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Se l’Armenia ritirasse le sue azioni legali presso i tribunali internazionali come indicato dall’accordo prefato di Washington, , la questione dei prigionieri armeni detenuti nella capitale azera Baku diventerebbe irrisolvibile. Se la strada politica fallisse, si ritroverebbero in una situazione di totale indifesa.

Lo ha affermato alcuni giorni fa in un’intervista l’avvocato Siranush Sahakyan, che rappresenta gli interessi dei prigionieri armeni presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ma Sahakyan ha espresso la speranza che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mantenga la promessa fatta durante gli incontri a Washington DC la scorsa settimana e che il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, come gesto umanitario, rilasci i prigionieri armeni detenuti a Baku.

L’accordo di pace [firmato tra Armenia e Azerbaigian la scorsa settimana a Washington] non contiene nemmeno una disposizione riguardante i prigionieri [armeni] [a Baku], ma la questione è inclusa nelle cause legali interstatali. Pertanto, se la Repubblica d’Armenia ritirasse le cause legali, la questione dei prigionieri diventerebbe irrisolvibile“, ha affermato Sahakyan.

Ha osservato che il suddetto accordo di pace prevede l’impegno a ritirare qualsiasi controversia legale tra Armenia e Azerbaigian.

Sorge una domanda: se le disposizioni dell’accordo vengono violate e l’Azerbaigian non mostra alcun cambiamento di comportamento, quale sarà la condotta dell’Armenia? Genererà una nuova controversia legale, nelle condizioni in cui si è assunta l’obbligo di ritirare le controversie legali già in corso? Qui, a quanto pare, si sta creando una situazione casistica contraddittoria“, ha aggiunto Siranush Sahakyan.

Va sottolineato anche il fatto che i prigionieri armeni detenuti illegalmente nella capitale azera Baku sono completamente isolati, poiché le attività della Croce Rossa in Azerbaigian sono state di fatto sospese. Sebbene l’ufficio della Croce Rossa manterrà legalmente la sua presenza in Azerbaigian fino a settembre, non potrà svolgere attività sostanziali.

Queste persone sono tenute in condizioni di completo isolamento, il contatto con il mondo esterno avviene esclusivamente tramite telefonate, nessun organismo indipendente monitora le loro condizioni fisiche e psicologiche e svolge alcuna attività. Non ci sono altri sviluppi nel processo, le udienze procedono a un ritmo prestabilito, l’esito è prevedibile. Abbiamo ripetutamente sottolineato che la questione è politica, i prigionieri armeni hanno effettivamente lo status di ostaggi, poiché il loro rilascio è legato alla risoluzione di questioni dell’agenda politica. E la questione prioritaria è la firma dell’accordo di pace [tra Armenia e Azerbaigian]. L’Azerbaigian ha creato una nuova leva con la questione dei prigionieri, che è stata utilizzata ripetutamente. A nostro avviso, il rilascio dei 23 armeni [a Baku] sarà possibile esclusivamente nel contesto di questo processo, attraverso un percorso politico“, ha affermato Sahakyan.

Sahakyan ha inoltre ricordato che durante gli incontri tenutisi a Washington la scorsa settimana, anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva sollevato la questione di questi prigionieri.

Credo che verrà compiuto un gesto umanitario e, dopo la firma dei documenti, la questione del loro rimpatrio sarà risolta. Le preoccupazioni potrebbero riguardare la questione se il rimpatrio avverrà in più fasi o se i 23 prigionieri saranno rimpatriati in un’unica soluzione. Non escludo che l’Azerbaigian opterà per un’opzione graduale“, ha aggiunto Sahakyan.

Ha osservato che, grazie alle attività di accertamento dei fatti svolte, sono stati in grado di documentare almeno 80 casi di prigionia che non sono stati accettati e confermati dalle autorità azere.

Poiché l’Azerbaigian ha negato attraverso vari canali che queste persone siano sotto la sua custodia, dal punto di vista dei diritti umani questo gruppo ha modificato il suo regime giuridico e ci troviamo di fronte a persone scomparse forzatamente. Si tratta di almeno 80 casi, ma non escludiamo che i numeri siano incomparabilmente più alti“, ha aggiunto Siranush Sahakyan.

Intanto i processi farsa a carico di 23 armeni (comprese le ex autorità della repubblica di Artsakh) vanno avanti a Baku.

Il ministero degli Esteri della repubblica di Armenia ha diramato il testo dell’accordo di pace che è stato siglato (non firmato) a Washington dal premier armeno Pashinyan e dal presidente azero Aliyev.

Di comune accordo, viene pubblicato l’Accordo siglato per l’istituzione della pace e delle relazioni interstatali tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian.

Accordo per l’istituzione della pace e delle relazioni interstatali tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian

La Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian (di seguito, le Parti),

– Consapevoli dell’urgente necessità di stabilire una pace giusta, globale e duratura nella regione;

– Desiderando contribuire a tale scopo attraverso l’instaurazione di relazioni interstatali;

– Guidate dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite (1970), dall’Atto finale della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (1975) e dalla Dichiarazione di Almaty del 21 dicembre 1991, e mirando a sviluppare relazioni sulla base delle norme e dei principi ivi sanciti;

– Esprimendo la reciproca volontà di stabilire un buon vicinato tra loro;

Hanno concordato di stabilire la pace e le relazioni interstatali tra loro sulla base di quanto segue:

ARTICOLO I

Dopo aver confermato che i confini tra le Repubbliche Socialiste Sovietiche dell’ex URSS sono diventati i confini internazionali dei rispettivi stati indipendenti e sono stati riconosciuti come tali dalla comunità internazionale, le Parti riconoscono e rispetteranno la sovranità, l’integrità territoriale, l’inviolabilità dei confini internazionali e l’indipendenza politica reciproca;

ARTICOLO II

Nel pieno rispetto dell’Articolo I, le Parti confermano di non avere alcuna rivendicazione territoriale reciproca e di non avanzare alcuna rivendicazione del genere in futuro.

Le Parti non intraprenderanno alcun atto, compresa la pianificazione, la preparazione, l’incoraggiamento e il sostegno di tali atti, che mirino a smantellare o compromettere, totalmente o in parte, l’integrità territoriale o l’unità politica dell’altra Parte;

ARTICOLO III

Le Parti, nelle loro relazioni reciproche, si astengono dall’uso della forza o dalla minaccia dell’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica o in qualsiasi altro modo incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite. Esse non consentono a nessuna Parte terza di utilizzare i rispettivi territori per usare la forza contro l’altra Parte in modo incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite;

ARTICOLO IV

Le Parti si asterranno dall’interferire negli affari interni dell’altra;

ARTICOLO V

Entro _____ giorni dallo scambio degli strumenti di ratifica del presente Accordo da parte di entrambe le Parti, le Parti stabiliranno relazioni diplomatiche tra loro in conformità con le disposizioni delle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari (rispettivamente del 1961 e del 1963);

ARTICOLO VI

Nel pieno rispetto dei loro obblighi ai sensi dell’articolo I del presente Accordo, le Parti condurranno in buona fede negoziati tra le rispettive commissioni di frontiera in conformità con i regolamenti concordati delle Commissioni per concludere l’Accordo sulla delimitazione e demarcazione del confine di Stato tra le Parti;

ARTICOLO VII

Le Parti non dispiegheranno lungo i rispettivi confini forze di terze parti. Le Parti, in attesa della delimitazione e della successiva demarcazione dei rispettivi confini, attueranno misure di sicurezza e di rafforzamento della fiducia concordate, anche in ambito militare, al fine di garantire la sicurezza e la stabilità nelle regioni di confine;

ARTICOLO VIII

Le Parti condannano e combatteranno l’intolleranza, l’odio e la discriminazione razziale, il separatismo, l’estremismo violento e il terrorismo in tutte le loro manifestazioni all’interno delle rispettive giurisdizioni e rispetteranno i loro obblighi internazionali applicabili;

ARTICOLO IX

Le Parti si impegnano ad affrontare i casi di persone scomparse e sparizioni forzate avvenuti nel conflitto armato che ha coinvolto entrambe le Parti, anche attraverso lo scambio di tutte le informazioni disponibili su tali persone, direttamente o in cooperazione con le organizzazioni internazionali competenti, a seconda dei casi. Le Parti, con la presente, riconoscono l’importanza di indagare sulla sorte di tali persone, inclusa la ricerca e la restituzione delle salme, ove opportuno, e di garantire che giustizia sia fatta nei loro confronti attraverso indagini appropriate, come mezzo di riconciliazione e di rafforzamento della fiducia. Le relative modalità, a tale riguardo, saranno negoziate e concordate in dettaglio in un accordo separato;

ARTICOLO X

Al fine di stabilire una cooperazione in vari settori, tra cui quello economico, del transito e dei trasporti, ambientale, umanitario e culturale, le Parti possono concludere accordi in aree di reciproco interesse;

ARTICOLO XI

Il presente Accordo non viola i diritti e gli obblighi delle Parti ai sensi del diritto internazionale e dei trattati conclusi da ciascuna di esse con altri Stati membri delle Nazioni Unite. Ciascuna Parte garantisce che nessuno degli impegni internazionali attualmente in vigore tra essa e terzi pregiudichi i propri obblighi assunti ai sensi del presente Accordo;

ARTICOLO XII

Le Parti, nelle loro relazioni bilaterali, si ispirano al diritto internazionale e al presente Accordo. Nessuna delle Parti può invocare le disposizioni della propria legislazione interna come giustificazione per la mancata esecuzione del presente Accordo.

Le Parti, in conformità con la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), si astengono da atti che possano vanificare l’oggetto e lo scopo del presente Accordo prima della sua entrata in vigore;

ARTICOLO XIII

Le Parti garantiscono la piena attuazione del presente Accordo e istituiscono una commissione bilaterale per supervisionare l’attuazione del presente Accordo. La Commissione opererà sulla base di modalità che saranno concordate dalle Parti;

ARTICOLO XIV

Fatti salvi i diritti e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e da altri trattati che le vincolano nelle loro relazioni reciproche, le Parti si adopereranno per risolvere qualsiasi controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione del presente Accordo attraverso consultazioni dirette, anche in seno alla Commissione di cui all’Articolo XIII. Qualora tali consultazioni non producano risultati accettabili per entrambe le Parti entro 6 mesi, le Parti cercheranno altri mezzi di risoluzione pacifica delle controversie;

ARTICOLO XV

Fatto salvo l’articolo XIV, le Parti ritireranno, respingeranno o altrimenti risolveranno tutte le rivendicazioni, i reclami, le proteste, le obiezioni, i procedimenti e le controversie interstatali relativi alle questioni esistenti tra le Parti prima della firma del presente Accordo in qualsiasi foro legale entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente Accordo e non avvieranno tali rivendicazioni, reclami, proteste, obiezioni, procedimenti e non saranno coinvolte in alcun modo in tali rivendicazioni, reclami, proteste, obiezioni, procedimenti avviati contro l’altra Parte da terzi.

Le Parti non intraprenderanno, incoraggeranno o saranno coinvolte in alcun modo in alcuna azione ostile reciproca contraria al presente Accordo in ambito diplomatico, informativo e di altro tipo e condurranno consultazioni regolari a tal fine;

ARTICOLO XVI

L’Accordo entrerà in vigore dopo lo scambio degli strumenti che notificano il completamento delle procedure interne in conformità con le legislazioni nazionali delle Parti. Il presente Accordo sarà registrato in conformità con l’articolo 102 della Carta delle Nazioni Unite;

ARTICOLO XVII

Il presente Accordo è stipulato in lingua armena, azera e inglese, e tutti e tre i testi sono ugualmente autentici. In caso di divergenza sul significato di una disposizione contenuta in uno qualsiasi dei testi autentici, prevarrà il testo inglese.

Data, luogo

Cerchiamo di fare il punto sulla questione del cosidetto “Corridoio di Zangezur. Un progetto fortemente voluto da Turchia, Azerbaigian, USA, Europa e (forse) Russia con importanti ricadute in termini politici ed economici ma anche foriero di gravi rischi per la sicurezza dell’Armenia che dovrebbe essere attraversata da un passante ferroviario e forse anche stradale che colleghi la repubblica autonoma del Nakhjivan al resto dell’Azerbaigian (attraverso l’Artsakh occupato).
Vediamo in primo luogo e sinteticamente gli aspetti politici della vicenda
:

1) Non esiste alcun “corridoio di Zangezur”. Questa non è una espressione geografica ma una etichetta politica di matrice turco-azera.

2) Un collegamento tra Nakhjivan e Azerbaigian (passando attraverso l’Armenia meridionale e l’Artsakh occupato) è fortemente richiesto da Turchia e Azerbaigian ma anche auspicato da USA e, in misura minore, Europa. La Russia era fino qualche tempo fa non contraria ma poi i rapporti tra Mosca e Baku si sono irrimediabilmente guastati e oggi potrebbe vedere la nascita del “corridoio” alla stregua di una ingerenza occidentale nel Caucaso.

3) Questo “corridoio” dovrebbe essere costituito da una linea ferroviaria e (forse anche) una strada tagliando in due la regione armena del Syunik e di fatto privando Yerevan della propria sovranità territoriale nell’area interessata oltre che del collegamento con l’Iran.

4) Gli USA recentemente si sono offerti di “prendere in affitto” il corridoio garantendo per la sicurezza armena con un contigente di guardie private. Al momento la proposta non pare sia stata accolta da Yerevan anche se qualche organo di informazione a ipotizzato che in realtà sia stato già firmato un accordo.

5) L’Azerbaigian, al contrario, rifiuta qualsiasi ipotesi di corridoio all’interno del suo territorio (Nakhjivan, in particolare). In buona sostanza richiede all’Armenia quello che non è disposto a concedere neppure dopo la ipotetica firma di un accordo di pace.

6) L’Armenia ha proposto di garantire libero transito alle merci provenienti dall’Azerbaigian ma senza rinunciare ai propri diritti di Stato sovrano. Si consideri che per avere libero passaggio di persone e cose all’interno dell’Unione europea ci sono voluti decenni. L’Azerbaigian invece vorrebbe imporre (peraltro senza aver firmato alcun accordo di pace) il proprio “diritto” (fra una minaccia e l’altra del dittatore Aliyev…) approfittando della debolezza della controparte armena.

7) Non si tratta solo di una questione economica ma anche politica. Non a caso tutto i soggetti interessati vogliono il passante attraverso il territorio armeno e non quello iraniano pochi chilometri più a sud. Aliyev sa bene che Teheran non accetterebbe mai un transito senza controllo doganale, mentre gli USA vorrebbero utilizzare questo corridoio per mettere pressione all’Iran lungo il suo confine settentrionale.

Stante il fortissimo interesse azero (e turco) per lo sblocco del transito (che avrebbe indubbiamente importanti positive ricadute economiche) ancora non è chiara la contropartita che potrebbe ricevere l’Armenia a fronte di una sua concessione. A meno che non si rimanga nel campo della solita minaccia di Baku (“se non mi dai quello che voglio, me lo prendo con la forza…”).

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Vediamo ora in concreto come potrebbe realizzarsi un transito dal Nakhjivan all’Azerbaigian senza ledere (eccessivamente) i diritti di sovranità armena tenuto conto che il regime azero di Aliyev pretende libero transito di cose e persone senza alcun controllo doganale.

1) il territorio dell’Armenia meridionale (Syunik) è particolarmente montuoso e non è facile realizzare infrastrutture se non a costo di scavare lunghi tunnel attraverso le catene montuose che scendono da nord verso sud.

2) Solo lungo il confine con l’Iran, lungo il corso del fiume Arax, si estende una molto stretta fascia relativamente pianeggiante e, non a caso, tutte le ricostruzioni di questo ipotetico passante lo prevedono proprio in quella zona (non oltre l’Arax perché sarebbe territorio iraniano).

Dal confine con il Nakhjivan verso est corre una strada di servizio che segue il corso del fiume e la frontiera con l’Iran. Solo all’altezza di Agarak (dove c’è il controllo doganale con l’Iran) si apre una zona pianeggiante ma è quasi tutta occupata dall’insediamento e dalle attività produttive. La statale M2 corre sempre lungo il fiume per poi piegare dopo alcuni chilometri verso nord in direzione Meghri e Kapan. Da lì in poi, sempre andando verso est, c’è solo una strada di servizio.

3) Lo spazio dunque per una (nuova?) strada e per una ferrovia è veramente limitato. Oltretutto, realizzare un “corridoio” in quella stretta fascia equivarrebbe di fatto a privare l’Armenia di tutto il controllo sul confine con l’Iran limitando la sua sovranità in un’area strategicamente importante.

4) queste valutazioni portano a concludere che l’ipotesi di un passante ferroviario e stradale è scarsamente attuabile perché occuperebbe una fascia troppo ampia rispetto allo spazio disponibile. A meno di non spostarlo verso nord ma a costo di imponenti opere di ingegneria comportanti la realizzazione di costosi tunnel per quasi l’intero tracciato (oltre 40 chilometri).

5) Va anche detto che una strada sarebbe difficilmente controllabile dalle forze di sicurezza armene o di altri Paesi. Anche il collegamento ferroviario lascia dubbi riguardo alla possibilità (tutt’altro che remota) che azeri o turchi si infiltrino in Armenia sfruttando il passaggio ferroviario ma garantisce comunque un margine di maggior sicurezza per gli armeni solo che si attivino determinati controlli sia lungo il tracciato che eventualmente all’ingresso e all’uscita del territorio dell’Armenia. Pensiamo ad esempio alla possibilità di bloccare dall’esterno i vagoni merci in modo che nessuno possa scendere dal treno durante il tragitto.

6) Il transito ferroviario per le persone non garantisce sicurezza agli armeni e, almeno per qualche anno, dovrebbe essere escluso fin tanto che le relazioni fra i due Paesi non si normalizzassero.

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Nella terza parte di questo approfondimento vedremo le ricadute positive e negative di questo progetto sull’Armenia.

L’aereo di Erdogan è atterrato la mattina del 28 maggio al nuovo aeroporto internazionale della regione di Kashatagh (Lachin), nell’Artsakh armeno occupato. Poi con il Presidente dell’Azerbaigian Aliyev ha inaugurato lo scalo.

Con questo nuovo scalo, sono ben quattro gli aeroporti in un’area di 7.000 chilometri quadrati non vengono certo costruiti per scopo di turismo ma solo per installare basi aeree militari che rappresentano una concreta minaccia per la vicina Armenia. E forse sono progettati anche in chiave anti-Iran visti gli stretti legami politici, economici e militari tra l’Azerbaigian e Israele.

Questo nuovo scalo sorge in linea d’aria a pochissima distanza dalla frontiera armena e non ha alcuna utilità civile in un’area praticamente disabitata fatte salve alcune centinaia di persone che vi si sono trasferite in cerca di miglior fortuna. Significativa l’accoglienza ricevuta dal dittatore Aliyev al suo arrivo alla scalo prima della cerimonia ufficiale allorché ad attenderlo vi era solo una quindicina di civili “festanti”.

Per capire il progetto azero basterà solo considerare il fatto che prima della conquista militare dell’Artsakh armeno, l’Azerbaigian aveva cinque scali (civili) in circa 70.000 kmq di territorio nazionale:

Baku (la capitale)

Ganja (la seconda città, 325.000 ab.) fino al 1996 aeroporto militare e utilizzato come tale durante l’ultima guerra

Yevlax (58.000 ab., ottava città)

Lankaran (50.000 ab., nona città)

Agstafa (20.000 ab. al confine con l’Armenia, reg. Tavush)

Balakan (10.000 ab. al confine con la Georgia)

Solo Baku, Ganja e Lankeran sono internazionali, ma solo quello della capitale è veramente un hub per tutto il Paese

Dopo la conquista militare gli azeri hanno costruito ben tre nuovi aeroporti nella regione del Nagorno Karabakh in aggiunta a quello di Stepanakert:

Fuzuli (2021)

Zangilan (2022, al confine con l’Armenia, 80 km a ovest di Fuzuli)

Lachin (2025, al confine con l’Armenia, 70 km a nord di Zangilan)

Non ci vengano a dire che servono a incentivare il turismo… D’altronde la presenza di Erdogan per inaugurare un piccolo aeroporto è un chiaro messaggio politico di conquista. Dopo l’inaugurazione a Lachin (Berdzor) si è tenuto un vertice Turchia-Azerbaigian-Pakistan. “Esprimiamo ancora una volta la nostra gratitudine per il sostegno politico e morale fornito al nostro Paese da Turchia e Pakistan fin dai primi giorni della guerra durata 44 giorni nel 2020“, ha affermato Aliyev.

Caso mai qualcuno non avesse ancora capito chi ha sconfitto gli armeni. L’Europa sta passivamente assistendo a questa fortificazione del nuovo Impero Ottomano preoccupata solo delle forniture di gas dal dittatore azero.

Le autorità azere devono rilasciare immediatamente i cittadini armeni. Lo afferma una risoluzione del Parlamento europeo approvata il 13 marzo, con 523 voti a favore, 3 contrari e 84 astensioni.

Il documento afferma che 23 ostaggi armeni (la definizione è tratta dal testo originale) sono detenuti in Azerbaigian, tra cui ex funzionari de facto del Nagorno Karabakh (Artsakh) e prigionieri di guerra della guerra del 2020 e della successiva pulizia etnica.

Il Parlamento europeo sottolinea che queste persone sono sottoposte a processi farsa e devono affrontare accuse gravi che potrebbero portare a condanne illegali all’ergastolo.

Durante il processo, vengono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, anche tramite metodi psicoattivi proibiti. I loro diritti alla difesa indipendente, agli interpreti, agli appelli, agli incontri con i parenti e al rinvio delle udienze in tribunale per motivi di salute vengono regolarmente violati.

La risoluzione sottolinea inoltre che uno degli imputati, Ruben Vardanyan, continua il suo sciopero della fame, il che sta causando un rapido peggioramento delle sue condizioni, così come di quelle degli altri detenuti. Il Parlamento europeo invita le autorità azere a garantire i loro diritti, tra cui l’accesso alle cure mediche, e a fornire un’indagine indipendente sulle condizioni della loro detenzione.

Inoltre, il documento richiama l’attenzione sulla chiusura degli uffici della Croce Rossa e delle agenzie ONU in Azerbaigian, che è motivo di seria preoccupazione. A questo proposito, il Parlamento europeo invita la delegazione dell’UE e le ambasciate degli stati membri dell’UE nella capitale azera di Baku a monitorare regolarmente i processi e a visitare gli armeni detenuti.

Un appello separato è rivolto al Rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani.

Inoltre, il Parlamento europeo raccomanda di imporre sanzioni internazionali nei confronti di coloro che sono coinvolti in violazioni dei diritti umani, tra cui i procuratori e giudici Jamal Ramazanov, Anar Rzayev e Zeynal Agayev.

Il Parlamento europeo chiede che la Corte penale internazionale indaghi sui casi di sfollamento forzato e pulizia etnica degli armeni nel Nagorno Karabakh. Inoltre, il documento chiede la piena attuazione delle decisioni della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anche sulla protezione di tutti i detenuti catturati a seguito della guerra del 2020 e delle successive operazioni militari.

Il Parlamento europeo ha nuovamente chiesto la sospensione del memorandum d’intesa UE-Azerbaigian su un partenariato strategico nel campo dell’energia, adottato nel 2022.

Inoltre, i deputati insistono sul fatto che qualsiasi futuro accordo di partenariato tra UE e Azerbaigian sia subordinato al rilascio di tutti i prigionieri politici, al miglioramento della situazione dei diritti umani nel paese e al fatto che l’Azerbaigian non ritardi indebitamente la firma di un accordo di pace con l’Armenia e rispetti i diritti degli armeni del Nagorno-Karabakh, compreso il diritto al ritorno.

Il Ministero degli Affari Esteri dell’Armenia ha rilasciato una dichiarazione in merito ai “processi” dell’ex dirigenza militare e politica dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) e di diversi altri armeni tenuti prigionieri a Baku, la capitale dell’Azerbaigian. La dichiarazione recita quanto segue:

“Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Armenia continua a richiamare l’attenzione della comunità internazionale, in particolare dei partner interessati alla pace nella regione e alla valorizzazione dei principi umanitari, sulla questione del rilascio dei prigionieri di guerra armeni, degli ostaggi e di altri individui detenuti in Azerbaigian. Mette inoltre in luce i processi inscenati contro alcuni di loro, che vengono condotti con gravi violazioni procedurali e chiari segni di tortura.

C’è profonda preoccupazione per la pubblicazione di foto e video dei “processi” di 23 prigionieri di guerra armeni, ostaggi e altri detenuti, nonché per i resoconti allarmanti dei loro avvocati in merito alla coercizione, alla tortura e all’evidente deterioramento della loro salute, tra cui quella di Ruben Vardanyan, attualmente in sciopero della fame.

Questo modello di condotta è ulteriormente corroborato dalle preoccupazioni espresse dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, dai casi documentati di tortura di prigionieri di guerra armeni segnalati da Human Rights Watch e da altre organizzazioni, nonché dalla persistente elusione da parte dell’Azerbaigian della cooperazione coordinata con gli organismi internazionali, tra cui il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Il governo dell’Armenia continua a ricevere segnalazioni dell’uso di misure proibite contro prigionieri di guerra armeni, ostaggi e altri detenuti.

Prigionieri di guerra armeni, ostaggi e altri detenuti sono trattenuti illegalmente in Azerbaigian in palese disprezzo dei suoi impegni e obblighi internazionali. La loro detenzione e persecuzione costituiscono una grave violazione del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani fondamentali. Un semplice elenco dei documenti multilaterali internazionali pertinenti include la Dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione di Ginevra IV (1949) e la Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

È evidente che le autorità azere stanno utilizzando questo spettacolo giudiziario come strumento di pressione politica sulla Repubblica di Armenia e di manipolazione all’interno della società, data la delicatezza della questione per ogni membro della famiglia e per l’intera società.

È particolarmente degno di nota il fatto che questi processi si svolgano in un contesto in cui continua la propaganda di odio etnico contro gli armeni nei media azeri.

Al di sopra di tutto e prima di tutto, la risoluzione completa di qualsiasi conflitto include la preparazione dei popoli alla pace, mentre il prolungamento aggiuntivo e artificiale di questioni umanitarie irrisolte non serve a questo scopo, per usare un eufemismo, e riduce solo la probabilità di tale risoluzione. Questa comprensione è stata ripetutamente sottolineata durante le discussioni con l’Azerbaigian, così come su varie piattaforme internazionali da partner e organizzazioni. Ci aspettiamo che questa comprensione prevalga anche nelle percezioni delle autorità azere rispetto al continuo alimentare l’ostilità e i calcoli a breve termine.

In assenza di una risoluzione definitiva della questione, l’Armenia non può quindi rimanere indifferente o non coinvolta e continuerà a sollevare la questione su diverse piattaforme e in diversi formati, aspettandosi soluzioni e progressi positivi”.

In data 17 gennaio 2025, in concomitanza con l’inizio del processo farsa in Azerbaigiana carico dei prigionieri armeni di guerra (fra i quali le autorità della repubblica di Artsakh), è stato presentato un nuovo appello alla sede armena delle Nazioni unite. Il documento recita come segue:

Tenendo conto della completa espropriazione e dello spostamento forzato del popolo autodeterminato e indigeno dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) da parte del regime genocida dell’Azerbaigian,

Sulla base del fatto che la comunità internazionale ha collettivamente fallito nel suo obbligo di proteggere il popolo dell’Artsakh e prevenire il genocidio,

Prendendo atto che vari membri influenti della comunità internazionale hanno consapevolmente sostenuto i crimini internazionali commessi contro l’Artsakh e il popolo armeno in generale,

Ricordando che esattamente 35 anni fa, la popolazione armena di Baku fu sottoposta a un altro massacro, che di fatto completò il genocidio di centinaia di migliaia di armeni in Azerbaigian,

Considerando che i crimini genocidi contro il popolo armeno continuano ancora oggi attraverso l’imprigionamento illegale di ostaggi armeni e “processi” fabbricati, la distruzione del patrimonio culturale armeno sotto l’occupazione azera, le crescenti minacce di nuove aggressioni contro l’Armenia, l’escalation della politica di armenofobia e altre manifestazioni,

Essendo profondamente preoccupato per le atrocità contro tutti gli armeni tenuti prigionieri in Azerbaigian, compresi i prigionieri politici, i prigionieri di guerra e i civili, nonché per la grave incertezza riguardante la sorte di circa 80 persone scomparse con la forza e centinaia di persone scomparse,

Documentando che tutti i “processi” passati e futuri contro gli armeni in Azerbaigian sono chiaramente volti a garantire punizioni collettive e umiliazioni contro l’intero popolo armeno,

Sottolineando che, nonostante tutto questo, gli organismi specializzati delle Nazioni Unite e gli Stati membri continuano le loro attività indifferenti e inefficaci, che non riescono ad eliminare le conseguenze dei crimini commessi contro il popolo armeno e a impedire la commissione di nuovi crimini,

Tenendo conto che l’ONU è considerata il volto e la voce collettiva della comunità internazionale,

Facendo riferimento ai documenti fondamentali del diritto internazionale, nonché alle decisioni della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite adottate il 7 dicembre 2021, il 22 febbraio, il 6 luglio e il 17 novembre 2023, sulla base delle richieste dell’Armenia:

Chiediamo al Segretario generale delle Nazioni Unite, agli organismi specifici e agli Stati membri quanto segue:

  1. Esercitare la massima pressione sul regime di Aliyev affinché rilasci immediatamente tutti gli ostaggi armeni torturati e umiliati nelle prigioni azere.
  2. Prima del rilascio, garantire la tutela dei loro diritti fondamentali in Azerbaigian applicando sia strumenti di monitoraggio che sanzioni.
  3. Adottare misure efficaci per chiarire la sorte delle persone scomparse o forzatamente scomparse.
  4. Attivare meccanismi internazionali per il monitoraggio e la protezione del patrimonio culturale e della proprietà pubblica e privata dell’Artsakh.
  5. Avviare un processo internazionale sostanziale per garantire il ritorno collettivo, sicuro, dignitoso e sostenibile delle persone sfollate con la forza dell’Artsakh.

Durante la guerra di 44 giorni dell’Artsakh nel 2020, il supporto militare turco ha avuto un ruolo decisivo nella vittoria dell’Azerbaigian. Sebbene sia stato riferito che nessun soldato turco ha partecipato direttamente alle operazioni di combattimento e che la Turchia ha fornito all’Azerbaigian solo armi moderne, in particolare i droni Bayraktar TB2, e ha condotto un addestramento militare, sono emerse prove che suggeriscono che anche personale militare turco era coinvolto nei combattimenti. Il quotidiano di fama internazionale The Guardian ha persino riferito che i servizi segreti turchi stavano reclutando mercenari per assistere l’Azerbaigian. Tuttavia, queste affermazioni sono state smentite sia dalle autorità turche che da quelle azere.

Di recente, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, durante un discorso a Rize, ha dichiarato che la Turchia sarebbe entrata in Israele per sostenere la Palestina, così come era entrata in Karabakh e in Libia. Erdogan ha fatto questa dichiarazione nel contesto del conflitto israelo-palestinese (le operazioni militari su larga scala tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza e nel sud di Israele), che ha scatenato un’ondata di rabbia in Azerbaigian. Questo perché la dichiarazione ha messo in discussione i “diritti esclusivi” dell’Azerbaigian alla vittoria nella guerra del Karabakh.

La dichiarazione è stata seguita da una risposta del Ministero della Difesa dell’Azerbaijan, che ha sottolineato che la vittoria nella guerra del Karabakh è stata ottenuta esclusivamente grazie agli sforzi dei soldati azeri. È stato evidenziato che il presidente dell’Azerbaijan ha ripetutamente espresso gratitudine alla Turchia per il suo supporto militare e politico. Tuttavia, il ministero ha sottolineato che nessun soldato di nessun altro paese ha partecipato alla guerra.

Due giorni dopo la dichiarazione di Erdogan, anche il quotidiano ufficiale dell’Azerbaijan, Azerbaijan, ha risposto ad Ankara. In un articolo intitolato Gli autori della vittoria del Karabakh sono il Comandante in Capo Supremo e l’esercito azero, il giornale ha affrontato le osservazioni di Erdogan, affermando che “versano acqua sul mulino armeno” e affermando che “un fratello non dovrebbe vantarsi con il fratello di ciò che ha fatto per lui”, così come “la mano sinistra non dovrebbe sapere cosa sta facendo la mano destra”. L’autore ha anche osservato che “il prezzo di ogni proiettile utilizzato era stato pagato”.

L’articolo ricordava alla Turchia i passi compiuti dall’Azerbaijan a suo favore, come il sostegno dell’Azerbaijan alla Turchia su varie piattaforme diplomatiche, gli sforzi di Ilham Aliyev per promuovere la cooperazione tra gli stati turchi, il coinvolgimento delle aziende edili turche nell’Artsakh occupato. Poi sottolineava che “la fratellanza richiede obblighi reciproci”.

Inizialmente, la parte turca ha tentato di ignorare l’insoddisfazione dell’Azerbaijan. Tuttavia, poco dopo questa pubblicazione, durante la cerimonia di laurea dell’Accademia dell’aeronautica militare turca, Erdogan ha parlato ancora una volta della guerra del Nagorno-Karabakh. Ha affermato, “in Karabakh, insieme ai nostri fratelli azerbaigiani, abbiamo completamente distrutto le forze nemiche”, sottolineando ancora una volta il ruolo significativo della Turchia in quella vittoria.

La dichiarazione di Erdogan ha quindi rivelato le tensioni latenti nelle relazioni turco-azere in merito alla vittoria dell’Azerbaigian nella guerra del Karabakh, durata 44 giorni, evidenziando alcune complessità inerenti al concetto di “una nazione, due stati”.

(articolo pubblicato originariamente in inglese dalla fondazione Geghard)

Un appello ‘trasversale’ di parlamentari italiani in favore dei detenuti armeni è stato presentato da circa 40 tra deputati e senatori di tutti i gruppi politici che chiedono al governo Meloni di “sensibilizzare il partner azero affinché, in concomitanza con l’evento COP29, proceda, quale gesto di buona volontà e in segno di amicizia con l’Italia, alla liberazione di tutti i prigionieri e detenuti armeni“.

Nell’appello si chiede anche di “curare, qualora necessario anche con mezzi propri, il ritorno a casa degli stessi; di comunicare ad Armenia e Azerbaigian l’impegno dell’Italia finalizzato al raggiungimento di un accordo definitivo di pace nella regione”.

L’appello è stato firmato premettendo che “dall’11 al 22 novembre 2024 l’Azerbaigian ospiterà COP29, conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico” e considerando “che l’Italia ha ottimi rapporti commerciali e politici con Baku e intrattiene una proficua collaborazione anche nel campo energetico, il che ci posiziona fra i primissimi partner europei dell’Azerbaigian“.

Valutato che è interesse dell’Italia che l’area sud caucasica sia pacificamente stabilizzata e pertanto vengano incoraggiate tutte le azioni che promuovano un aumento di fiducia tra Armenia e Azerbaigian e la firma di un definitivo accordo di pace” e “preso atto che, dopo i recenti conflitti, risultano ancora trattenuti, con differenti motivazioni, a Baku, 23 prigionieri di guerra armeni e altri detenuti le cui famiglie attendono da tempo il ritorno a casa”, i deputati e senatori si appellano al governo affinché interceda per la liberazione dei detenuti armeni “considerato che il loro rilascio rappresenterebbe un segnale positivo nelle relazioni fra i due Paesi e avrebbe ulteriori positive ricadute su tutta l’area regionale e sulla stessa COP29“.

FIRMATARI DELL’APPELLO

– Alessandro Battilocchio (FI);

– Brando Benifei (PD);

– Deborah Bergamini (FI);

– Simone Billi (Lega);

– Stefano Borghesi (Lega);

– Susanna Camusso (PD);

– Andrea Casu (PD);

– Giulio Centemero (Lega);

– Gian Marco Centinaio (Lega);

– Alessandro Colucci (Nm);

– Andrea De Priamo (FdI);

– Gianmauro Dell’Olio (M5S);

– Benedetto Della Vedova (+Eu);

– Graziano Delrio (Pd);

– Gabriella di Girolamo (M5S);

– Piero Fassino (PD);

– Aurora Floridia (AVS);

– Paolo Formentini (Lega);

– Mariastella Gelmini (NM);

– Giorgio Lovecchio (FI);

– Lorenzo Malagola (FDI);

– Stefano Maullu (FdI);

– Roberto Menia (FdI);

– Elena Murelli (Lega);

– Luigi Nave (M5S);

– Federica Onori (Az);

– Andrea Orsini (FI);

– Andrea Pellicini (FdI);

– Catia Polidori (FI);

– Emanuele Pozzolo(FdI);

– Erik Pretto (Lega);

– Tatjana Rojc (PD);

– Massimiliano Salini (FI);

– Ivan Scalfarotto (IV);

– Filippo Sensi (PD);

– Luigi Spagnolli (Aut);

– Francesco Verducci (PD);

– Sandra Zampa (PD);

– Giampiero Zinzi (Lega).