Altro che squadra in esilio! Tra calcio e politica, la vera storia del Qarabagh FC

La squadra azera, prossima avversaria in Champions league della Roma, è il fiore all’occhiello del regime di Aliyev. I rischi della trasferta per alcuni tifosi giallorossi

Dopo Inter e Fiorentina, negli anni scorsi in Europa league, tocca a un’altra squadra italiana, la Roma, affrontare la compagine azera del Qarabagh a sorpresa qualificatasi per la fase a girone dell’edizione 2017-18 della Champions league.

Dopo tre turni di prequalifica, grazie al rocambolesco successo sul Copenhagen (con proteste e ricorsi dei danesi), per la prima volta nella storia del calcio azero, una sua squadra partecipa a questa fase del prestigioso torneo europeo.

Poiché in questi ultimi giorni abbiamo letto molti superficiali articoli sulla storia del club, crediamo sia opportuno chiarire alcuni aspetti giacché la vicenda sportiva non può certamente essere disgiunta da quella politica e storica che le ruota intorno.

Il Qarabagh FC, prima che l’Azerbaigian scatenasse una guerra contro gli armeni del Nagorno Karabakh che, democraticamente e legalmente avevano maturato il loro diritto all’autodeterminazione, giocava ad Agdam, una città dalla quale, a partire dall’attacco azero del 30 gennaio 1992, piovvero sull’inerme popolazione armena del Karabakh, migliaia di missili Grad responsabili della morte di centinaia di inermi abitanti.

Alla dichiarazione del soviet del NK del 2 settembre 1991 che, in conformità con la legislazione sovietica del tempo, annunciava di non voler seguire la Repubblica Socialista Sovietica Azera nel suo distacco dall’Urss, Baku risposte con la violenza. Dopo il referendum popolare (10 dicembre), le elezioni politiche generali (26 dicembre), il 6 gennaio 1992 la repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh proclamò ufficialmente la nascita del nuovo piccolo stato armeno.

Un territorio di meno di 5000 km2, fra le verdi montagne del Caucaso meridionale. Poteva chiudersi così quel processo di autodeterminazione che era cominciato settanta anni prima, era stato annichilito da Mosca, ma rimaneva sempre vivo nel desiderio della stragrande maggioranza della popolazione locale.

La risposta nazionalista azera fu invece la guerra, una guerra costata trentamila morti, decine di migliaia di feriti, enormi distruzioni. Gli armeni già sul finire degli anni Ottanta erano dovuti fuggire dall’Azerbaigian (dove ne vivevano circa quattrocentomila) a causa delle violenze e dei pogrom scatenati contro di loro dai nazionalisti azeri.

Diatribe politiche interne e disfatte militari portarono alla sconfitta degli azeri che dovettero abbandonare anche la città di Agdam.

Non possiamo quindi accettare che la squadra del Qarabagh venga dipinta come una compagine in esilio.

Se il regime di allora, come quello di oggi, avesse scelto la strada della diplomazia e del pacifico confronto, ora il Qarabagh giocherebbe ancora nel proprio stadio. Invece con la violenza Baku cercò di annientare il diritto degli armeni del Nagorno Karabakh-Artsakh a vivere liberi nella propria patria.

Ancora oggi, il regime del dittatore Aliyev (l’Azerbaigian è agli ultimissimi posti nella classifica mondiale sulla libertà di informazione) pronuncia parole di odio verso gli armeni; i suoi soldati, nell’ultimo tentativo di aggressione al territorio della repubblica del NK (aprile 2016), sono arrivati a decapitare militari e civili armeni in pieno stile Isis.

No, non possiamo accettare che i calciatori del Qarabagh FC possano essere definiti profughi in esilio…

Non potendo fare miracoli con la squadra nazionale di calcio (ancora tra le ultime in Europa), dopo aver conquistato a suon di petrodollari la Formula Uno, dopo aver sponsorizzato diverse squadre europee (da ultimo proprio l’Atletico Madrid di Simeone: sui social il logo “Azerbaijan, land of fire” divenne presto “Azerbaijan, land of political prisoners”…), Aliyev punta ora sul gioiellino Qarabagh per accreditarsi in Europa.

E finanzia, anche con premi (per la qualificazione alla Champions un milione di euro), la crescita della squadra. Portarla in Champions è un bel successo, politico e di immagine prima ancora che sportivo. No, non chiamateli “esiliati”.

A pochi chilometri di distanza, nella repubblica de facto del Nagorno Karabakh, i colleghi calciatori di Stepanakert (la capitale dello Stato) non possono partecipare ad alcuna manifestazione ufficiale della Fifa: non ne hanno diritto, il loro stadio (nella foto) rimane desolatamente vuoto, perché il petrolio e i soldi dell’Azerbaigian fino ad oggi sono riusciti a inibirli dai campionati continentali.

Se gli azeri del Qarabagh vogliono ritornare a giocare ad Agdam, perché agli armeni del Nagorno Karabakh (Artsakh) deve essere impedito di giocare a calcio?

PS: attenzione ai tifosi giallorossi che vogliano recarsi in Azerbaigian per seguire la propria squadra. Se sul passaporto c’è il timbro di un viaggio in Armenia rischiano l’arresto o il rimpatrio immediato…

LEGGI QUI LA STORIA DEL CALCIO DEL NAGORNO KARABAKH