L’oro conteso

Nella giornata di ieri 26 novembre è giunta notizia che un folto drappello di soldati azeri, provenienti dalla regione di Karvachar (Kelbajar) passata sotto il loro controllo il 25 novembre, sarebbe entrato in territorio dell’Armenia e avrebbe occupato la miniera di Sotk (Zod) che sorge proprio sulla linea di confine.

Nella giornata odierna il premier armeno Pashinyan ha smentito questa “invasione” ma è fuori di dubbio che intorno al possesso del sito minerario è nato l’ennesimo contenzioso con il vicino azero.

Non stiamo parlando di una miniera qualsiasi: quella in questione estrae oltre quattro tonnellate di oro all’anno. È di proprietà della “Geopromining gold” a sua volta incorporata nella “GeoProMining Investment Limited” di proprietà russa e con sede a Cipro (Limassol).

La società è il miglior contribuente dell’Armenia con circa 34 milioni di dollari versati in tasse nelle casse di Yerevan. Sul suo sito dichiara asset in Armenia (la miniera di Sotk e un impianto nella valle dell’Ararat per la lavorazione del metallo) e in Russia.

In tutti i siti specializzati nel settore minerario, la miniera di Sotk viene indicata nella regione di Gegharkunik (Vardenis) in Armenia, ma come detto in realtà insiste sul vecchio confine sovietico tra Armenia e Azerbaigian. Finchè la regione di Karvachar faceva parte della repubblica dell’Artsakh, non vi sono stati problemi, ma da due giorni la questione è cambiata e il richiamo dell’oro troppo forte per resistere.

Così uno dei primi interventi dei soldati di Aliyev è stato il tentativo di andare a prendere possesso del sito minerario.

Per conoscere l’esatta collocazione servirebbe uno studio approfondito con rilievi cartografici specializzati. Ci fidiamo di Google Earth che fa passare la linea di confine proprio sopra la montagna (si tratta di una miniera a cielo aperto) come si evince dalla foto. Poco più a sud passa la strada che collegava Vardenis a Martakert.

I rilievi satellitari mostrano che la montagna è stata scavata da tutti i fianchi; nella parte ora azera vi è un edificio logistico, ma gli uffici amministrativi sono ubicati nel villaggio di Sotk in Armenia.

Cosa accadrà ora? Sembra che in breve tempo sia stata trovata una soluzione salomonica. Considerato che la proprietà russa non ha alcuna intenzione che venga bloccata l’attività estrattiva che si svolge a circa 2500 metri di altitudine, pare quindi che abbia concordato la suddivisione dello scavo tra le due parti, quella armena e quella azera, ciascuna per proprio conto.

Per gli armeni si tratta soprattutto di una perdita economica perché arriveranno minori entrate fiscali visto che parte della produzione verrà spostata in territorio straniero; per gli azeri però non sarà semplice organizzare l’attività estrattiva perché non hanno né impianti né soprattutto collegamenti con il resto dell’Azerbaigian eccezion fatta per il passo Omar a 3000 metri di altezza e senza valide strade carrabili.

Allora possiamo immaginare che la produzione estrattiva andrà avanti come se nulla fosse se non che una parte dei proventi fiscali finirà a Baku.

In alternativa, gli armeni continueranno a scavare la montagna fin tanto che arriveranno alla metà e oltre mentre gli azeri rimarranno a guardare.

Ne sapremo di più nei prossimi mesi.