Anche sul Caucaso la «longa manu» del sultano Erdogan

Fonte: IL GIORNALE  (Gian Micalessin), 19.05.16

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L’inconcludente guerra lampo degli azeri risponde alla crisi del petrolio e a un tentativo di riconquista dei consensi interni. Ma è stata stimolata pure da sollecitazioni straniere

A un mese dalla cosiddetta guerra dei quattro giorni, il grande mistero è perché il presidente azero Ilham Aliyev si sia lanciato in un’avventura tanto ingiustificata quanto militarmente insignificante. Al di là della conquista di alcune alture intorno alla cosiddetta linea di contatto, la sanguinosa offensiva del 2 aprile scorso non garantisce a Baku alcuna significativa conquista territoriale rispetto al cessate il fuoco del maggio 1994. Anche perché – come rivela il canale indipendente azero Maydan pubblicando nomi e cognomi dei soldati azeri caduti – la riconquista di quelle alture sarebbe costata la vita di 91 militari e non di soli 31 come sostenuto dal governo. L’insuccesso più evidente è però la sostanziale perdita di credibilità a livello internazionale. Oltre ad essersi resa responsabile della più grave violazione del cessate il fuoco dal 1994 a oggi, Baku deve fare i conti con le accuse di crimini contro l’umanità commessi dalle sue truppe. L’episodio più controverso, anche per il successivo conferimento di un’onorificenza al responsabile, è la decapitazione, il 4 aprile scorso, del soldato armeno Karam Sloyan e l’esibizione della sua testa in un villaggio azero. Un episodio seguito ai primi di maggio dalla sconcertante decisione del presidente Aliyev di premiare pubblicamente Ramil Safarov, il militare azero protagonista dell’esibizione della testa mozzata.

«Atti come questi – sostiene in un’intervista a il Giornale il vice ministro degli Esteri dell’Armenia, Shavarsh Kocharian – sono in linea con la tradizione di un Azerbaijan che da sempre ricorre alla violenza e all’aggressione per risolvere i suoi problemi. Negli anni ’90 risposero con le bombe e la pulizia etnica alle richieste di autodeterminazione sancite dal referendum sul Nagorno Karabakh. Oggi, non ottenendo nulla sul piano negoziale, tentano di cambiare la situazione con la forza. E anche i crimini contro l’umanità sono la conseguenza dell’atteggiamento di un regime che ha sempre legittimato il genocidio e le operazioni di pulizia etnica ai danni degli armeni».

Per alcuni osservatori l’offensiva azera è invece strettamente connessa agli squilibri causati dalla caduta del prezzo del petrolio. In un Paese dove il 90 per cento delle entrate deriva dalla vendita di gas e greggio, la caduta dei prezzi ha inevitabilmente determinato un’inattesa e brusca crisi economica che ha innescato vaste manifestazioni di protesta nelle principali città azere. In questo contesto la guerra dei 4 giorni rappresenterebbe un tentativo di riconquistare consensi regalando all’opinione pubblica una vittoria militare su quel fronte del Nagorno Karabakh considerato una ferita aperta da molti azeri. L’inconcludente guerra lampo potrebbe però essere stata stimolata anche da sollecitazioni esterne. In questo scenario la mossa militare di Baku punterebbe a minare l’influenza della Russia di Vladimir Putin nell’area caucasica. Un’influenza esercitata da una parte sottoscrivendo accordi politico-strategici con l’Armenia e dall’altra contribuendo al rafforzamento militare di Baku con la vendita d’importanti e ben retribuite commesse militari.

Il principale sospettato nell’ambito di una manovra rivolta a sovvertire l’«ordine russo» è la Turchia di Erdogan. Quella stessa Turchia – che, in Siria, è arrivata ad abbattere un aereo di Mosca nella speranza d’innescare la reazione della Nato – potrebbe aver soffiato sul fuoco del malcontento azero per compromettere gli equilibri instaurati da Zar Putin. L’offensiva, del resto, è scattata solo due settimane prima della riunione della Conferenza dei Paesi Islamici riunita a Istanbul sotto la presidenza turca. Un vertice durante il quale la Turchia, decisa a perseguire un ruolo sempre più rilevante all’interno del mondo musulmano, ha ribadito il suo deciso sostegno alla causa azera. Una manovra estremamente pericolosa perché potrebbe preludere al tentativo di trasformare il conflitto del Nagorno Karabakh in un conflitto a valenza islamista caratterizzato dallo scontro con le popolazioni armene e cristiane della regione.

Gian Micalessin