare della Turchia, sta espandendo la geografia delle ostilità al territorio dell’Armenia. L’Armenia e l’Artsakh daranno una risposta politico-militare adeguata ai tentativi dell’Azerbaigian di minare la sicurezza e la pace della regione “.

(18,00) DICHIARAZIONE PASHINYAN – “Una nuova guerra contro l’Armenia e il Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian è una guerra contro la democrazia“.

(19,00) PUTIN E PASHINYAN – Il premier armeno e il presidente russo hanno avuto una conversazione telefonica

(20,00) GRAVI PERDITE AZERE – Durante un briefing di oggi, il vice comandante dell’esercito di difesa dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) Artur Sargsyan ha dichiarato che l’Azerbaigian ha subito più di 500 vittime. “L’Azerbaigian ha perso 17 carri armati, 4 veicoli corazzati, 3 veicoli corazzati tecnici pesanti, 13 UAV e quasi 500 membri del personale”, ha detto Sargsyan, aggiungendo che, sfortunatamente, anche la parte armena ha subito vittime durante le battaglie.

(20,00) JOE BIDEN – Il candidato democratico alla presidenza USA ha dichiarato che gli Stati Uniti devono richiedere alla Turchia di stare fuori dal conflitto.

(21,00) EROGAZIONE SERVIZI – I servizi essenziali (gas, luce, acqua) sono perfettamente funzionanti in tutta la repubblica. Solo la connessione internet saltuariamente ha delle cadute.

(21,00) PERDITE AZERE – Alle 22 locali le perdite azere ammonterebbero a 790 caduti nella sola giornata di oggi con 180 morti nella sola zona di Karvachar, 72 droni, 7 elicotteri, 137 carri armati e 1 aereo; 1900 feriti

Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica dell’Artsakh (Repubblica del Nagorno-Karabakh) ha rilasciato la seguente dichiarazione:

L’attacco armato su vasta scala dell’Azerbaigian contro la Repubblica dell’Artsakh, che continua dal 27 settembre, è accompagnato da gravi violazioni delle leggi e dei costumi applicabili nei conflitti armati.

In particolare, nella loro aggressione contro la Repubblica dell’Artsakh, le forze armate azerbaigiane attaccano intenzionalmente soggetti civili che non sono obiettivi militari, utilizzano metodi e mezzi di guerra proibiti che possono causare lesioni o sofferenze inutili, nonché utilizzano armi indiscriminate. Come risultato delle azioni criminali dell’Azerbaigian, ci sono state vittime tra la popolazione civile dell’Artsakh. Una seria preoccupazione è causata dalle informazioni in arrivo che i mercenari dal Medio Oriente vengono reclutati attraverso la Turchia per partecipare alle ostilità dalla parte dell’Azerbaigian. Tali azioni dell’Azerbaigian costituiscono una grave violazione del diritto internazionale umanitario, in particolare della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, e costituiscono crimini di guerra. Va notato che sia la Repubblica dell’Artsakh (dal 26 gennaio 1993) che l’Azerbaigian sono parti di questa Convenzione.

Quest’ultima aggressione dell’Azerbaigian contro la Repubblica dell’Artsakh dovrebbe essere vista nel contesto di attacchi diffusi e sistematici alla popolazione civile armena, intrapresi dalla parte azerbaigiana sia in tempo di guerra che di pace sin dall’inizio del Movimento di liberazione nazionale dell’Artsakh , e fino ad oggi. Atrocità contro la popolazione armena a Sumgait, Baku e in altre città dell’Azerbaigian, deportazione forzata dell’intera popolazione armena dall’Azerbaigian, crimini di guerra commessi dalle forze armate azerbaigiane sia durante la guerra negli anni ’90 che nell’aprile 2016, continue violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini della Repubblica dell’Artsakh e impedire loro di esercitare i loro diritti intrinseci manifesta un crimine contro l’umanità.

La parte azera sta ancora una volta cercando di mettersi al di sopra del diritto internazionale. Allo stesso tempo, gli atti illeciti dell’Azerbaigian diventano ogni volta sempre più minacciosi sia per la vita della popolazione civile che per la pace e la sicurezza nella regione nel suo insieme, il che è contrario alla Carta delle Nazioni Unite. Le dichiarazioni di rappresentanti di organizzazioni internazionali sulla necessità di un’urgente cessazione delle ostilità dovrebbero essere viste in questo contesto. Le dichiarazioni di personalità politiche e pubbliche di vari stati sulla necessità di ritenere responsabile l’Azerbaigian meritano un’attenzione particolare. Riteniamo che questo sia il meccanismo più efficace per garantire il rispetto da parte dell’Azerbaigian dei suoi obblighi in quanto membro della comunità internazionale, nonché per prevenire le sue ulteriori intenzioni di commettere atti illeciti a livello internazionale. Il riconoscimento internazionale dell’Artsakh è il più efficiente nel kit di strumenti a disposizione della comunità internazionale per mantenere la pace e la sicurezza nella regione.

Dotare la Repubblica dell’Artsakh di personalità giuridica internazionale aggiungerà ai mezzi militari della Repubblica per garantire la sicurezza anche meccanismi legali per proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini “.

[traduzione e grassetto redazionale]

In queste ore tutti i media, anche radio televisivi stanno coprendo la notizia dei combattimenti in Nagorno Karabakh (Artsakh). Non sempre l’informazione è corretta, e per etichettare gli armeni della regione vengono usate varie espressioni quali “indipendentisti”, “secessionisti” e “ribelli”.

Possiamo pure convenire eventualmente sul primo termine.

Quanto al secondo invece, l’unica “secessione” fu quella della RSS Azera dall’Unione Sovietica a fine agosto 1991; la oblast autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO), in virtù della legislazione sovietica allora esistente (“legge 7 aprile 1990, “Norme per la secessione delle repubbliche dall’Urss”), rimase nell’Unione e – dopo conferma della Corte costituzionale di Mosca (nov. 1991), referendum  ed elezioni politiche (dic. 1991) proclamò il nuovo Stato (6 gen. 1992). Gli armeni dell’Artsakh non sono dunque giuridicamente dei “secessionisti”

Assolutamente fuori luogo il termine “ribelli utilizzato da alcuni media”: ribelli di che cosa?

Da quasi trenta anni la repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh) è uno Stato de facto con proprie istituzioni, regolari elezioni politiche, un livello di democrazia sicuramente più elevato di quello azero.

L’Azerbaigian reclama quel territorio che non ha mai fatto parte ufficialmente della repubblica azera post Urss e alla quale fu donato da Stalin nel 1921.

Ribelle” significa letteralmente “colui che riprende la guerra” ma le vicende del Caucaso meridionale ci dimostrano chiaramente che non sono gli armeni a volere la guerra contro un nemico che oltretutto spende miliardi di petrodollari per acquistare sempre più moderni e micidiali armamenti; e anche “colui che non vuole sottomettersi all’ordine precostituito” che, come abbiamo visto, non è certo quello che vorrebbe imporre Baku che non ha alcun diritto su quel territorio.

E’ necessario che i media facciano bene attenzione nell’uso dei termini perché utilizzare quelli della propaganda azera significa dare manforte al regime di Aliyev.

Lo deve fare, se non altro, per solidarietà di categoria professionale visto che l’Azerbaigian nella classifica Freedom press index figura al 167° posto su 180 nazioni e le carceri di Aliyev sono piene di colleghi giornalisti.