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il presidente dell’Armenia Sargsyan all’ONU: per il democraticamente sviluppato Artsakh, l’Azerbaijan semplicemente simboleggia l’arretratezza medievale

Fonte: Lettera 43, 7 settembre,  di Alessandro da Rold e Luca Rinaldi

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Si torna a indagare sulla gigantesca rete di riciclaggio continentale. Un giro da 20 miliardi di dollari. Coinvolta anche l’Italia sull’accordo per il gasdotto Tap. Come funziona la «diplomazia al caviale».

In Europa si torna a parlare del gas azero e di quell’immenso giro di denaro che tra il gennaio e l’ottobre 2014 ha messo in moto una rete di riciclaggio da 20 miliardi di dollari passati per 19 banche russe e finiti sui conti di oltre 5 mila società domiciliati in 732 banche dislocate in 96 Paesi nel mondo.

PRODOTTI 3 MILIARDI IN TRE ANNI. È uno schema che la Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp) ha ribattezzato come «Lavatrice russa». Fa parte del “gioco” la lavatrice azera, che ha prodotto in tre anni circa 3 miliardi di dollari. La segnalazione è arrivata in questo senso per prima dalla Danske Bank, la banca danese che ha registrato movimenti anomali nella filiale estone che riportavano direttamente al governo e alla classe dirigente di Baku. Ma sono stati una serie di documenti in possesso del giornale danese Berlingske e condivisi con la stessa Occrp che ha svelato la possibile presenza dei notabili azeri nello schema.

«I soldi erano indirizzati a politici, giornalisti e personalità influenti con l’obiettivo di adottare una linea morbida nei confronti del presidente azero Ilham Aliyev»

Uno dei passaggi “preferiti” della lavatrice azera è il Regno Unito. Qui sarebbero transitati 16 mila pagamenti riservati da parte della classe dirigente azera, col placet del governo di Baku. Denari destinati a una rete di politici, giornalisti e personalità influenti con l’obiettivo di adottare una linea morbida nei confronti del presidente Ilham Aliyev in un momento in cui il lo stesso si è trovato a fronteggiare un mare di critiche per l’arresto di attivisti per i diritti umani e giornalisti.

DI MEZZO I CONTESTATI GASDOTTI. Insomma, quella che viene chiamata «diplomazia al caviale», o «caviar diplomacy». Buona pure per favorire gli interessi economici della classe dirigente azera, tra cui leggere alla voce Trans Adriatic Pipeline, meglio nota come Tap, ovvero il metanodotto da 871 chilometri che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa approdando nel Salento. Di mezzo anche il contestato metanodotto Snam Rete Gas, che porterà il gas della Tap nella rete di distribuzione nazionale e seguirà un percorso di 55 chilometri e 90 metri, da Melendugno a Brindisi.

Nel giugno 2014 non sfuggì agli osservatori più attenti l’incontro romano tra il presidente azero Aliyev e l’allora premier Matteo Renzi. Negli stessi giorni faceva il suo ingresso come lobbista di British Petroleum, parte integrante del consorzio che realizzerà le opera per la Tap, l’ex premier britannico Tony Blair. Pochi mesi dopo, a novembre, il pranzo tra Blair e Renzi in cui il primo avrebbe dato indicazioni al secondo sulla «via della sinistra italiana». E forse anche sul Tap.

SOLDI DALLA FONDAZIONE A ROMA. Ma la diplomazia al caviale in Italia si è manifestata, a proposito di fondazioni, pure con i denari della fondazione Aliyev quando l’allora sindaco Gianni Alemanno e l’ambasciatore azero a Roma Vaqif Sadiqov firmarono un documento per destinare 110 mila euro in arrivo dalla stessa fondazione al restauro della Sala dei Filosofi di Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini. Obiettivo «rafforzare i rapporti di collaborazione» già avviati nel campo della cultura con l’arrivo del monumento al poeta Nizami Ganjavi (definito «poeta azerbaigiano», in realtà nato in Persia due secoli prima della fondazione dello Stato azero) a Villa Borghese.

Nel frattempo anche la procura di Milano potrebbe riservare sorprese nei prossimi mesi. Alla fine di luglio infatti la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della procura diretta da Francesco Greco, esperto di reati finanziari, contro il proscioglimento nel 2014 del parlamentare dell’Udc Luca Volontè, accusato di aver ricevuto da politici azeri una tangente da 2 milioni 390 mila euro per orientare il suo voto come membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in favore del governo dell’Azerbaijan.

TRANSAZIONI IN SOCIETÀ OFFSHORE. I soldi, come ha verificato la Guardia di finanza dopo una segnalazione della Bcc di Barlassina, erano transitati sulla società italiana Lgv, intestata alla moglie di Volontè, e alla sua fondazione politica, Novae Terrae. I soldi sarebbero passati su società offshore in Estonia e Lettonia.

Per i pm Elio Ramondini e Adriano Scudieri il parlamentare dell’Udc avrebbe sfruttato il suo ruolo di capogruppo dei popolari europei per convincere altri parlamentari a votare contro contro il rapporto Strassaer sulle condizioni degli 85 prigionieri politici nella repubblica caucasica. Un favore al governo azero.

CASSAZIONE CONTO LA DECISIONE DEL GUP. Per la Cassazione la decisione del gup, che aveva deciso di archiviare «perché inutile la celebrazione del dibattimento», era sbagliata. «L’immunità prevista dall’articolo 68 primo comma della Costituzione (“i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e di voti dati nell’esercizio”) non preclude la perseguibilità del reato di corruzione per esercizio della funzione in relazione all’attività del membro del parlamento».

LA PROCURA PUÒ RIAPRIRE L’INDAGINE. Per la Cassazione, infatti, come riporta anche il Fatto Quotidiano, «il gup di Milano, nel decretare il non luogo a procedere, non ha fatto alcuna valutazione sulla sostenibilità in dibattimento dell’accusa, ma si è limitato ad elevare erroneamente l’insindacabilità delle condotte ascritte all’imputato e quindi l’operatività della clausola di immunità». Gli atti sono stati di nuovo inviati alla procura che ora può riaprire l’indagine. E chissà che non vengano fatti altri approfondimenti sulla gigantesca “lavatrice azera” e sulla diplomazia al caviale che avrebbe corrotto politici in tutta Europa.

Un’inchiesta del quotidiano britannico “The Guardian” svela che solo dal 2012 al 2014 l’Azerbaigian ha speso quasi tre miliardi di dollari per la ‘politica del caviale’. E in Italia?…