Intervista alla ambasciatrice armena Victoria Bagdassarian

Fonte: Agenparl    22 febbraio 2017

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Armenia, Intervista a S.E. Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia: la propaganda azera è una strategia mirata, se la tua bugia è grossa e la ripeti a oltranza, tutti ci crederanno

 

Domanda. Ambasciatrice Bagdassarian, 25 anni fa nella città di Khojaly si verificarono dei tragici eventi su cui ancora oggi ci sono diverse interpretazioni. Può raccontarci il punto di vista armeno?

S.E. Victoria Bagdassarian. Per consentire ai lettori di capire cosa accadde veramente a Khojaly, bisogna innanzitutto dare delle informazioni storiche sul Nagorno-Karabakh. Nel 1921, su iniziativa di Iosif Stalin, questa regione, storicamente armena e a maggioranza armena, veniva annessa come enclave all’allora repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan con tutte le conseguenze in termini di discriminazioni di Baku nei confronti degli armeni nel Nagorno-Karabakh.

E Khojaly, piccola città dell’ex enclave autonoma del Nagorno-Karabakh, è stata interamente popolata da armeni fino al 1935, quando vi arrivò la prima famiglia azera. Nel 1969 l’ultima famiglia armena lasciò Khojaly. Dal 1988 fino al 1990 le autorità dell’allora Repubblica socialista Sovietica dell’Azerbaijan popolarono massivamente Khojaly con i turchi mescheti dalla valle di Fergana dell’Uzbekistan.

Durante la guerra scatenata dall’Azerbaijan contro la pacifica popolazione armena del Nagorno-Karabakh, Khojaly divenne una roccaforte militare, da cui si bombardava Stepanakert – capitale del Nagorno-Karabakh – con i sistemi di lanciarazzi multipli da combattimento “Alazan”, “Kristal” e “Grad”, il cui uso è vietato contro i civili. Dal 1991, per un intero anno la popolazione armena di Stepanakert subì pesanti bombardamenti. In aggiunta a ciò, Khojaly era l’unico luogo provvisto di aeroporto, particolare importante per rompere il blocco del Nagorno-Karabakh imposto dall’Azerbaijan. La regione era stata isolata da ogni possibilità di rifornimento di cibo, acqua, elettricità e combustibili. La situazione era critica, la gente del Nagorno-Karabakh stava affrontando un disastro umanitario e un’operazione militare, per fermare gli attacchi dell’artiglieria azera, e mettere fine al blocco era vitale.

So bene che la propaganda azera usa in maniera distorta quegli eventi, come ha fatto qualche giorno fa l’ambasciatore dell’Azerbaijan in un’intervista alla vostra agenzia. D’altronde, se la tua bugia è grossa e la ripeti a oltranza, tutti ci crederanno. Tornando a Khojaly, voglio ribadire che l’operazione venne effettuata nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. Due mesi prima del 26 febbraio del 1992, data di inizio dell’operazione militare, i comandanti dell’esercito di autodifesa del Nagorno-Karabakh avevano annunciato pubblicamente, attraverso vari canali, l’esistenza di un corridoio umanitario e l’inizio delle operazioni. Cosa questa confermata da molte organizzazioni internazionali nei loro rapporti, così come da molte altre fonti tra cui anche fonti azere. Più tardi alcuni residenti di Khojaly furono trovati a 12 chilometri di distanza da Khojaly, nella zona vicino alla città di Agdam che fino al 1993 era stata sotto l’effettivo controllo del Fronte nazionale azero. Durante l’operazione militare a Khojaly, le forze di autodifesa del Nagorno-Karabakh liberarono 13 ostaggi armeni, tra cui un bambino e sei donne, e presero come trofei due strutture per il lancio di razzi Grad MM-21, quattro strutture Alazan, un obice da 100 mm, e tre unità di attrezzature corazzate. Il servizio di soccorso della Repubblica del Nagorno-Karabakh recuperò 12 corpi di civili in Khojaly e nella sua periferia. C’erano anche circa 700 abitanti in città perché le autorità azere avevano impedito loro l’evacuazione.

Domanda. Lei ha parlato di fonti. Può farci qualche esempio di fonti e di prove?

S.E. Victoria Bagdassarian. Certamente. È un ulteriore atto di ipocrisia il modo in cui il governo azero abusa dei sentimenti umani con la sua propaganda e le sue bugie. Quando Ambasciatore dell’Azerbaijan parla di Khojaly e delle stragi della sua popolazione, non riesce a ricordare che gli abitanti di Khojaly sono state le vittime predestinate di una politica criminale interna tra le autorità azere e il Fronte Nazionale dell’Azerbaijan, un movimento ultra-nazionalista che all’epoca lottava per prendere il potere. I fatti di Khojaly rientravano nella strategia del Fronte Nazionale dell’Azerbaijan per rovesciare il presidente Ayaz Mutalibov e arrivare così al controllo del paese. Ciò fu confermato dallo stesso Presidente Mutalibov, un mese dopo le sue dimissioni, in un’intervista alla giornalista ceca Dana Mazalova, pubblicata dalla Nezavisimaya Gazeta.

E ci sono altre testimonianze di giornalisti ed ex funzionari. Come quella di Chingiz Mustafaev, un corrispondente che ha riportato una versione dissenziente dalla propaganda azera di regime e che in seguito è stato ucciso in circostanze misteriose. O la testimonianza di Tamerlan Karaev, l’allora presidente del Soviet Supremo della Repubblica azera, che ha dichiarato: “La tragedia fu opera delle autorità azere, in particolare di un alto funzionario” (Mukhalifat, quotidiano azero, 28 aprile 1992). In un’intervista al “Russian Mind” il 3 marzo 1992, l’allora sindaco di Khojaly Elman Mamedov, oggi membro del Parlamento azero, confermò l’esistenza del corridoio umanitario, dichiarando tra l’altro di averlo utilizzato in modo sicuro, assieme ad altri i civili, per fuggire dalla città. Fu lo stesso Heydar Aliev, ex leader e padre dell’attuale presidente azero, ad ammettere che «l’ex dirigenza dell’Azerbaijan è colpevole” per gli eventi Khojaly. Salvo poi, nel mese di aprile del 1992 secondo l’agenzia di stampa Bilik-Dunyasi Agency, esprimere un’idea di un cinismo allarmante: “Trarremo beneficio dallo spargimento di sangue. Non dobbiamo interferire col corso degli eventi “.

Molti sono ancora i fatti che potrebbero essere raccontati – e, per inciso, sto citando solo fonti azere – che vanno in direzione opposta all’attuale sprezzante propaganda azera a cui siamo stati abituati. Naturalmente è impossibile presentare in modo esaustivo tutto il materiale documentario all’interno di questa intervista. E, purtroppo, la propaganda ufficiale azera si adopera con ogni mezzo per incolpare degli eventi la parte armena e instillare così nuovo odio verso gli armeni nelle menti della sua generazione più giovane. Senza dimenticare che la diffusione di queste informazioni mendaci è stata un ulteriore tentativo per distogliere l’attenzione dalle atrocità che hanno perpetrate contro le popolazioni armeni nelle città azere di Baku, Sumgait, Kirovabad e altri luoghi ancora.

Domanda. Come vede la risoluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh? Cosa può dirci a proposito?

S.E. Victoria Bagdassarian. Quando si parla del conflitto tra l’Azerbaijan e la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in generale, e prima di considerare l’Azerbaijan come una vittima in quel conflitto, si deve ricordare che il Nagorno-Karabakh non ha mai fatto parte dell’Azerbaijan indipendente e che, nel momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, si sono formati due soggetti indipendenti e legalmente uguali. Alla richiesta, pacifica e legittima, per l’auto-determinazione, l’Azerbaijan avviò pogrom e uccisioni sistematiche della popolazione armena, come ho detto prima, nelle città “tolleranti” di Baku, Kirovabad e Sumgait e scatenò un’offensiva militare contro la popolazione pacifica del Nagorno-Karabakh. Ancora oggi gli armeni del Nagorno-Karabakh stanno lottando per la loro esistenza e per il diritto a vivere liberamente sulla terra dei loro padri. Nel moderno e progredito Azerbaijan uccidere un armeno è una gloria e si viene incoraggiati e promossi ai più alti gradi militari. È stato il caso dell’ufficiale azero Ramil Safarov che decapitò con un’ascia nel sonno il collega armeno Gurgen Margaryan durante i corsi della Nato a Budapest. Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev non solo ha promosso quel criminale al rango di eroe nazionale ma gli anche corrisposto un altissimo premio in denaro.

Anche la guerra del 4 aprile 2016 è stata scatenata dall’Azerbaijan. L’offensiva azera è stata lanciata all’alba, con bombardamenti pesanti di insediamenti civili e villaggi, scuole e asili. Durante i bombardamenti uno studente è stato ucciso e un altro è stato ferito. A seguire c’è stato un attacco sovversivo e un intero plotone è penetrato nel villaggio di confine di Talish. Durante le diverse ore dell’occupazione del villaggio tre anziani, che non erano riusciti a fuggire, sono stati uccisi e i loro corpi mutilati. La fallita guerra lampo dell’Azerbaijan è stata caratterizzata da atrocità in stile ISIS, con decapitazioni e mutilazioni di cadaveri di soldati armeni. E anche questa volta coloro che hanno commesso siffatti crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati promossi e premiati da Aliyev in persona. Come può quindi la popolazione del Nagorno-Karabakh fidarsi dell’Azerbaijan? È ormai chiaro che non è possibile un “ritorno al futuro”: è fuori da ogni logica presentare la causa del conflitto come una soluzione dello stesso.

Domanda. Secondo l’ambasciatore dell’Azerbaijan ci sono 4 risoluzioni ONU sul conflitto…

S.E. Victoria Bagdassarian. Vorrei ricordare all’ambasciatore Ahmadzada che le 4 risoluzioni ONU sul conflitto tra Azerbaijan e Nagorno-Karabakh sono state adottate in un determinato periodo di tempo e con lo scopo specifico di fermare la violenza. L’esigenza primaria e incondizionata di tutte e quattro le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione del Karabakh del 1993 era infatti la cessazione delle ostilità e delle attività militari. Ma, a causa dell’inadempienza dell’Azerbaijan al requisito principale (cessazione delle ostilità e delle attività militari), l’attuazione delle risoluzioni è stata resa impossibile. Inoltre è doveroso sottolineare che nessuna delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riferisce all’Armenia come parte del conflitto. L’Armenia è chiamata in causa solo “per continuare a esercitare la sua influenza ” sul Nagorno-Karabakh ed è quest’ultimo a essere riconosciuto come parte del conflitto, cosa che l’Azerbaijan continua pervicacemente a ignorare. L’Azerbaijan ha anche respinto un altro requisito delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul ripristino delle relazioni economiche, del sistema dei trasporti e dell’energia nella regione. Come se non bastasse, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU esortavano ad astenersi da qualsiasi azione che potesse ostacolare una soluzione pacifica del conflitto e di esercitare sforzi per risolvere il conflitto nel quadro del gruppo di Minsk. E che cosa ha fatto l’Azerbaijan? Assolutamente il contrario: dopo ogni risoluzione ha lanciato nuove attività militari su larga scala.

È perciò più che mai ridicolo che l’Azerbaijan continui a fare riferimento a quelle risoluzioni, quando è lo stesso governo di Baku a disattenderle.

Parlando alla risoluzione del conflitto, poi, l’ambasciatore azero minaccia di invocare l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, cioè minaccia il ricorso alla guerra, mentre, allo stesso tempo, parla di negoziati di pace nel quadro dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. Direi che questo è un chiaro esempio della posizione distruttiva e della tattica ricattatoria dell’Azerbaijan. I copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE in una recente dichiarazione del 16 febbraio scorso hanno ancora una volta ribadito che “… non c’è alternativa ad una soluzione pacifica del conflitto e che la guerra non è un’opzione, e ha invitato le parti alla moderazione sul terreno, come pure nelle loro comunicazioni pubbliche e a preparare le loro popolazioni alla pace e non alla guerra. I copresidenti hanno anche sollecitato le parti a rispettare rigorosamente gli accordi di cessate il fuoco del 1994/95 che costituiscono il fondamento della cessazione delle ostilità “.

Io nutro una profonda speranza che il buon senso prevalga un giorno in Azerbaijan, anche se al momento i segnali provenienti da quel paese sono allarmanti e spaventosi.