Nessuna concessione unilaterale!

Intensa attività diplomatica da parte della Russia per arrivare a un possibile accordo sul Nagorno Karabakh. Va bene, a patto che…

È fuor di dubbio che gli ultimi giorni abbiano visto un’intensa attività diplomatica da parte della Russia con il ministro degli Esteri Lavrov e soprattutto il presidente Putin instancabilmente indaffarati a tessere una fine tela di contatti in tutta l’area mediorientale e caucasica.

Solo nelle ultime ore Vladimir Putin ha incontrato a Mosca il collega turco Erdogan, “sdoganandolo” dopo la vicenda del jet abbattuto e aprendo la prima linea di credito diplomatica verso Ankara dopo il golpe fallito di metà luglio. Due giorni prima, il presidente russo aveva avuto a Baku un vertice con il presidente azero Aliyev e quello iraniano Rohani. A seguire, infine, l’incontro con il collega armeno Sargsyan a Mosca.

Fra i tanti argomenti all’ordine del giorno di questi meeting non riesce difficile individuare nel contenzioso sul Nagorno Karabakh un minimo comun denominatore.

Il leit motive diplomatico delle ultime settimane è quello che occorre trovare una soluzione di compromesso che sia tale al punto che nessuno, armeni e azeri, si alzi dal tavolo delle trattative ritenendo di aver vinto. Questo, in parole semplici, il messaggio che la diplomazia russa sta ripetendo alle parti in causa. Di qui, il giro di contatti con tutti i soggetti dell’area con i quali ovviamente Putin ha affrontato altri temi spinosi, in primis quello della Siria.

Circolano voci su un possibile nuovo vertice armeno-azero entro la fine del mese e i co-presidenti del Gruppo di Misnk si starebbero adoperando in tal senso.

Ora, resta da capire che cosa si vuole intendere per “compromesso”.

L’Azerbaigian continua a ripetere che non vi potrà essere mai alcun accordo che non preveda il rispetto della sua integrità territoriale; abbiamo già commentato altre volte questo assunto, considerandolo come antistorico e inconcepibile a livello pratico. Pensare che il popolo del Karabakh possa essere amministrato da coloro che esibivano tronfi le teste mozzate dei soldati armeni è fuori da ogni più fantasiosa immaginazione.

Dal canto suo la leadership dell’Armenia si sforza a ripetere che non vi potrà mai essere alcuna “concessione unilaterale”; espressione un po’ ambigua perché le concessioni procedono sempre da una parte sola e, caso mai, devono essere bilanciate da altrettante proposizioni della controparte. Le recenti vicende di Yerevan dimostrano un certo malumore nell’opinione pubblica.

Si ha quasi l’impressione che la Russia abbia deciso che, nel gioco politico internazionale, sia arrivato il momento di chiudere la partita nel Caucaso meridionale. E che, dopo quasi trenta anni di conflittualità, abbia imposto un ultimatum alle parti in causa invitandole a sottoscrivere un accordo, probabilmente non molto lontano da quei famosi “Principi di Madrid” sul contenuto dei quali non vi è alcuna certezza ma che hanno funto da base per le trattative degli ultimi due lustri. Anzi, secondo il vice ministro degli Esteri dell’Armenia, Kocharyan, essi rappresentavano la sostanza dell’accordo al meeting presidenziale di Kazan che avrebbe avuto esito favorevole se all’ultimo momento Aliyev non avesse scompigliato le carte in tavola, non avesse fatto marcia indietro e non avesse rilanciato con altre irricevibili proposte.

Una pace nel Karabakh non sarebbe altro che un utile tassello nella importante campagna diplomatica di Mosca alla ricerca di nuovi alleati e nuove strategie dopo la crisi ucraina. «Non devono vincere gli Stati ma i popoli» ha ribadito Putin a commento dell’incontro di Baku. Che tradotto vuol dire che la propaganda nazionalista di ciascuna leadership (armena e azera) deve lasciare spazio a un accordo che garantisca pace e benessere a tutta la regione.

Ma dunque tra una repubblica del Nagorno Karabakh inglobata (sia pure con qualche parvenza di autonomia amministrativa) in seno all’Azerbaigian (di cui tecnicamente non ha mai fatto mai parte, è bene ricordarlo) e di contro il suo pieno riconoscimento internazionale entro gli attuali confini quale potrebbe essere il “compromesso” invocato dai mediatori internazionali?

Ribadiamo anche noi con forza che nessuna concessione potrà mai essere fatta se non sarà garantito in primo luogo il pieno diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh (con il riconoscimento giuridico di tale entità) e se non sarà tutelata la sua sicurezza (con almeno la totale protezione della frontiera con l’Armenia e la garanzia che non vi sarà dislocamento di forze militari azere lungo gli altri confini).

È di queste ultime ore la dichiarazione dell’ex vice ministro armeno agli Esteri, Navasardyan, che commentando il recente incontro a Mosca tra Putin e Sargsyan, ha ribadito che non vi è alcun riferimento alla cessione dei territori armeni nei documenti ufficiali sul Nagorno Karabakh e che al momento un compromesso è davvero difficile dal momento che l’Azerbaigian non sembra propenso ad alcun accordo e insiste per avere piena giurisdizione sull’intera regione.

Dal canto suo, il vice presidente del Parlamento dell’Armenia, Sharmazanov, ha sottolineato come il presidente Sargsyan a Mosca abbia ribadito la necessità che il destino del Karabakh sia deciso dal suo popolo e abbia ricordato come già nel 1994 le autorità del NK abbiano firmato l’accordo di cessate-il-fuoco avendo pieno titolo al tavolo dei negoziati dell’epoca. Egli ha inoltre puntualizzato il comportamento di Aliyev che nel corso dei vertici assume una certa posizione che poi cambia radicalmente una volta ritornato in patria.

Invero, qualsiasi ipotesi riguardo lo status del Nagorno Karabakh o un anacronistico ritorno ai confini dell’antica oblast sovietica non può ovviamente essere presa in seria considerazione. Il popolo armeno dell’Artsakh ha combattuto una guerra di liberazione e il sacrificio di migliaia di sue vite non può certamente essere reso vano da accordi che non tengano conto della sua volontà. Pertanto uno dei primi passi dovrebbe essere appunto la piena partecipazione delle autorità della repubblica del NK al tavolo delle trattative. Per una scelta veramente condivisa, senza “concessioni unilaterali”.

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