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East Journal (11 aprile 2019) di Aleksej Tilman

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Lo scorso 29 marzo si è svolto a Vienna un incontro ufficiale tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. È la quarta volta che i due leader si sono parlati di persona
da quando Pashinyan è salito in carica come conseguenza della cosiddetta Rivoluzione di velluto di un anno fa.

Il colloquio nella capitale austriaca ha un ruolo simbolico rilevante. A
differenza dei tre precedenti, si è svolto sotto l’egida del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), la struttura di lavoro che dal 1992 è incaricata della risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh.

Una questione irrisolta

Il controllo di questo remoto territorio montuoso costituisce il pomo della
discordia nelle relazioni tra Baku e Erevan fin dall’epoca sovietica. Negli
anni venti, la demarcazione staliniana dei confini aveva visto la regione, con una popolazione a maggioranza armena, diventare una repubblica autonoma all’interno della RSS azera. Una guerra tra il 1988 e il 1994, costata 30 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati, ha portato alla secessione dall’Azerbaigian. Oggi il Nagorno-Karabakh è uno degli stati non riconosciuti nell’ex territorio sovietico, ma la sua indipendenza si regge sul supporto finanziario, politico e militare dell’Armenia.

L’accordo di cessate il fuoco di Bishkek del 1994 viene frequentemente
violato dalle due parti e le schermaglie sono degenerate in un conflitto aperto – la cosiddetta guerra dei quattro giorni– nell’aprile del 2016.

Un nuovo inizio?

Nel comunicato stampa dell’OSCE si parla dell’atmosfera “positiva e
costruttiva” che ha caratterizzato l’incontro del 29 marzo. I due presidenti si
sono impegnati a rafforzare il cessate il fuoco e a mantenere una linea diretta di dialogo.

Si tratta del consueto linguaggio diplomatico, i negoziati hanno prodotto
pochi risultati tangibili nel corso degli ultimi venticinque anni e la
situazione non potrà, verosimilmente, essere risolta nel breve periodo.

Indubbiamente però, l’avvento di Pashinyan al potere in Armenia ha
influenzato la dinamica dei processi di pace. Al contrario dei
predecessori Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, l’attuale primo ministro non è parte del cosiddetto clan del Karabakh, il gruppo di potere nativo della regione separatista che ha dominato la scena politica del paese nell’ultimo ventennio. Ciò non implica una maggiore apertura di Pashinyan al  dialogo con Baku, ma sicuramente un approccio, a livello personale, diverso alla questione.

Nonostante lo scorso gennaio il premier abbia annunciato un nuovo
corso nella politica di risoluzione del conflitto
, non ha specificato
in cosa esso consista precisamente. Pashinyan ha, al contempo, rinnegato la
linea “territori in cambio di pace”, promossa da Levon Ter-Petrosyan, primo presidente – tra il 1991 e il 1998 – dell’Armenia post-sovietica. In base a questa dottrina, storicamente la più efficace sul tavolo delle trattative, la pedina di scambio per ottenere una risoluzione permanente del conflitto sarebbe il ritiro delle forze armene da quei territori sotto il loro controllo, ma che non erano parte della regione autonoma del Nagorno-Karabakh dell’epoca sovietica.

Se la posizione di Erevan è ambigua, quella di Baku, rimasta invariata negli
anni, è stata chiaramente enunciata dal presidente Aliyev alla TASS: “la priorità dei negoziati deve essere il ritiro delle forze armene dai territori internazionalmente riconosciuti come parte dell’Azerbaigian”. L’esclusione delle autorità de facto del Karabakh dal tavolo delle trattative è, poi, considerata positivamente sulle rive del Caspio, dove l’obbiettivo è sempre stato quello di un dialogo diretto con l’Armenia a sottolinearne la responsabilità della situazione.

La riapertura delle trattative di pace non deve destare false illusioni. Lo sfondo della fotografia ufficiale dell’incontro del 29 marzo rappresenta una metafora accurata della situazione: due elefanti legati tra loro che tirano in direzioni opposte. In modo simile, Armenia e Azerbaigian portano avanti due posizioni inconciliabili tra di loro: l’affermazione del principio di
autodeterminazione dei popoli
 da parte armena, contro quello
di integrità territoriale, sostenuto dagli azeri. Gli incontri tra capi di stato possono portare a risultati rilevanti nel breve periodo, quali la diminuzione delle schermaglie sulla linea di fronte e la prevenzione di una nuova escalation come quella del 2016. Le belle parole e le dichiarazioni di intenti non sono, però sufficienti per una risoluzione permanente del conflitto.

 

 

In un’intervista al quotidiano “Free Artsakh” il ministro degli Affari esteri Masis Mayilian fa il punto sull’attuale situazione dei 400.000 profughi armeni scappati dall’Azerbaigian negli anni del conflitto e abbandonati dalla comunità internazionale.

Signor Mayilian, l’Azerbaigian ha sempre usato la questione dei rifugiati come strumento di pressione politica. Baku continua a esagerare con ostinazione la questione dei territori “occupati” da armeni e  dei “milioni” di rifugiati. Nel corso degli anni ci sono state tendopoli a Imishli e Barda. Quali misure intraprendono le autorità dell’ Artsakh per risolvere il problema dei profughi armeni?

La questione dei rifugiati e degli sfollati interni (IDP) è uno dei problemi chiave nel processo di risoluzione del conflitto in Azerbaigian-Karabakh. Va notato che questo problema si è verificato in conseguenza della politica distruttiva dell’Azerbaigian diretta alla soppressione forzata della realizzazione del diritto all’autodeterminazione da parte della popolazione armena dell’Artsakh. Ciò è molto importante in considerazione sia della responsabilità per la situazione attuale sia della metodologia di risoluzione della questione dei rifugiati e degli sfollati. È ovvio che, in primo luogo, è necessario eliminare l’origine del conflitto e solo dopo questo per iniziare ad eliminare le sue conseguenze.

Le autorità di Artsakh e Azerbaigian hanno approcci radicalmente opposti alla questione dei rifugiati e degli sfollati. Mentre Baku considerava la questione dei rifugiati e degli sfollati principalmente come uno strumento per ottenere dividendi politici o di propaganda, l’Artsakh percepiva il problema dei rifugiati come umanitario e tentava di alleviare la situazione dei rifugiati e degli sfollati durante tutto il conflitto. A differenza dell’Azerbaigian ricco di petrolio, l’Artsakh non ha creato ostentate tendopoli per i rifugiati e non ha politicizzato la questione. L’Artsakh ha aiutato questa categoria di vittime del conflitto con condizioni di vita minime sotto un tetto. Ad oggi, il nostro Stato, senza alcun sostegno internazionale, continua a costruire case per i rifugiati e gli sfollati che sono tornati nei loro ex luoghi di residenza liberati dall’occupazione. In particolare, una delle questioni prioritarie nel programma del Presidente della Repubblica dell’Artsakh Bako Sahakyan per il periodo 2017-2020 sta risolvendo i problemi sociali dei rifugiati armeni dall’Azerbaigian che hanno trovato rifugio in Artsakh.

La questione dei profughi armeni dall’Azerbaigian è costantemente al centro dell’attenzione delle autorità della Repubblica di Artsakh. Inoltre, la protezione dei loro diritti e interessi è sancita nei programmi annuali del governo della Repubblica di Artsakh come una delle direzioni importanti della politica estera della Repubblica.

Ha sottolineato esattamente “senza alcun sostegno internazionale”. I profughi armeni dell’Azerbaigian non hanno uno status internazionale e non beneficiano di alcun programma internazionale, a differenza dei rifugiati azerbaigiani. I diritti dei rifugiati armeni dall’Azerbaigian sono completamente ignorati dalle strutture internazionali. Ciò è motivato a causa dello status non riconosciuto della Repubblica di Artsakh. Ma qual è la differenza per i rifugiati di vivere in un Paese riconosciuto o non riconosciuto? Il fatto è che esistono, e il fatto è che i loro diritti sono stati gravemente violati dall’Azerbaigian: sono stati perseguitati per motivi etnici e religiosi e le loro vite erano a rischio …

Sicuramente, la situazione in cui i profughi e gli sfollati che vivono in Artsakh sono completamente dimenticati dalle organizzazioni internazionali specializzate è estremamente anormale e oltraggiosa. Crediamo che privare queste persone di protezione e supporto internazionali sia una violazione dei loro diritti fondamentali. Abbiamo ripetutamente portato questa posizione all’attenzione dei rappresentanti di organizzazioni internazionali.

Nel recente incontro con il Presidente in carica dell’OSCE, il ministro degli Esteri slovacco Miroslav Lajcak, ho notato che, nel caso dell’Artsakh, l’OSCE non dovrebbe limitarsi unicamente al processo di risoluzione, lasciando la dimensione umana senza un’adeguata attenzione. In particolare, durante la riunione ho sottolineato che il processo di risoluzione del conflitto dell’Azerbaigian-Karabakh dura da oltre 27 anni e questo fatto impone all’OSCE alcuni obblighi giacché, a causa del conflitto instabile e dei tentativi in ​​corso da parte di Baku di isolare l’Artsakh, le persone che vivono nella Repubblica, compresi rifugiati e sfollati interni, sono limitate nell’esercizio dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali.

Ultimamente, sono stati compiuti alcuni progressi sulla questione dei rifugiati in Artsakh. Ad esempio, recentemente a Yerevan, il capo dell’Artsakh Union of Armenian Refugees dall’Azerbaigian ha avuto l’opportunità di informare il Presidente in carica dell’OSCE sui problemi di questa categoria di persone. So che questa è la Sua iniziativa. Può raccontarci brevemente l’essenza dell’incontro.

Sarasar Saryan ha informato il Presidente in carica dell’OSCE Miroslav Lajchak sulla situazione dei rifugiati armeni in Artsakh. Ha notato che fino a 30mila rifugiati armeni vivono nella Repubblica di Artsakh, che essi sono privati ​​del sostegno e dell’assistenza internazionale anche a causa della posizione delle autorità dell’Azerbaigian che ostacolano la visita delle organizzazioni internazionali specializzate in Artsakh. Sarasar Saryan ha invitato il Presidente dell’OSCE in carica a visitare l’Artsakh per conoscere immediatamente la situazione dei profughi armeni in Artsakh.

Pensa che cambierà l’approccio delle strutture internazionali alla questione dei profughi armeni dall’Azerbaigian che vivono in Artsakh? Possiamo sperare che i nostri rifugiati acquisiscano uno status internazionale, potranno beneficiare di alcuni programmi umanitari internazionali e così via?

Non credo che ciò accadrà presto, ma il nostro Ministero sta facendo tutto per questo, e una vivida conferma di ciò è stato l’incontro avviato da noi tra il capo dell’Artsakh dell’Unione dei rifugiati armeni dell’Azerbaigian e il presidente dell’Osce in carica. Spero che la voce del rappresentante dei profughi armeni dall’Azerbaigian sia stata ascoltata.  Inoltre, abbiamo stabilito contatti con organizzazioni analoghe dell’Armenia.

Per quanto riguarda il processo di negoziazione sulla soluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh. Sappiamo che il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha proposto di riportare il Nagorno Karabakh al tavolo dei negoziati, che il Presidente dell’Azerbaigian categoricamente respinge o stabilisce le condizioni come quella che in questo caso anche la cosiddetta comunità azera del Nagorno-Karabakh dovrebbe partecipare …

Innanzi tutto, va notato che la questione del ripristino del formato trilaterale dei negoziati è l’indicatore più accurato del grado di preparazione del governo di Baku ai reali progressi nel processo di risoluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabakhiano. Questa convinzione si basa sul fatto indiscutibile che il formato di negoziazione trilaterale era il più produttivo. Di conseguenza, l’opposizione al ripristino del formato più efficace dei negoziati, riteniamo, significa ritardare artificialmente il processo di risoluzione.

Sembra che le autorità di Baku cerchino di trasformare i negoziati in un processo senza fine, sperando che possa aiutare a rinviare l’inevitabile riconoscimento della Repubblica di Artsakh come Stato indipendente della comunità internazionale. A tal fine, le autorità azerbaigiane cercano di distorcere l’essenza del conflitto in ogni modo possibile e di presentarlo come territoriale o intercomunale. Di fatto, i rifugiati azerbaigiani dell’Artsakh sono diventati uno strumento per l’Azerbaigian per raggiungere i propri obiettivi di politica estera.

Il 16 dicembre 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato i Principi di base e le linee guida sul diritto alla protezione legale e al rimborso delle vittime di gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

La questione dei rifugiati e degli sfollati interni non avrà un contenuto specifico fino alla risposta alla domanda principale – sulla responsabilità delle parti di coloro che, a seguito del conflitto, hanno perso il diritto di vivere e svilupparsi liberamente nella loro patria – viene data.

La RSS azerbaigiana, in quanto promotrice dell’esodo forzato di massa dei suoi cittadini armeni, ha chiaramente dimostrato la sua posizione in relazione a questa categoria di persone. Né l’ex repubblica sovietica azera né l’attuale Repubblica azerbaigiana hanno preso provvedimenti per il riconoscimento dei loro obblighi politici e legali nei confronti dei loro ex cittadini o hanno assunto qualsiasi responsabilità morale o finanziaria per le loro azioni. Nessuno degli oltre 400mila profughi armeni dell’Azerbaigian, avendo lasciato questo paese sotto la minaccia diretta della propria vita, ha ricevuto un rimborso per le proprie perdite materiali, patrimoniali e morali.

Secondo i Principi e le linee guida di base sul diritto alla protezione legale e al rimborso delle vittime di gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, le vittime di tali violazioni dovrebbero ricevere un rimborso completo ed efficace, compresa la restituzione, il risarcimento , riabilitazione, soddisfazione e garanzie di non ripetizione di quanto accaduto. Il rimborso dovrebbe essere fornito per ogni danno economicamente valutabile nei modi prescritti e adeguatamente alla gravità della violazione.

[traduzione redazionale dall’inglese]

Il Primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, si sono incontrati a Vienna per iniziativa del gruppo di Minsk dell’Osce.

Dopo gli incontri “informali” di Dushambe, San Pietroburgo e Davos avvenuti nei mesi scontri si tratta del primo meeting ufficiale tra il leader armeno e quello azero.

L’evento, tenutosi all’hotel Bristol della capitale austriaca e iniziato alle ore 11 locali, si è articolato in due parti: un primo incontro allargato ai ministri degli Esteri dei due Paesi (Mnatsakanyan e Mammadyarov) e ai co-presidenti del Gruppo di Minsk. Dopo una breve interruzione Pashinyan e Aliyev hanno avuto un incontro privato a porte chiuse durato quasi due ore al termine del quale sono rientrati nella sala anche i rispettivi ministri degli Affari esteri.

Complessivamente il meeting è durato tre ore e un quarto. Al momento l’Osce non ha ancora diramato un comunicato ufficiale né trapelano indiscrezioni sul contenuto dei colloqui.

Uscendo dalla sala al termine del colloquio, in risposta alla domanda di un giornalista, il premier armeno ha definito l’incontro “normale”.

«Lungo, saturo, efficace» questo è il modo in cui il co-presidente del gruppo di Minsk Stefan Visconti (Francia) ha descritto la riunione di Pashinyan-Aliyev durante un briefing con giornalisti che fanno parte della delegazione del primo ministro Nikol Pashinyan a Vienna.

COMUNICATO STAMPA GRUPPO DI MINSK DELL’OSCE

Vienna, 29 marzo 2019 – Il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il Primo Ministro della Repubblica di Armenia Nikol Pashinyan si sono incontrati oggi a Vienna per la prima volta sotto l’egida dei Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Igor Popov della Federazione Russa, Stéphane Visconti di Francia, e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America). All’incontro hanno partecipato anche i ministri degli Esteri Zohrab Mnatsakanyan e Elmar Mammadyarov. Anche Andrzej Kasprzyk, il rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE, ha partecipato all’incontro. L’incontro si è svolto in un’atmosfera positiva e costruttiva e ha offerto ai due leader l’opportunità di chiarire le rispettive posizioni. Si sono scambiati opinioni su diverse questioni chiave del processo di risoluzione e idee di sostanza. I due leader hanno sottolineato l’importanza di costruire un ambiente favorevole alla pace e di intraprendere ulteriori passi concreti e concreti nel processo negoziale per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Ricordando la loro conversazione a Dushanbe, i leader hanno raccomandato di rafforzare il cessate il fuoco e migliorare il meccanismo di comunicazione diretta. Hanno anche concordato di sviluppare una serie di misure nel campo umanitario. Il primo ministro e il presidente hanno incaricato i loro ministri di incontrarsi nuovamente con i co-presidenti nel prossimo futuro. Hanno anche accettato di continuare il loro dialogo diretto.

Vaticannews.va (27 mar 19) di Giancarlo Vella

link articolo con intervista radiofonica

Riprendono i colloqui tra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena, contesa tra i due Paesi ex sovietici. La questione è da sempre al centro delle frizioni tra Yerevan e Baku e negli anni ’90 ha anche causato un sanguinoso conflitto

Il Presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan si incontreranno a Vienna il 29 marzo prossimo, per discutere una soluzione alla questione del Nagorno-Karabakh, che in passato ha dato vita anche a scontri armati tra Yerevan e Baku. L’incontro è promosso dal gruppo dei mediatori di Minsk dell’Osce formato da Russia, Francia e Stati Uniti. L’obiettivo è porre fine ad una contesa che va avanti da molti anni e che non ha mai trovato una via d’uscita.

Un conflitto nato ai tempi dell’Unione Sovietica

Emanuele Aliprandi, esperto dell’area, autore di diversi volumi sulla questione ed esponente dell’Iniziativa Italiana per il Nagorno Karabakh, ricorda ai nostri microfoni come la vicenda nasce ai tempi dell’Unione Sovietica, quando Stalin assegnò il territorio della regione, ad alta maggioranza armena e cristiana, al controllo dell’Azerbaigian. Quando nel 1991, alla dissoluzione della potenza sovietica, quest’ultimo Paese dichiarò la secessione e l’indipendenza, a sua volta il Nagorno-Karabakh si autoproclamò indipendente, scattò allora la risposta armata di Baku, alla quale si oppose il piccolo esercito locale. Da allora la questione va avanti con un conflitto a bassa intensità, mentre il Nagorno non ha ancora ricevuto alcun riconoscimento dalla comunità internazionale.

Speranze di pace per il Nagorno-Karabakh

Su questi colloqui, ennesima tappa di un lento processo di avvicinamento tra l’Armenia, che tratta per conto della provincia contesa, e l’Azerbaigian, puntano le speranze della comunità internazionale – sottolinea Emanuele Aliprandi – affinché vengano riconosciute le istanze di entrambi i contendenti e, soprattutto, si raggiunga pace e tranquillità per la popolazione del Nagorno-Karabakh, sino ad oggi senza identità di fronte al mondo.

Il ministro degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh), Masis Mayilian, nel corso di una intervista all’agenzia di stampa russa ‘Regnum’ precisa la posizione riguardo a una ipotizzata cessione di territori all’Azerbaigian. Si tratta di interessanti puntualizzazioni che ben chiariscono i termini della questione negoziale.

Signor Ministro, dopo il cambio di potere a Yerevan, le consultazioni tra Armenia e Azerbaigian per una soluzione sul Karabakh si sono acuite intensamente (noi diciamo “consultazioni”, perché i veri negoziati, quando anche il Nagorno Karabakh ha partecipato ad essi, sono cessati nel 1997). Come spiegherebbe l’intensificazione di queste consultazioni?

Dopo che il nuovo governo è salito al potere nella Repubblica di Armenia, mantenere la dinamica degli incontri e delle consultazioni è stato di una certa importanza sia per la parte armena che per i co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, anche dal punto di vista della dimostrazione del rispetto degli accordi concordati e del formato di mediazione. L’indubbia intensificazione degli incontri tra Yerevan e Baku è condizionata dal desiderio delle parti di familiarizzare con i rispettivi approcci riguardanti la soluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabaco.

Le riunioni dei ministri degli Esteri si sono svolte sotto la mediazione dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. I contatti al più alto livello si sono svolti senza la partecipazione di mediatori ai margini di vari forum internazionali e sono stati informali. Come è noto, si sta pianificando la prima riunione del Primo Ministro dell’Armenia e del Presidente dell’Azerbaigian sotto la mediazione dei Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE.

Credo che un’artificiosa intensificazione delle consultazioni a priori non possa essere fruttuosa. Apparentemente, anche le parti lo capiscono. Ad esempio, a febbraio, i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno partecipato alla Conferenza di sicurezza di Monaco, ma non hanno pianificato di tenere una nuova riunione in quel forum.

Il Primo Ministro dell’Armenia ha insistito sulla necessità di coinvolgere la Repubblica del Nagorno Karabakh nei negoziati con l’Azerbaigian. Come vede esattamente la procedura e il tema della partecipazione della NKR ai negoziati?

Prima di tutto, va notato che Yerevan e Stepanakert hanno lo stesso approccio al ripristino del formato trilaterale dei negoziati. Allo stesso tempo, parlando del ritorno della Repubblica di Artsakh al tavolo dei negoziati, partiamo dalla necessità di realizzare reali progressi nel processo di risoluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh. Ci sono tutti i prerequisiti necessari per il ripristino dei negoziati trilaterali. Innanzitutto, dopo una lunga discussione sul formato dei negoziati, ancora nel 1993, la CSCE / OSCE arrivò al convincimento della necessità della partecipazione del Nagorno Karabakh come terza parte in tutte le fasi del processo di pace. Successivamente, questa tesi è stata riflessa nel Sommario di Praga dal Presidente in esercizio dell’OSCE del 31 marzo 1995. Il formato trilaterale stesso è stato approvato in precedenza dalla decisione del Vertice di Budapest dell’OSCE del 1994, basato sul consenso. In secondo luogo, come il tempo mostrava, il formato trilaterale era stato il più efficiente e produttivo. Fu in questo formato che l’unico risultato tangibile fu raggiunto nel processo di definizione – la conclusione sotto la mediazione russa dell’accordo trilaterale del 12 maggio 1994 – del cessate il fuoco e la cessazione di tutte le ostilità.

La formula per il successo del formato di negoziazione trilaterale è piuttosto semplice: ciascuna delle parti ha direttamente rappresentato i propri interessi e discusso le questioni di sua competenza.

La procedura per la partecipazione della Repubblica di Artsakh ai negoziati può essere basata su questa formula. Come il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha ripetutamente affermato, Yerevan non intende impostare la partecipazione di Stepanakert al processo negoziale come una condizione preliminare, ma allo stesso tempo condurrà negoziati solo per proprio conto. Ciò significa che le questioni nell’ambito della competenza esclusiva e dei poteri delle autorità della Repubblica di Artsakh non possono essere discusse nel formato bilaterale Yerevan-Baku. Tale approccio è oggettivo e, crediamo, può fungere da meccanismo per il ritorno dell’Artsakh al tavolo negoziale.

La stragrande maggioranza dei progetti per la risoluzione del conflitto del Karabakh propone di ridurre il territorio della repubblica del Nagorno Karabakh al territorio dell’Oblast autonoma del Nagorno Karabakh. Cosa ne pensa di queste idee?

Poiché il conflitto Azerbaigian-Karabakh non è una disputa territoriale, la ricerca di possibili modi per risolvere il problema sulla base di concessioni territoriali è senza speranza e non riflette l’essenza del conflitto.

Il fatto che nel 1988, quando iniziò una nuova fase del conflitto, i territori attorno all’ex oblast (NKAO) e persino una delle regioni amministrative della regione autonoma fossero sotto il controllo di Baku, indica che questo conflitto non è una disputa territoriale. Cioè, il conflitto si è verificato nonostante il fatto che questi territori fossero controllati dalla parte azera. Pertanto, è illogico credere che le concessioni territoriali di Artsakh possano portare alla risoluzione del conflitto. Va inoltre considerato che tali proposte riguardano direttamente la questione della sicurezza, che è una delle “linee rosse” per l’Artsakh nel processo di risoluzione del conflitto con l’Azerbaigian.

Cedere i territori è una via diretta alla distruzione del sistema di sicurezza non solo dell’Artsakh, ma anche della Repubblica di Armenia, e minaccerà l’esistenza stessa della popolazione indigena nella sua patria storica. In altre parole, questo problema ha un significato esistenziale per noi. Le dichiarazioni del presidente dell’Azerbaigian dimostrano che l’obiettivo strategico ufficiale di Baku è quello di catturare non solo l’Artsakh, ma anche la regione di Syunik in Armenia e persino la capitale dell’Armenia, Yerevan. Dovremmo prendere sul serio le dichiarazioni del presidente e del comandante supremo delle forze armate dell’Azerbaigian e non facilitare il suo percorso verso il loro obiettivo strategico. Al contrario, è necessario continuare a prendere misure militari e politico-diplomatiche per scoraggiare le intenzioni aggressive ed espansionistiche della leadership del paese vicino.

Da rammentare che la leadership della Repubblica di Artsakh ha ripetutamente affermato l’impossibilità e l’inammissibilità di tornare al passato in termini di entrambi i temi: lo status e i territori.

Inoltre, il 15 luglio 2009, dopo che gli approcci dei mediatori all’accordo sul conflitto tra l’Azerbaigian e il Karabakh sono stati resi pubblici, il ministero degli Affari esteri della Repubblica di Artsakh ha rilasciato una dichiarazione sulla necessità di riavviare il processo negoziale falsato al fine di far tornare l’autorità di Stepanakert al tavolo dei negoziati come parte a pieno titolo e per trasformare i principi di base della risoluzione. Questa posizione della Repubblica di Artsakh rimane invariata.

Va inoltre notato che nella suddetta dichiarazione, il ministero degli Esteri dell’Artsakh ha sottolineato che i tentativi di riportare l’Artsakh al passato non sono solo controproducenti, ma sono anche carichi di una nuova escalation del conflitto.

(traduzione redazionale a cura di Karabakh.it)

Il Ministero della Cultura, della Gioventù e del Turismo della Repubblica di Artsakh ha comunicato che nel corso del 2018 sono stati 28.588 i visitatori stranieri con un aumento del 23% rispetto all’anno precedente.

Vale la pena di sottolineare che i cittadini stranieri che hanno visitato l’Artsakh erano provenienti da 87 diversi Paesi del mondo (Italia compresa).
Fra questi, 112 turisti erano provenienti da Israele, registrando un indice senza precedenti.

«I turisti preferiscono principalmente le località di Stepanakert, Shushi, Tigranakert, Dadivank, Gandzasar e la grotta di Azokh» ha dichiarato il ministro Sargsyan e ha aggiunto che i cittadini stranieri ricevono informazioni su Artsakh dai centri di informazione turistica della capitale, Shushi, Tigranakert e Tsazkashat.

Le autorità dell’Artsakh hanno rilasciato un cittadino azero ma Baku non dimostra alcuna buona volontà.

Nei giorni scorsi il governo dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) ha rilasciato un cittadino azero, tale Elnur Huseynzade, che era stato condannato a due anni di reclusione nel 2017 per ingresso illegale nel territorio dello Stato. Faceva parte di un drappello di soldati dell’Azerbaigian che aveva tentato una sortita all’altezza del villaggio di Talish approfittando di una fitta nebbia presente nella zona.

Già a dicembre, Stepanakert aveva dato disponibilità a rilasciare il condannato in anticipo rispetto alla scadenza dei termini ma non aveva ricevuto alcun risposta dalla controparte. Il 2 febbraio Huseynzade ha terminato la sua detenzione nelle celle di custodia della Polizia dell’Artsakh e ha manifestato la propria volontà di essere consegnato a un Paese terzo e non al suo.

L’Azerbaigian, lungi dal voler apprezzare il gesto di buona volontà, si è invece rivolto all’Armenia chiedendo il rilascio di altri due prigionieri.

Prima di tutto, va notato che l’appello dell’Azerbaigian alla Repubblica di Armenia è insostenibile. Per quanto riguarda la questione dei criminali azerbaigiani condannati ad Artsakh, il governo di Baku dovrebbe eventualmente appellarsi direttamente a quello di Stepanakert.

Allo stesso tempo, il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh ha invitato la controparte a fare un passo in avanti e liberare gli ostaggi armeni detenuti in Azerbaigian, in primo luogo quelli che evidentemente avevano problemi di salute. L’Azerbaigian ha respinto la proposta, dimostrando una totale mancanza di rispetto per il destino dei suoi cittadini e una totale ignoranza dei suoi impegni ai sensi del diritto umanitario internazionale.

In realtà, quello a cui mira il regime di Aliyev è la liberazione di Dilham Askerov e Shahbaz Guliyev, due criminali che sono stati giudicati colpevoli di rapimento e uccisione di un ragazzo minorenne, basato sull’odio nazionale, oltre a una serie di altri crimini commessi nel territorio della Repubblica di Artsakh.

Pretendere la liberazione di questi due delinquenti (che una volta in patria verrebbero glorificati come accaduto in passato con il boia Safarov) è una follia che va oltre ogni norma di diritto.

(27 feb 19) PARLAMENTO RICORDA SUMGAIT – L’Assemblea nazionale dell’Artsakh ha votato oggi una mozione che ricorda il pogrom anti armeno di Sumgait (Azerbaigian) e, rendendo omaggio alle vittime di allora, invita le organizzazioni internazionali per i diritti umani a condannare i massacri di 31 anni fa.

(27 feb 19) MONITORAGGIO OSCE – Una missione di monitoraggio lungo la linea di contatto, all’altezza della linea di contatto lungo la strada Akna – Barda, è stata portata a compimento oggi da delegazioni dell’Osce. Durante l’osservatorio non sono state rilevate violazioni del cessate-il-fuoco.

(26 feb 19) BABAYAN PRESENTA NUOVO PARTITO – Il portavoce presidenziale, Davit Babayan, ha annunciato la fondazione di una nuova forza politica denominata “partito conservatore dell’Artsakh”. Il portavoce ha annunciato la sua intenzione di partecipare attivamente alle elezioni parlamentari nel 2020.

(25 feb 19) INCONTRO MINISTRI ESTERI – Il ministro degli Esteri dell’Armenia, Mnatsakanyan, ha incontrato il suo omologo dell’Artsakh, Mayilyan. Mnatsakanyan ha illustrato i dettagli degli incontri tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev a Davos, il suo incontro a Parigi con il ministro degli Esteri azero e con i copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, nonché dell’ultima visita dei mediatori a Yerevan .

(25 feb 19) IN PREPARAZIONE INCONTRO PASHINYAN-ALIYEV – Fonti del ministero degli esteri dell’Azerbaigian hanno confermato che è in preparazione un incontro tra i due leader politici.

(23 feb 19) ALLERTA TATTICA FORZE ARMATE – Il quartier generale delle forze armate dell’Artsakh e alcune unità operative sono state poste in stato di allerta immediata nell’ambito di esercitazioni tattiche sotto il comando del Ministro della Difesa, il tenente generale Karen Abrahamyan.

(22 feb 19) SMENTITO ABBATTIMENTO DRONE – Nessun drone armeno è stato abbattuto sul cielo di Akna (Aghdam). Il ministero della difesa dell’Artsakh ha smentito fonti di stampa azere e ha bollato come ‘vecchio materiale’ la foto che è stata diffusa guarda caso proprio nel giorno i cui i co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce si trovavano in vista a Baku.

(21 feb 19) DIMISSIONI HAROUTYUNYAN– Arayik Haroutyunyan, già Primo ministro e ora rappresentante speciale del presidente della repubblica, si è dimesso dal suo incarico. Il Capo dello Stato Sahakyan ha firmato il relativo decreto.

(20 feb 19) ANNIVERSARIO MOVIMENTO KARABAKH – Nel 31° anniversario della nascita del Movimento Karabakh diversi eventi si svolti in varie località dello Stato. A Stepanakert il palazzo della cultura e della gioventù ha ospitato un concerto. Il presidente della repubblica ha rivolto un messaggio alla Nazione.

(20 feb 19) CO-PRESIDENTI GM IN ARMENIA – I co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce sono in Armenia per incontri con le autorità del Paese. domani saranno in Azerbaigian.

(19 feb 19) PROTOCOLLO ARTSAKH/SUD OSSEZIA – Una delegazione del ministero degli Affari esteri dell’Artsakh, guidata dal ministro Mayilyan è in Ossezia del sud dove nella capitale Tskhinvali è stato firmato oggi un protocollo di intesa fra le due repubbliche. Il protocollo prevede fra l’altro costanti contatti fra i rispettivi ministeri oltre allo sviluppo di programmi comuni.

(19 feb 19) CONFERENZA SU POETA TUMANYAN – In occasione del 150° anniversario della nascita del poeta Hovhannes Tumanyan, il centro culturale di Gandzasar ha ospitato una conferenza alla quale ha preso parte anche il presidente della repubblica Sahakyan.

(18 feb 19) RICORDATO ARTHUR MKRTCHYAN – Il presidente della repubblica, Bako Sahakyan, ha presenziato all’inaugurazione di una esibizione dedicata al primo presidente della repubblica di Artsakh, Arthur Mkrtchyan in occasione del sessantesimo anniversario della nascita. Il mandato di Mkrtchyan durò solo quattro mesi (dal gennaio ad aprile 1992) allorché venne assassinato in circostanze misteriose. Nella mattinata Sahakyan aveva deposto una corona di fiori al memoriale dei caduti.

(17 feb 19) NESSUN INCONTRO MINISTRI ESTERI – Non è stato programmato alcun incontro tra i ministri degli Affari esteri di Armenia e Azerbaigian a margine della Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. «Possiamo incontrarci nei corridoi e dirci ciao» ha commentato l’armeno Mnatsakanyan.

(15 feb 19) MARTIROSYAN AD ASKERAN – Il Ministro di Stato, Grigory Martirosyan, si è recato oggi in visita nella città di Askeran dove ha incontrato il sindaco Samvel Aghajanyan e le autorità locali. Nel corso della sua visita ha verificato lo stato dei lavori di ammodernamento dell’ospedale, della casa della cultura e dello stadio che ospiterà alcune partite dei campionati europei Conifa a giugno. Ha anche visitato l’area dove a breve partiranno i lavori per l’edificazione di un distretto residenziale.

(15 feb 19) APERTO NUOVO CENTRO MEDICO – A Stepanakert è stato inaugurato un nuovo centro medico privato (“Vita Med”) per visite specialistiche ed esami diagnostici.

(14 feb 19) SAHAKYAN VISITA POSTAZIONI DIFESA – Il presidente della repubblica, Bako Sahakyan, si è recato in visita in diverse postazioni dell’Esercito di difesa lungo la linea di contatto nel settore meridionale. Lo accompagnava il ministro Karen Abrahamyan e altri ufficiali.

(13 feb 19) MONITORAGGIO OSCE – Una missione di monitoraggio lungo la linea di contatto, all’altezza del villaggio di Talish, è stata portata a compimento oggi da delegazioni dell’Osce. Durante l’osservatorio non sono state rilevate violazioni del cessate-il-fuoco.

(12 feb 19) SUCCESSO ATLETI ARTSAKH – Una delegazione di atleti dell’Artsakh ha partecipato (sotto le insegne dell’Armenia) al torneo internazionale di Wushu kung fu disputatosi a Tbilisi dall’8 all’11 febbraio e al quale hanno preso parte oltre 200 atleti provenienti da diverse nazioni. Sei medaglie d’oro, 3 d’argento e 2 di bronzo è l’ottimo bilancio degli atleti dell’Artsakh

(11 feb 19) FESTEGGIATA TYARNDARACH– In molte località dell’Artsakh, compresa Stepanakert, si è festeggiata la festa di Tyarndarach che si tiene alla vigilia della Candelora.

(9 feb 19) MIRZOYAN IN ARTSAKH – Il Presidente dell’Assemblea nazionale dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, è in Artsakh per una visita istituzionale. Nel corso di una conferenza stampa ha dichiarato che la questione Artsakh è tra le questioni chiave dell’agenda della politica estera della Repubblica di Armenia in varie piattaforme parlamentari. «Abbiamo un compito fondamentale nell’agenda nazionale; è la soluzione imparziale della questione Artsakh. Le forze dei due parlamenti dovrebbero essere utilizzate per la risoluzione di questo problema» ha detto Mirzoyan. «Il tempo dirà fino a che punto la firma di un’alleanza politico-militare, o il riconoscimento di Artsakh sarà utile per raggiungere questo obiettivo. Dobbiamo arrivare al riconoscimento o alla firma di un’alleanza come risultato di una discussione congiunta».

(8 feb 19) PREPARATIVI INCONTRO PRESIDENZIALE – Sono in corso i praparativi per un incontro tra il Primo Ministro dell’Armenia Pashinyan e il Presidente azero Aliyev. Al momento non trapelano indicazioni su quando e dove si terrà il vertice.

(7 feb 19) MINISTRO DI STATO IN KASHATAGH – Il Ministro di Stato, Grigory Martirosyan, si è recato oggi in visita nella parte meridionale della regione di Kashatagh dove ha visitato alcune comunità accompagnato dalle autorità locali. A Vorotan ha verificato lo stato dei lavori di costruzione del nuovo edificio comunale e della scuola di infanzia e ha analizzato il progetto della costruzione dello stadio. A Haykazyan  ha visitato il nuovo edificio scolastico.

(5 feb 19) SAHAKYAN VISITA POSTAZIONI DIFESA – Il presidente della repubblica, Bako Sahakyan, si è recato in visita in diverse postazioni dell’Esercito di difesa lungo la linea di contatto. Lo accompagnava il ministro Karen Abrahamyan e altri ufficiali. In giornata il Capo dello Stato si è recato a Talish dove ha incontrato l’autorità locale e la cittadinanza e si è sincerato del processo di ricostruzione del paese.

(5 feb 19) RILASCIATO DETENUTO AZERO – Dopo aver scontato al pena di due anni di prigione inflittagli dal tribunale di Stepanakert per ingresso illegale in Artsakh, il soldato azero Elnur Huseynzade è stato rilasciato. Per sua espressa volontà verrà trasferito in un terzo Paese e non in Azerbaigian. Huseynzade era stato catturato il primo febbraio 2017 allorché con altri commilitoni tentava una sortita nel territorio dell’Artsakh, all’altezza dell’insediamento di Talish, approfittando di una fitta nebbia calata sulla zona.

(4 feb 19) MNASTAKANYAN: ARMENIA GARANTE SICUREZZA ARTSAKH – Il ministro degli Esteri dell’Armenia, Zohrab Mnatsakanyan, nel corso di una conferenza stampa ha dichiarato che «la Repubblica di Armenia è il garante della sicurezza di Artsakh, partecipa ai negoziati e continuerà a fare tutto ciò».

(3 feb 19) LIEVE SCOSSA DI TERREMOTO – Una scossa di terremoto di magnitudo 2.8 e con ipocentro a dieci chilometri di profondità nella zona di Karvachar è stata registrata dall’ufficio sismologico dell’Armenia.

(1 feb 19) PASHINYAN: NON POSSO NEGOZIARE A NOME DELL’ARTSAKH – Il Primo ministro dell’Armenia nel corso di una conferenza stampa congiunta a Berlino con la Cancelliera Merkel ha dichiarato che «durante i nostri colloqui [con il presidente azero, NdR], ho affermato chiaramente che io, come Primo ministro armeno posso negoziare a nome dell’Armenia, ma non posso negoziare a nome del Nagorno Karabakh per una semplice ragione: il popolo del Nagorno Karabakh non partecipa alle nostre elezioni e non ha votato per me, ha il suo presidente, il suo parlamento e il suo governo». Pashinyan ha altresì aggiunto che a suo avviso una soluzione del contenzioso dovrebbe essere accettabile sia per il popolo armeno che per quello dell’Artsakh che per quello azero; «tuttavia non ho mai udito la controparte azera affermare che tale soluzione dovrebbe essere accettabile per la parte armena e per quella dell’Artsakh»

Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso del 25 gennaio 2019, di Marilisa Lorusso

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I recenti incontri diplomatici tra Armenia e Azerbaijan aprono spiragli di fiducia nei progressi per la soluzione pacifica del conflitto in Nagorno Karabakh

Non soffiano ancora venti di pace sul processo di risoluzione e pacificazione del conflitto in Nagorno Karabakh, ma sicuramente aria di novità. Il neo eletto governo di Nikol Pashinyan, fresco della conferma dalle urne e del consenso che lo sostiene sta tentando un avvicinamento cauto a Baku, che gli fa sponda.

Il lavorio diplomatico

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev si sono incontrati il 22 gennaio scorso a Davos, nell’ambito del World Economic Forum, per parlare del conflitto in Karabakh, regione secessionista armena sottrattasi dal 1994 al controllo di Baku. Non è la prima volta che a latere di un evento diplomatico multilaterale i due si ritagliano un incontro rigorosamente bilaterale. Era già successo a Dushanbe, durante la riunione del CIS, e poi di nuovo a Pietroburgo, in un’analoga circostanza. E poi ci sono stati i numerosi incontri dei numero uno dei rispettivi ministeri degli Esteri.

Dall’assunzione dell’incarico il ministro degli Esteri armeno Zohrab Mnatsakanyan ha incontrato l’omologo azerbaijano Elmar Mammadyarov quattro volte, di cui l’ultima volta a Parigi il 16 gennaio scorso. Un incontro durato ben quattro ore e definito molto proficuo dai copresidenti del Gruppo di Minsk per la regolamentazione del conflitto congelato dal 1994, cioè Francia, Russia e Stati Uniti. Si leggono nel comunicato stampa  parole che non si sentivano pronunciare da più di un decennio in riferimento alle posizioni delle parti: “I ministri hanno discusso un’ampia gamma di questioni relative alla risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh e concordato sulla necessità di prendere provvedimenti concreti per preparare le popolazioni alla pace. Durante le riunioni, i copresidenti hanno esaminato con i ministri i principi e i parametri chiave per la fase attuale del processo di negoziazione […] e hanno preso in considerazione i prossimi passi verso un possibile vertice tra i leader dell’Azerbaijan e dell’Armenia con lo scopo di dare un forte impulso alla dinamica dei negoziati”.

Quindi una valutazione delle proposte avanzate finora, la pianificazione del futuro lavorio diplomatico al massimo livello politico, e – finalmente e forse – la moderazione di quella propaganda nazionalista e violenta che ha reso le popolazioni ostili a qualsiasi compromesso, senza il quale nessuna pace può essere raggiunta. Più volte, proprio sulle pagine di OBC Transeuropa, è emerso come la questione del linguaggio dell’odio stia contribuendo attivamente al deterioramento della sicurezza e delle prospettive di pace, ad esempio nei due articoli Nagorno Karabakh: il linguaggio dell’odio e Arzu Abdullayeva: donna di pace tra Azerbaijan e Armenia.

Le reazioni

Nel contesto di relazioni internazionali tese e complesse, un segno positivo in un’area di così grandi criticità è stato accolto con viva soddisfazione e speranza. Ed è proprio il Segretario Generale ONU António Guterres ad aver commentato  con una sua dichiarazione pubblica il 17 gennaio il lavoro diplomatico in corso elogiando il costante impegno delle parti a trovare una soluzione negoziata e pacifica al conflitto e accogliendo con particolare favore l’accordo dei ministri azerbaijano e armeno sulla necessità di adottare misure concrete per preparare le popolazioni alla pace. La dichiarazione della massima carica dell’ONU è un tassello importante per capire quanto il processo in corso possa essere qualcosa di sostanziale.

Alle parole di Guterres hanno fatto seguito le dichiarazioni europee. Il Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per il Caucaso Meridionale Toivo Klaar ha scritto sul suo profilo twitter che “preparare le popolazioni per la pace è fondamentale e l’UE è impegnata a sostenere questo processo”.

Lo European Union External Action Service  di Federica Mogherini ha ribadito la posizione dell’Unione e l’importanza della questione del Karabakh per tutta la regione, sottolineando che tutti trarrebbero beneficio da una pace duratura che contribuirebbe a consentire alla regione del Caucaso meridionale di realizzare il proprio potenziale.

Se la comunità internazionale è unanime nell’accogliere la possibilità di costruire la pace, il tema delle concessioni necessarie al raggiungimento di un compromesso ha acceso il dibattito a livello nazionale. In Armenia sono i Repubblicani in particolare a punzecchiare il governo. Il vice-presidente del partito Armen Ashotyan dal suo profilo Facebook ha posto cinque domande al nuovo governo, accusandolo già di aver tradito le promesse fatte, in particolare quella di riportare le autorità de facto del Nagorno Karabakh al tavolo negoziale, dando così legittimazione politica internazionale alla loro esistenza.

Un campo minato

Che costruire la pace in Nagorno Karabakh e fra Armenia e Azerbaijan non sia una passeggiata è evidente, e non solo per le dichiarazioni dell’opposizione politica interna nei due paesi interessata ovviamente a screditare l’azione di governo su un tema così avvertito e delicato. La fiducia fra i due paesi passa sotto il fuoco incrociato, letteralmente: il cessate il fuoco viene violato quotidianamente lungo una linea di contatto fra eserciti che ormai si insinua entro i confini di stato riconosciuti, tra Armenia ed Azerbaijan, e non solo lungo la linea che demarca il confine de facto del Karabakh. Sono state 180 le violazioni del cessate il fuoco registrate dalle autorità della regione secessionista  solo dal 13 al 19 gennaio di quest’anno, corrispondenti ad una pioggia di 1300 proiettili, e nel solo weekend del 19 gennaio il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha registrato una settantina di violazioni  . E questo è considerato un periodo di netta distensione militare.

Un campo minato mai sanato, il Karabakh, anche in questo caso letteralmente. Se si continua a sparare, si continua anche a morire o rimanere feriti per le mine disseminate trent’anni fa. L’ultimo caso il 16 gennaio scorso quando Arman Mikaelyan, residente a Tavush, ha perso una gamba a causa di una mina  .

Una diffidenza che passa non solo per il fuoco, ma anche per tutta una serie di misure restrittive. Sono chiusi ad esempio i confini tra Armenia e Azerbaijan ed è limitata la libertà di movimento, con un numero crescente di soggetti coinvolti, incluse cittadinanze terze. È di questi giorni poi la polemica fra Russia e Azerbaijan riguardante cittadini russi di origine armena che non sarebbero stati ammessi nel paese. La Russia ha denunciato  una violazione della normativa vigente per motivi di discriminazione etnica. L’Azerbaijan ha risposto  che a fronte di numerosi russi regolarmente accolti non accetta né critiche né ultimatum. Toni inusitatamente ostili fra i ministeri degli Esteri dei due paesi che dimostrano come il vecchio conflitto si innesti in dinamiche tutte attuali e contribuisca a estendere l’area di tensione.

Un campo minato da bonificare, e una strada verso la pace che è tutta in salita. Ma – dopo una decade in cui si è parlato più di guerra che di pace – pare che almeno su questa strada si stia provando a incamminarsi.

Il meeting fra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian il 16 gennaio sembra aprire spiragli di pace al contenzioso ma …

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