La sporca guerra del soldato Aliyev

Una settimana di guerra. Proviamo a fare il punto della situazione e a riflettere sull’andamento del conflitto

Da nove giorni si combatte in Nagorno Karabakh (Artsakh). L’attacco azero del 27 settembre è stato un fulmine abbattutosi con violenza sulla regione sud caucasica e sugli equilibri non solo mediorientali. Cerchiamo di capire cosa è successo in questi primi giorni di guerra. Solo dentro le stanze degli alti comandi militari è nota la situazione. Però qualche idea ce la siamo fatta alla luce di quanto si è scritto, si è detto e si è visto in questi giorni… Per capire le dinamiche di questa guerra è però necessario fare un doppio salto all’indietro nel tempo.

La guerra dei quattro giorni

In primo luogo, ritorniamo indietro alla cosiddetta “guerra dei quattro giorni” del 2016. Allora gli azeri attaccarono cercando di sfondare a nord e a sud dei settori orientali della linea di contatto. Lo scopo era duplice: da un lato cercare di guadagnare terreno, dall’altro provare a spingere la difesa armena verso quei territori così sguarnendo la parte centrale, quella che dà accesso diretto alla piana di Askeran e alla capitale Stepanakert. Gli armeni, in difesa, non caddero nel tranello e a costo di grandi sacrifici umani tennero le posizioni. Alla fine, l’offensiva azera, costata centinaia di morti soprattutto da parte di Baku, determinò la “conquista” di pochi lembi di territorio (da quattro a otto chilometri quadrati). L’attacco terrestre fu in sostanza un fallimento.

Scontri di luglio

Ora, andiamo indietro a un paio di mesi fa quando gli azeri provocarono scontri al confine nord-orientale dell’Armenia nella regione di Tavush. Tre, quattro giorni di schermaglie che alla luce di quanto sta accadendo ora suonano come un tentativo di sviare l’attenzione della difesa armena lontano dalla linea di contatto del Nagorno Karabakh (Artsakh) dove almeno da un paio di anni regna una relativa calma. Quella tensione sul settore armeno-azero fu il pretesto per Baku per organizzare grandi manovre militari congiunte con la Turchia. Oggi possiamo dire con certezza che molti aerei, carri e lancia missili turchi rimasero sul suolo azero al termine delle manovre; pronti a essere impiegati per le future operazioni militari di settembre.

Una settimana di guerra

Dunque, l’Azerbaigian ha attaccato domenica 27 settembre la repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh). Dopo più di una settimana, possiamo delineare un primo sviluppo delle operazioni belliche.

Con un massiccio spiegamento di uomini e mezzi, gli azeri hanno provato a sfondare le linee di difesa armene. L’attacco, questa volta, è stato sviluppato sull’intera linea di contatto, dal passo Omar a nord  fino al fiume Araks al confine con l’Iran. Non più solo un’operazione di terra, ma un assalto coadiuvato da droni (compresi quelli kamikaze, tipo Orbiter 1 di fabbricazione israeliana) e aerei (compresi caccia turchi).

I comunicati dei rispettivi comandi militari non possono ovviamente rendere nota la reale situazione sul campo. Però è possibile farsi un’idea su ciò che viene detto e non detto dalle parti. Soprattutto quella azera, l’attaccante.

Dopo sei giorni di guerra, costati a Baku centinaia di morti, decine di carri armati, veicoli, aerei, elicotteri e droni distrutti, nessun proclama di vittoria arriva dagli alti comandi. L’Azerbaigian è un regime dittatoriale, la libertà di informazione non esiste, da una settimana l’uso di internet e dei social è praticamente nullo.

Ecco che sabato 3 ottobre, il ministero della difesa e il presidente Aliyev annunciano la conquista di alcuni villaggi armeni prossimi alla linea di contatto. Già questa dovrebbe essere una mezza sconfitta: se dopo una settimana di guerra sei riuscito solo a conquistare qualche chilometro quadrato e lo sbandieri come un trionfo, c’è qualcosa che non va.

Aliyev annuncia la liberazione di Mataghis e la notizia viene ripresa da siti indipendenti. Segue video sul campo. Ma il video non arriva e la notizia comincia ad assumere i contorni della bufala. Qualche ora dopo, il ministero della difesa azero pubblica un video che annuncia la cattura di Talish (altro villaggio vicino alla linea di contatto e già colpito nel 2016). Ma il video è palesemente taroccato, anche in maniera grossolana. Compare un cartello stradale con la scritta Talish in azero ma si vede che è fatto con photoshop e diviene immediatamente virale finendo sulla luna e a Berlino.

Contro un muro

Nonostante il dispiegamento di mezzi, l’uso di mercenari, il supporto logistico della Turchia gli azeri non riescono a sfondare.

Se si chiama “Alto Karabakh” ci sarà pure un motivo in fondo. L’esercito di difesa dell’Artsakh sfrutta il posizionamento in altura e – a costo di gravi perdite anche umane – riesce a tener testa al nemico. A nulla valgono le centinaia di razzi sparati contro le postazioni armene; che perdono in effetti parecchi carri e almeno duecento uomini, ma riescono a rintuzzare le ripetute incursioni nemiche che si infrangono contro un muro difensivo invalicabile.

Sicché, Aliyev decide di spaventare la popolazione civile e comincia a bersagliare Stepanakert, Shushi e le altre città. È un tentativo disperato, dietro al quale si nasconde la frustrazione per non aver conseguito a oggi alcun risultato.

Una palese violazione delle convenzioni internazionali, in particolare quella del 2010 che vieta l’uso delle bombe a grappolo. Questo accanimento contro la popolazione civile (che genera inevitabili risposte da arte armena) è sintomatico della crisi che sta vivendo il regime di Baku.

Aliyev promette conquiste, promette di scacciare gli armeni dalla regione, manda migliaia di ragazzi morire in battaglia. Ma, fino a oggi, ottiene poco o nulla. Non sarà qualche chilometro quadrato e neppure qualche piccolo insediamento di frontiera (ammesso e non concesso che sia stato preso…) a consentirgli di cantare vittoria.

Tempi lunghi

Se le parti non concorderanno un cessate il fuoco, se le organizzazioni internazionali (su tutte il Gruppo di Minsk dell’Osce che tuttavia non piace a turchi e azeri), se la Russia non riusciranno a far bloccare le ostilità c’è il rischio che la guerra vada avanti a oltranza.

La settimana appena iniziata è dunque molto importante per capire se il conflitto si sta incanalando verso una guerra di posizionamento o nuove offensive azere (e controffensive armene) smuoveranno lo stato di cose.

Più passa il tempo e più la posizione di Aliyev si fa critica anche perché comincerà ad aumentare il malumore interno; più passa il tempo e più il dittatore azero potrebbe convincersi a aumentare il livello del conflitto attaccando l’Armenia il che comporterebbe però l’intervento russo per il trattato CSTO; opzione azzardata e francamente poco praticabile perché infilerebbe l’Azerbaigian in un vicolo cieco. Oppure Aliyev potrebbe intensificare i bombardamenti sulle città dell’Artsakh costringendo di fatto buona parte della popolazione a scappare. Ma la guerra sarebbe tutt’altro che vinta.