Il problema dei confini tra Armenia e Azerbaigian

Non sappiamo se il tema, al momento della firma dell’accordo di tregua del 9 novembre, sia stato affrontato o meno. In una bozza iniziale dello stesso si parlava di un regolamento dei confini tra la regione armena di Tovush e quella azera di Gazakh ma poi nel testo ufficiale questo passaggio è saltato.

Quel tratto di confine era stato teatro nel luglio scorso di violenti scontri (causati dall’ennesimo tentativo di incursione azera) conclusosi con una disfatta per le truppe di Baku e la conquista armena di alcune posizioni strategiche. Poi c’era in piedi anche il discorso delle exclave armene e azere lasciate in eredità dalla cartografia staliniana e assorbite nel corso della prima guerra del Nagorno Karabakh.

Tutte questioni da risolvere nella cornice di un accordo ampio e comprensivo tra i due Stati.

Invero, la guerra appena conclusa ha lasciato un altro problema di non secondaria importanza: la delimitazione del confine tra la repubblica di Armenia e quelli che erano territori della repubblica di Artsakh e che ora sono sotto controllo dell’Azerbaigian.

In pratica dal passo Sotk (peraltro già oggetto di contenzioso per la miniera d’oro) a scendere giù fino al fiume Arax il confine va ridefinito. E non è un passaggio semplice per due ragioni: in primo luogo gli azeri stanno cercando di capitalizzare il maggior guadagno territoriale possibile anche confidando sul fatto che la delimitazione non è chiarissima e il posizionamento del limite fra gli stati va interpretato su documenti molto vecchi; in secondo luogo, la sicurezza dell’Armenia, ma anche alcune sue funzioni vitali come i collegamenti, sono messe in pericolo dalla eccessiva vicinanza delle forze militari nemiche.

Invero, la delimitazione fra le due repubbliche non è mai stata un problema sentito in quasi cento anni di storia: durante l’esperienza sovietica, esse erano – almeno in teoria – sorelle e il passaggio stradale o ferroviario tra una e l’altra non costituiva un problema; su tutto vigilava l’Armata rossa e il centralismo di Mosca. Dopo la dichiarazione di indipendenza dell’Azerbaigian e la sua fuoriuscita dall’Urss (30 agosto 1991), è arrivata la dichiarazione della repubblica del Nagorno Karabakh (2 settembre) e poi quella dell’Armenia (21 settembre). Quindi la guerra scatenata da Baku a fine gennaio 1992. Il resto è storia del conflitto e di un confine divenuto solo virtuale vista la conquista armena dei distretti fuori oblast.

Così, all’improvviso l’Armenia si trova dopo alcuni decenni ad avere a che fare con un pericoloso vicino non solo nella parte nord-orientale della sua frontiera (Tavush e Gegharkunik) ma anche in quella sud-orientale (Vayots Dzor e Syunik). Che la situazione sia complicata lo si capisce subito da queste prime settimane di “tregua”.

La situazione più critica è a Kapan dove la linea di frontiera corre a ridosso della pista aeroportuale e del villaggio di Syunik. Ma anche vicinissima alla strada che porta a sud verso Meghri e l’Iran.

Scenario simile anche più a nord nel tratto che scende da Goris con i soldati azeri che si vanno a posizionare a distanza molto pericolosa dal corridoio stradale.

Sempre a sud volontari armeni stanno presidiando alcune alture di confine per impedire che gli azeri ne prendano possesso. È infatti evidente la volontà delle forze nemiche di avanzare quanto più possibile confidando proprio sul fatto che non vi sono certezze assolute sulle demarcazioni nazionali.

Sarebbe stato opportuno, al momento della firma dell’accordo a novembre, prevedere una zona cuscinetto, stabile e certa, prima che gli azeri occupassero (o tentassero di occupare) territori non di loro spettanza; e anche predisporre un protocollo aggiuntivo che prevedesse le varie criticità che si venivano a creare con il passaggio di consegne dei distretti da armeni ad azeri.

Ma la fretta e la resa, evidentemente, non hanno permesso ciò. Ora, la sicurezza dell’Armenia ne paga le conseguenze.