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Oggi, 2 settembre, è il giorno dell’indipendenza dell’Artsakh. La Repubblica di Artsakh – attualmente occupata dall’Azerbaigian – ha 34 anni.

Il 2 settembre 1991, una dichiarazione fu adottata alla riunione congiunta dei deputati del popolo del Consiglio regionale del Nagorno Karabakh, del Consiglio regionale di Shahumyan e dei consigli di tutti i livelli, proclamando la Repubblica del Nagorno Karabakh e la formazione dei suoi organi provvisori di potere e amministrazione statale.

Come risultato del referendum tenutosi il 10 dicembre 1991, il 99,989% della popolazione dell’Artsakh disse “sì” all’indipendenza.

Nel dicembre 1991, il popolo di Artsakh partecipò alle elezioni per i deputati del Consiglio Supremo della Repubblica del Nagorno Karabakh, stabilendo il più alto organo legislativo.

Poi, nel gennaio 1992, fu convocata la sessione inaugurale del Consiglio Supremo, durante la quale fu adottata la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Artsakh.

Artur Mkrtchyan fu eletto presidente del Consiglio Supremo della Repubblica. L’Artsakh adottò la propria bandiera nazionale, lo stemma e l’inno.

Il 25 settembre 1991, l’Azerbaigian scatenò la prima guerra di Artsakh che durò più di 3 anni, e solo il 12 maggio 1994, i capi dei dipartimenti della difesa di Azerbaigian, Nagorno Karabakh e Armenia firmarono un documento su un cessate il fuoco.

Il 27 settembre 2020, l’Azerbaigian ha nuovamente scatenato una guerra su vasta scala contro Artsakh. È stato fermata il 9 novembre da una dichiarazione di cessate il fuoco firmata tra i leader di Armenia, Russia e Azerbaigian. Sfortunatamente, a causa della guerra, l’Azerbaigian ha occupato l’intera zona di sicurezza di Artsakh, così come Shushi e Hadrut.

Poi, ancora il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian ha portato a compimento una nuova offensiva contro il territorio armeno dell’Artsakh costringendo tutta la popolazione a trovare rifugio in Armenia.

Da allora l’intero territorio del Nagorno Karabakh (Artsakh) è formalmente occupato.

Ma il sacrifico di tutti coloro che hanno dato la propria vita per la libertà e l’indipendenza di questa piccola patria armena non può essere dimenticato.

ONORE AI CADUTI !

ONORE ALLA REPUBBLICA DI ARTSAKH!

L’Assemblea nazionale dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) ha rivolto un appello ai Paesi partecipanti all’OSCE a nome del popolo armeno sfollato dell’Artsakh. Questo il testo:

“A nome dei 150.000 armeni del Nagorno Karabakh – uomini, donne e bambini che sono stati sfollati con la forza dalla loro patria ancestrale – ci rivolgiamo a voi con profonda urgenza e profonda preoccupazione in merito alla recente richiesta unilaterale di Armenia e Azerbaigian di porre fine al mandato del Gruppo di Minsk dell’OSCE.

Per decenni, il Gruppo di Minsk si è affermato come l’unica piattaforma riconosciuta a livello internazionale per una risoluzione pacifica del conflitto del Nagorno Karabakh. Sciogliere questo meccanismo senza consultare i rappresentanti eletti del popolo per il quale è stato istituito significa ignorare la nostra voce e negare il nostro ruolo nel processo.

Esortiamo rispettosamente tutti gli Stati partecipanti all’OSCE a esercitare la propria autorità, compresi i poteri di veto ove necessario, per impedire lo smantellamento di questo quadro finché non saranno in vigore solide garanzie per assicurare il ritorno sicuro e dignitoso della popolazione armena sfollata del Nagorno-Karabakh. Questo diritto è sancito dall’articolo 13(2) della Dichiarazione universale dei diritti umani, dall’articolo 12(4) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e ribadito dalla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 17 novembre 2023.

Qualsiasi soluzione alternativa deve garantire i seguenti principi fondamentali:

• Il diritto al ritorno in sicurezza e dignità per gli armeni del Nagorno Karabakh;

• Il ripristino dei canali di dialogo e negoziazione, come quelli facilitati dal Gruppo di Minsk;

• Piena inclusione dei nostri rappresentanti in tutte le discussioni che determinano il nostro futuro.

Il conflitto non può essere considerato risolto finché un’intera popolazione rimane sradicata, privata dei suoi diritti inalienabili. Il nostro spostamento non è stato né volontario né accidentale: è stato il risultato di assedi, carestie e attacchi militari, azioni che rimangono irrisolte dalla comunità internazionale.

Nonostante queste difficoltà, riaffermiamo il nostro incrollabile impegno per una soluzione pacifica e negoziata che garantisca sicurezza, autodeterminazione e coesistenza. Eliminare l’ultima traccia di impegno internazionale senza un’alternativa credibile e inclusiva consoliderebbe l’ingiustizia e renderebbe la pace ancora più sfuggente.

Legittimare la pulizia etnica condotta dall’Azerbaigian nel Nagorno Karabakh e considerare risolto il conflitto lascerebbe una macchia indelebile e sanguinosa sulla storia, l’autorità e i principi dell’OSCE.

Vi invitiamo ad agire in conformità con i principi fondanti dell’OSCE e gli obblighi del diritto internazionale. Restiamo pronti a collaborare in modo costruttivo con l’OSCE e i suoi Stati partecipanti per promuovere una risoluzione giusta e duratura e garantire il ritorno sicuro, pacifico e dignitoso del nostro popolo in patria. Il nostro futuro, e la nostra stessa sopravvivenza, dipendono dalle vostre azioni oggi.

Ashot Danielyan

Presidente dell’Assemblea nazionale del Nagorno Karabakh

A nome di tutte le fazioni e dei membri dell’Assemblea Nazionale”

Se l’Armenia ritirasse le sue azioni legali presso i tribunali internazionali come indicato dall’accordo prefato di Washington, , la questione dei prigionieri armeni detenuti nella capitale azera Baku diventerebbe irrisolvibile. Se la strada politica fallisse, si ritroverebbero in una situazione di totale indifesa.

Lo ha affermato alcuni giorni fa in un’intervista l’avvocato Siranush Sahakyan, che rappresenta gli interessi dei prigionieri armeni presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ma Sahakyan ha espresso la speranza che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mantenga la promessa fatta durante gli incontri a Washington DC la scorsa settimana e che il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, come gesto umanitario, rilasci i prigionieri armeni detenuti a Baku.

L’accordo di pace [firmato tra Armenia e Azerbaigian la scorsa settimana a Washington] non contiene nemmeno una disposizione riguardante i prigionieri [armeni] [a Baku], ma la questione è inclusa nelle cause legali interstatali. Pertanto, se la Repubblica d’Armenia ritirasse le cause legali, la questione dei prigionieri diventerebbe irrisolvibile“, ha affermato Sahakyan.

Ha osservato che il suddetto accordo di pace prevede l’impegno a ritirare qualsiasi controversia legale tra Armenia e Azerbaigian.

Sorge una domanda: se le disposizioni dell’accordo vengono violate e l’Azerbaigian non mostra alcun cambiamento di comportamento, quale sarà la condotta dell’Armenia? Genererà una nuova controversia legale, nelle condizioni in cui si è assunta l’obbligo di ritirare le controversie legali già in corso? Qui, a quanto pare, si sta creando una situazione casistica contraddittoria“, ha aggiunto Siranush Sahakyan.

Va sottolineato anche il fatto che i prigionieri armeni detenuti illegalmente nella capitale azera Baku sono completamente isolati, poiché le attività della Croce Rossa in Azerbaigian sono state di fatto sospese. Sebbene l’ufficio della Croce Rossa manterrà legalmente la sua presenza in Azerbaigian fino a settembre, non potrà svolgere attività sostanziali.

Queste persone sono tenute in condizioni di completo isolamento, il contatto con il mondo esterno avviene esclusivamente tramite telefonate, nessun organismo indipendente monitora le loro condizioni fisiche e psicologiche e svolge alcuna attività. Non ci sono altri sviluppi nel processo, le udienze procedono a un ritmo prestabilito, l’esito è prevedibile. Abbiamo ripetutamente sottolineato che la questione è politica, i prigionieri armeni hanno effettivamente lo status di ostaggi, poiché il loro rilascio è legato alla risoluzione di questioni dell’agenda politica. E la questione prioritaria è la firma dell’accordo di pace [tra Armenia e Azerbaigian]. L’Azerbaigian ha creato una nuova leva con la questione dei prigionieri, che è stata utilizzata ripetutamente. A nostro avviso, il rilascio dei 23 armeni [a Baku] sarà possibile esclusivamente nel contesto di questo processo, attraverso un percorso politico“, ha affermato Sahakyan.

Sahakyan ha inoltre ricordato che durante gli incontri tenutisi a Washington la scorsa settimana, anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva sollevato la questione di questi prigionieri.

Credo che verrà compiuto un gesto umanitario e, dopo la firma dei documenti, la questione del loro rimpatrio sarà risolta. Le preoccupazioni potrebbero riguardare la questione se il rimpatrio avverrà in più fasi o se i 23 prigionieri saranno rimpatriati in un’unica soluzione. Non escludo che l’Azerbaigian opterà per un’opzione graduale“, ha aggiunto Sahakyan.

Ha osservato che, grazie alle attività di accertamento dei fatti svolte, sono stati in grado di documentare almeno 80 casi di prigionia che non sono stati accettati e confermati dalle autorità azere.

Poiché l’Azerbaigian ha negato attraverso vari canali che queste persone siano sotto la sua custodia, dal punto di vista dei diritti umani questo gruppo ha modificato il suo regime giuridico e ci troviamo di fronte a persone scomparse forzatamente. Si tratta di almeno 80 casi, ma non escludiamo che i numeri siano incomparabilmente più alti“, ha aggiunto Siranush Sahakyan.

Intanto i processi farsa a carico di 23 armeni (comprese le ex autorità della repubblica di Artsakh) vanno avanti a Baku.

Cerchiamo di fare il punto sulla questione del cosidetto “Corridoio di Zangezur. Un progetto fortemente voluto da Turchia, Azerbaigian, USA, Europa e (forse) Russia con importanti ricadute in termini politici ed economici ma anche foriero di gravi rischi per la sicurezza dell’Armenia che dovrebbe essere attraversata da un passante ferroviario e forse anche stradale che colleghi la repubblica autonoma del Nakhjivan al resto dell’Azerbaigian (attraverso l’Artsakh occupato).
Vediamo in primo luogo e sinteticamente gli aspetti politici della vicenda
:

1) Non esiste alcun “corridoio di Zangezur”. Questa non è una espressione geografica ma una etichetta politica di matrice turco-azera.

2) Un collegamento tra Nakhjivan e Azerbaigian (passando attraverso l’Armenia meridionale e l’Artsakh occupato) è fortemente richiesto da Turchia e Azerbaigian ma anche auspicato da USA e, in misura minore, Europa. La Russia era fino qualche tempo fa non contraria ma poi i rapporti tra Mosca e Baku si sono irrimediabilmente guastati e oggi potrebbe vedere la nascita del “corridoio” alla stregua di una ingerenza occidentale nel Caucaso.

3) Questo “corridoio” dovrebbe essere costituito da una linea ferroviaria e (forse anche) una strada tagliando in due la regione armena del Syunik e di fatto privando Yerevan della propria sovranità territoriale nell’area interessata oltre che del collegamento con l’Iran.

4) Gli USA recentemente si sono offerti di “prendere in affitto” il corridoio garantendo per la sicurezza armena con un contigente di guardie private. Al momento la proposta non pare sia stata accolta da Yerevan anche se qualche organo di informazione a ipotizzato che in realtà sia stato già firmato un accordo.

5) L’Azerbaigian, al contrario, rifiuta qualsiasi ipotesi di corridoio all’interno del suo territorio (Nakhjivan, in particolare). In buona sostanza richiede all’Armenia quello che non è disposto a concedere neppure dopo la ipotetica firma di un accordo di pace.

6) L’Armenia ha proposto di garantire libero transito alle merci provenienti dall’Azerbaigian ma senza rinunciare ai propri diritti di Stato sovrano. Si consideri che per avere libero passaggio di persone e cose all’interno dell’Unione europea ci sono voluti decenni. L’Azerbaigian invece vorrebbe imporre (peraltro senza aver firmato alcun accordo di pace) il proprio “diritto” (fra una minaccia e l’altra del dittatore Aliyev…) approfittando della debolezza della controparte armena.

7) Non si tratta solo di una questione economica ma anche politica. Non a caso tutto i soggetti interessati vogliono il passante attraverso il territorio armeno e non quello iraniano pochi chilometri più a sud. Aliyev sa bene che Teheran non accetterebbe mai un transito senza controllo doganale, mentre gli USA vorrebbero utilizzare questo corridoio per mettere pressione all’Iran lungo il suo confine settentrionale.

Stante il fortissimo interesse azero (e turco) per lo sblocco del transito (che avrebbe indubbiamente importanti positive ricadute economiche) ancora non è chiara la contropartita che potrebbe ricevere l’Armenia a fronte di una sua concessione. A meno che non si rimanga nel campo della solita minaccia di Baku (“se non mi dai quello che voglio, me lo prendo con la forza…”).

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Vediamo ora in concreto come potrebbe realizzarsi un transito dal Nakhjivan all’Azerbaigian senza ledere (eccessivamente) i diritti di sovranità armena tenuto conto che il regime azero di Aliyev pretende libero transito di cose e persone senza alcun controllo doganale.

1) il territorio dell’Armenia meridionale (Syunik) è particolarmente montuoso e non è facile realizzare infrastrutture se non a costo di scavare lunghi tunnel attraverso le catene montuose che scendono da nord verso sud.

2) Solo lungo il confine con l’Iran, lungo il corso del fiume Arax, si estende una molto stretta fascia relativamente pianeggiante e, non a caso, tutte le ricostruzioni di questo ipotetico passante lo prevedono proprio in quella zona (non oltre l’Arax perché sarebbe territorio iraniano).

Dal confine con il Nakhjivan verso est corre una strada di servizio che segue il corso del fiume e la frontiera con l’Iran. Solo all’altezza di Agarak (dove c’è il controllo doganale con l’Iran) si apre una zona pianeggiante ma è quasi tutta occupata dall’insediamento e dalle attività produttive. La statale M2 corre sempre lungo il fiume per poi piegare dopo alcuni chilometri verso nord in direzione Meghri e Kapan. Da lì in poi, sempre andando verso est, c’è solo una strada di servizio.

3) Lo spazio dunque per una (nuova?) strada e per una ferrovia è veramente limitato. Oltretutto, realizzare un “corridoio” in quella stretta fascia equivarrebbe di fatto a privare l’Armenia di tutto il controllo sul confine con l’Iran limitando la sua sovranità in un’area strategicamente importante.

4) queste valutazioni portano a concludere che l’ipotesi di un passante ferroviario e stradale è scarsamente attuabile perché occuperebbe una fascia troppo ampia rispetto allo spazio disponibile. A meno di non spostarlo verso nord ma a costo di imponenti opere di ingegneria comportanti la realizzazione di costosi tunnel per quasi l’intero tracciato (oltre 40 chilometri).

5) Va anche detto che una strada sarebbe difficilmente controllabile dalle forze di sicurezza armene o di altri Paesi. Anche il collegamento ferroviario lascia dubbi riguardo alla possibilità (tutt’altro che remota) che azeri o turchi si infiltrino in Armenia sfruttando il passaggio ferroviario ma garantisce comunque un margine di maggior sicurezza per gli armeni solo che si attivino determinati controlli sia lungo il tracciato che eventualmente all’ingresso e all’uscita del territorio dell’Armenia. Pensiamo ad esempio alla possibilità di bloccare dall’esterno i vagoni merci in modo che nessuno possa scendere dal treno durante il tragitto.

6) Il transito ferroviario per le persone non garantisce sicurezza agli armeni e, almeno per qualche anno, dovrebbe essere escluso fin tanto che le relazioni fra i due Paesi non si normalizzassero.

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Nella terza parte di questo approfondimento vedremo le ricadute positive e negative di questo progetto sull’Armenia.

Abraham Berman, avvocato difensore (a distanza…) del filantropo armeno di fama mondiale, ex ministro di Stato dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) Ruben Vardanyan, processato con accuse inventate nella capitale dell’Azerbaigian Baku dal regime azero di Aliyev, ha rilasciato un commento sull’atto di accusa contro Vardanyan. Il commento recita quanto segue:

Sulle basi giuridiche delle accuse, nell’esercizio dei miei doveri professionali di avvocato, ritengo necessario commentare alcuni aspetti giuridici del presente caso penale, ispirandomi esclusivamente ai principi di legalità e correttezza del procedimento giudiziario.

  1. Il principio della responsabilità penale individuale

Un principio fondamentale del diritto penale moderno è il principio della responsabilità individuale per azioni specifiche. Ai sensi dell’articolo 7 del Codice penale della Repubblica dell’Azerbaigian, solo chi è riconosciuto colpevole di aver commesso un reato può essere ritenuto penalmente responsabile. Qualsiasi accusa deve basarsi sull’accertamento di un nesso causale diretto tra le azioni di un individuo specifico e i presunti reati.

Particolare attenzione deve essere prestata al contesto temporale delle accuse. La responsabilità penale può sorgere solo per atti effettivamente commessi dall’individuo in questione, in un momento e in un luogo specifici e in condizioni che gli hanno reso possibile il compimento di tali atti.

In questo caso è fondamentale distinguere chiaramente la responsabilità personale dell’imputato da qualsiasi forma di responsabilità collettiva o di obbligazione per azioni di terzi, che violerebbe i principi fondamentali del diritto penale.

  1. Standard internazionali del giusto processo

La Repubblica dell’Azerbaigian è parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che impone determinati obblighi a tutelare gli standard del giusto processo. L’articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) garantiscono il diritto a un giusto processo, inclusi la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa.

Tali disposizioni garantiscono il diritto di ogni individuo a un processo equo, indipendente e imparziale, la presunzione di innocenza, il diritto all’assistenza legale, il diritto di essere informato sulla natura e sui motivi delle accuse, il diritto di esaminare i testimoni dell’accusa e della difesa e il diritto a un interprete. Il mancato rispetto di tali norme mette in discussione la legittimità del processo giudiziario e può comportare la violazione dei diritti fondamentali dell’imputato.

  1. Questioni di qualificazione giuridica e principio di certezza del diritto

La classificazione dei fatti deve essere effettuata nel rigoroso rispetto del diritto penale vigente al momento della commissione dell’atto. Il principio di certezza del diritto richiede che gli elementi costitutivi di un reato, comprese le sue componenti oggettive e soggettive, nonché le sanzioni applicabili, siano definiti in modo chiaro e preciso dalla legge. Ciò esclude l’interpretazione e l’applicazione arbitrarie del diritto penale. Qualsiasi ambiguità interpretativa deve essere risolta a favore dell’imputato (in dubio pro reo).

Il principio “nullum crimen, nulla poena sine lege” (nessun crimine, nessuna punizione senza legge) è un pilastro del diritto penale nella maggior parte degli ordinamenti giuridici del mondo. Implica che nessuno può essere dichiarato colpevole di un reato o punito a meno che l’atto commesso non fosse definito reato dalla legge vigente al momento della sua commissione.

Secondo questo principio, le attività caritatevoli e umanitarie, tra cui il restauro di siti del patrimonio culturale e la fornitura di assistenza sociale alla popolazione, non possono essere classificate come illecite in assenza di violazioni legali accertate e di comprovato intento criminale. I tentativi di presentare attività pubbliche lecite come criminali contraddicono i fondamenti dello stato di diritto.

  1. Obblighi internazionali e principi generali del diritto

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo è un trattato internazionale vincolante per gli Stati membri, le cui disposizioni, ai sensi degli articoli 148 e 151 della Costituzione della Repubblica dell’Azerbaigian, prevalgono sulla legislazione nazionale in caso di conflitto.

La Repubblica dell’Azerbaigian, in quanto membro della comunità internazionale e parte delle principali convenzioni internazionali sui diritti umani, si è impegnata a rispettare i principi e le norme di diritto internazionale universalmente riconosciuti. L’articolo 12 della Costituzione dell’Azerbaigian afferma esplicitamente che i diritti umani e le libertà sono riconosciuti e garantiti in conformità con i principi e le norme di diritto internazionale universalmente riconosciuti.

  1. Rispetto delle garanzie procedurali

Il rispetto delle garanzie procedurali è un prerequisito essenziale per un processo equo. Secondo il Codice di Procedura Penale della Repubblica dell’Azerbaigian, tali garanzie includono il diritto all’assistenza legale qualificata, il diritto di esaminare gli atti del caso, il diritto di presentare ricorso contro le decisioni procedurali e il diritto a un interprete qualora l’imputato non comprenda la lingua utilizzata nel procedimento giudiziario. Il mancato rispetto di tali garanzie può comportare che il processo sia considerato iniquo e in violazione degli standard internazionali.

CONCLUSIONE

L’analisi dei materiali presentati dall’accusa evidenzia una serie di significative questioni giuridiche che richiedono un approfondito esame giurisdizionale. La difesa sottolinea la necessità di rispettare rigorosamente il principio di proporzionalità tra i fatti contestati e la loro qualificazione giuridica.

Ritengo che l’accusa non abbia considerato adeguatamente i principi fondamentali del diritto penale, tra cui l’obbligo di stabilire un nesso causale diretto tra le azioni dell’imputato e le presunte conseguenze, nonché la necessità di dimostrare l’elemento soggettivo (mens rea) di ogni specifico reato.

La responsabilità penale può sorgere solo quando il principio di responsabilità individuale è rigorosamente rispettato, quando gli atti sono qualificati secondo il principio di certezza del diritto, quando gli obblighi internazionali sono rispettati e quando le garanzie procedurali sono pienamente rispettate. Il mancato rispetto di uno qualsiasi di questi principi mette in discussione la legalità e l’equità dell’azione penale e del procedimento giudiziario.

Ritengo che un giusto processo debba fondarsi sulla precisa applicazione del diritto sostanziale e procedurale, escludendo interpretazioni arbitrarie delle azioni dell’imputato.

In qualità di consulente legale, guidato dai principi di etica professionale e dalle garanzie costituzionali del diritto alla difesa, continuerò a sostenere con coerenza la rigorosa aderenza al principio di legalità nel quadro della legislazione della Repubblica dell’Azerbaigian durante l’esame di questo caso.

La Repubblica dell’Azerbaigian, in quanto Stato governato dallo stato di diritto, ha l’opportunità di dimostrare il proprio impegno nei confronti degli standard internazionali di giustizia e di essere ricordata nella storia come una nazione che ha pienamente garantito un giusto processo in questo caso penale attraverso il rigoroso rispetto dei principi giuridici. Tale risultato rafforzerà la fiducia nel sistema giudiziario nazionale e confermerà il rispetto da parte dello Stato dei propri obblighi internazionali.

NOTA BENE: il processo farsa contro Vardanyan e altre autorità ed ex autorità della repubblica armena di Artsakh continua. Nessun diritto alla difesa è garantito, nessun osservatore esterno è ammesso nell’aula processuale, accuse e “testimonianze” sono preconfezionate. Le condanne sono certe.

L’aereo di Erdogan è atterrato la mattina del 28 maggio al nuovo aeroporto internazionale della regione di Kashatagh (Lachin), nell’Artsakh armeno occupato. Poi con il Presidente dell’Azerbaigian Aliyev ha inaugurato lo scalo.

Con questo nuovo scalo, sono ben quattro gli aeroporti in un’area di 7.000 chilometri quadrati non vengono certo costruiti per scopo di turismo ma solo per installare basi aeree militari che rappresentano una concreta minaccia per la vicina Armenia. E forse sono progettati anche in chiave anti-Iran visti gli stretti legami politici, economici e militari tra l’Azerbaigian e Israele.

Questo nuovo scalo sorge in linea d’aria a pochissima distanza dalla frontiera armena e non ha alcuna utilità civile in un’area praticamente disabitata fatte salve alcune centinaia di persone che vi si sono trasferite in cerca di miglior fortuna. Significativa l’accoglienza ricevuta dal dittatore Aliyev al suo arrivo alla scalo prima della cerimonia ufficiale allorché ad attenderlo vi era solo una quindicina di civili “festanti”.

Per capire il progetto azero basterà solo considerare il fatto che prima della conquista militare dell’Artsakh armeno, l’Azerbaigian aveva cinque scali (civili) in circa 70.000 kmq di territorio nazionale:

Baku (la capitale)

Ganja (la seconda città, 325.000 ab.) fino al 1996 aeroporto militare e utilizzato come tale durante l’ultima guerra

Yevlax (58.000 ab., ottava città)

Lankaran (50.000 ab., nona città)

Agstafa (20.000 ab. al confine con l’Armenia, reg. Tavush)

Balakan (10.000 ab. al confine con la Georgia)

Solo Baku, Ganja e Lankeran sono internazionali, ma solo quello della capitale è veramente un hub per tutto il Paese

Dopo la conquista militare gli azeri hanno costruito ben tre nuovi aeroporti nella regione del Nagorno Karabakh in aggiunta a quello di Stepanakert:

Fuzuli (2021)

Zangilan (2022, al confine con l’Armenia, 80 km a ovest di Fuzuli)

Lachin (2025, al confine con l’Armenia, 70 km a nord di Zangilan)

Non ci vengano a dire che servono a incentivare il turismo… D’altronde la presenza di Erdogan per inaugurare un piccolo aeroporto è un chiaro messaggio politico di conquista. Dopo l’inaugurazione a Lachin (Berdzor) si è tenuto un vertice Turchia-Azerbaigian-Pakistan. “Esprimiamo ancora una volta la nostra gratitudine per il sostegno politico e morale fornito al nostro Paese da Turchia e Pakistan fin dai primi giorni della guerra durata 44 giorni nel 2020“, ha affermato Aliyev.

Caso mai qualcuno non avesse ancora capito chi ha sconfitto gli armeni. L’Europa sta passivamente assistendo a questa fortificazione del nuovo Impero Ottomano preoccupata solo delle forniture di gas dal dittatore azero.

Dopo essersi trasferito a Yerevan, il presidente dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) Samvel Shahramanyan ha firmato un decreto che invalida il precedente suo decreto del 26 settembre 2023 sullo scioglimento dell’Artsakh. L’avvocato Roman Yeritsyan ne ha scritto nei giorni scorsi su Facebook.

“Cari compatrioti,
Sono sicuro che molti di voi conoscano o comprendano le motivazioni che hanno spinto il presidente dell’Artsakh Samvel Shahramanyan a emanare un decreto per sciogliere il secondo stato armeno. Alcuni immaginano anche che nessun funzionario, incluso il capo di stato, abbia l’autorità di sciogliere uno stato per decreto
.

Tuttavia, vari ambienti della società, senza nemmeno considerare il fatto che il cosiddetto decreto sullo scioglimento dell’Artsakh non è nemmeno entrato in vigore come atto giuridico, lo hanno sfruttato in vari modi, definendo Samvel Shahramanyan il presidente che scioglie l’Artsakh, ecc.

Inoltre, sulla base del contenuto del decreto, sono state presentate accuse penali contro vari individui nella RA [ovvero la Repubblica di Armenia], tra cui i capi delle comunità dell’Artsakh e i membri del consiglio degli anziani, sostenendo che lo Stato e le comunità dell’Artsakh sono stati sciolti e i poteri dei funzionari [dell’Artsakh] sono stati revocati, pertanto l’esercizio di questo o quel potere da parte loro è penalmente punibile.

Per coloro che hanno preso sul serio la questione dello scioglimento della Repubblica dell’Artsakh [(AR)] tramite decreto e per evitare ulteriori speculazioni, dopo il trasferimento a Yerevan, il presidente della Repubblica dell’Artsakh, Samvel Shahramanyan, ha emesso un altro decreto, pubblicato di seguito, con il quale il decreto sullo scioglimento dell’Artsakh, firmato il 26 settembre 2023, è stato dichiarato invalido sulla stessa piattaforma.

Samvel Shahramanyan ne ha informato le autorità della Repubblica di Armenia tramite una lettera ufficiale.

Sebbene né questo né il decreto sullo scioglimento dell’Artsakh abbiano valore legale, entrambi contraddicono la legge fondamentale dell’Artsakh e le disposizioni di altri atti giuridici aventi valore legale superiore al decreto, non sono entrati in vigore e pertanto non possono nemmeno causare alcuna conseguenza, sto comunque rendendo pubblico il decreto del presidente dell’AR n. 659-N, chiedendo a tutti di smettere di parlare dello scioglimento dell’Artsakh.

Inoltre, ricordo che l’Azerbaijan ha avuto leader di Shushi, Aghdam e altre comunità per circa 30 anni, quindi non si consideri chiusa la pagina dell’Artsakh a causa della perdita territoriale.

“Recupereremo i nostri”

Le autorità azere devono rilasciare immediatamente i cittadini armeni. Lo afferma una risoluzione del Parlamento europeo approvata il 13 marzo, con 523 voti a favore, 3 contrari e 84 astensioni.

Il documento afferma che 23 ostaggi armeni (la definizione è tratta dal testo originale) sono detenuti in Azerbaigian, tra cui ex funzionari de facto del Nagorno Karabakh (Artsakh) e prigionieri di guerra della guerra del 2020 e della successiva pulizia etnica.

Il Parlamento europeo sottolinea che queste persone sono sottoposte a processi farsa e devono affrontare accuse gravi che potrebbero portare a condanne illegali all’ergastolo.

Durante il processo, vengono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, anche tramite metodi psicoattivi proibiti. I loro diritti alla difesa indipendente, agli interpreti, agli appelli, agli incontri con i parenti e al rinvio delle udienze in tribunale per motivi di salute vengono regolarmente violati.

La risoluzione sottolinea inoltre che uno degli imputati, Ruben Vardanyan, continua il suo sciopero della fame, il che sta causando un rapido peggioramento delle sue condizioni, così come di quelle degli altri detenuti. Il Parlamento europeo invita le autorità azere a garantire i loro diritti, tra cui l’accesso alle cure mediche, e a fornire un’indagine indipendente sulle condizioni della loro detenzione.

Inoltre, il documento richiama l’attenzione sulla chiusura degli uffici della Croce Rossa e delle agenzie ONU in Azerbaigian, che è motivo di seria preoccupazione. A questo proposito, il Parlamento europeo invita la delegazione dell’UE e le ambasciate degli stati membri dell’UE nella capitale azera di Baku a monitorare regolarmente i processi e a visitare gli armeni detenuti.

Un appello separato è rivolto al Rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani.

Inoltre, il Parlamento europeo raccomanda di imporre sanzioni internazionali nei confronti di coloro che sono coinvolti in violazioni dei diritti umani, tra cui i procuratori e giudici Jamal Ramazanov, Anar Rzayev e Zeynal Agayev.

Il Parlamento europeo chiede che la Corte penale internazionale indaghi sui casi di sfollamento forzato e pulizia etnica degli armeni nel Nagorno Karabakh. Inoltre, il documento chiede la piena attuazione delle decisioni della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anche sulla protezione di tutti i detenuti catturati a seguito della guerra del 2020 e delle successive operazioni militari.

Il Parlamento europeo ha nuovamente chiesto la sospensione del memorandum d’intesa UE-Azerbaigian su un partenariato strategico nel campo dell’energia, adottato nel 2022.

Inoltre, i deputati insistono sul fatto che qualsiasi futuro accordo di partenariato tra UE e Azerbaigian sia subordinato al rilascio di tutti i prigionieri politici, al miglioramento della situazione dei diritti umani nel paese e al fatto che l’Azerbaigian non ritardi indebitamente la firma di un accordo di pace con l’Armenia e rispetti i diritti degli armeni del Nagorno-Karabakh, compreso il diritto al ritorno.

Il Ministero degli Affari Esteri dell’Armenia ha rilasciato una dichiarazione in merito ai “processi” dell’ex dirigenza militare e politica dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) e di diversi altri armeni tenuti prigionieri a Baku, la capitale dell’Azerbaigian. La dichiarazione recita quanto segue:

“Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Armenia continua a richiamare l’attenzione della comunità internazionale, in particolare dei partner interessati alla pace nella regione e alla valorizzazione dei principi umanitari, sulla questione del rilascio dei prigionieri di guerra armeni, degli ostaggi e di altri individui detenuti in Azerbaigian. Mette inoltre in luce i processi inscenati contro alcuni di loro, che vengono condotti con gravi violazioni procedurali e chiari segni di tortura.

C’è profonda preoccupazione per la pubblicazione di foto e video dei “processi” di 23 prigionieri di guerra armeni, ostaggi e altri detenuti, nonché per i resoconti allarmanti dei loro avvocati in merito alla coercizione, alla tortura e all’evidente deterioramento della loro salute, tra cui quella di Ruben Vardanyan, attualmente in sciopero della fame.

Questo modello di condotta è ulteriormente corroborato dalle preoccupazioni espresse dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, dai casi documentati di tortura di prigionieri di guerra armeni segnalati da Human Rights Watch e da altre organizzazioni, nonché dalla persistente elusione da parte dell’Azerbaigian della cooperazione coordinata con gli organismi internazionali, tra cui il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Il governo dell’Armenia continua a ricevere segnalazioni dell’uso di misure proibite contro prigionieri di guerra armeni, ostaggi e altri detenuti.

Prigionieri di guerra armeni, ostaggi e altri detenuti sono trattenuti illegalmente in Azerbaigian in palese disprezzo dei suoi impegni e obblighi internazionali. La loro detenzione e persecuzione costituiscono una grave violazione del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani fondamentali. Un semplice elenco dei documenti multilaterali internazionali pertinenti include la Dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione di Ginevra IV (1949) e la Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

È evidente che le autorità azere stanno utilizzando questo spettacolo giudiziario come strumento di pressione politica sulla Repubblica di Armenia e di manipolazione all’interno della società, data la delicatezza della questione per ogni membro della famiglia e per l’intera società.

È particolarmente degno di nota il fatto che questi processi si svolgano in un contesto in cui continua la propaganda di odio etnico contro gli armeni nei media azeri.

Al di sopra di tutto e prima di tutto, la risoluzione completa di qualsiasi conflitto include la preparazione dei popoli alla pace, mentre il prolungamento aggiuntivo e artificiale di questioni umanitarie irrisolte non serve a questo scopo, per usare un eufemismo, e riduce solo la probabilità di tale risoluzione. Questa comprensione è stata ripetutamente sottolineata durante le discussioni con l’Azerbaigian, così come su varie piattaforme internazionali da partner e organizzazioni. Ci aspettiamo che questa comprensione prevalga anche nelle percezioni delle autorità azere rispetto al continuo alimentare l’ostilità e i calcoli a breve termine.

In assenza di una risoluzione definitiva della questione, l’Armenia non può quindi rimanere indifferente o non coinvolta e continuerà a sollevare la questione su diverse piattaforme e in diversi formati, aspettandosi soluzioni e progressi positivi”.

Il 18 febbraio 2025, i media statali azeri hanno riportato i dettagli della terza udienza del processo all’ex Ministro dello Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan.

Ruben Vardanyan, illegalmente detenuto e processato dal regime azero di Aliyev, ha rilasciato un breve comunicato trasmesso dalla sua famiglia dopo la breve telefonata settimanale del 19 febbraio 2025. Vardanyan ha annunciato uno sciopero della fame in segno di protesta contro il processo “giudiziario” inscenato contro di lui a Baku. Vardanyan è stato il Ministro di Stato (figura equivalente a quella del Primo Ministro) della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dal novembre 2022 al febbraio 2023, Dal 27 settembre 2023 è incarcerato in Azerbaigian.
Questo il testo del suo appello:

«Ieri ho deciso di protestare, dichiarando uno sciopero della fame, contro la farsa giudiziaria, che si sta svolgendo contro di me. Questa è la mia risposta alle palesi violazioni del diritto procedurale azero e del diritto internazionale. Ciò che sta accadendo in aula non può essere definito un processo: è uno spettacolo politico, in cui il mio diritto ad un’equa udienza viene palesemente ignorato.
Nel mese scorso, il mio avvocato locale, Avraam Berman, e io abbiamo cercato di chiarire alla Corte che è fondamentale per me che questo cosiddetto “processo” sia obiettivo piuttosto che una messa in scena. Purtroppo, è stato chiaro fin dall’inizio che questo caso riguarda la mia persecuzione in quanto Armeno, semplicemente per aver esercitato i miei diritti alla libertà di opinione ed espressione e alla partecipazione politica ai sensi del diritto internazionale, che mirano a proteggere i diritti della popolazione Armeno-Cristiana dell’Artsakh.
Nonostante l’Azerbajgian sia uno Stato parte della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, questo processo è stato anche costellato di gravi abusi del giusto processo:


1. Vengo processato in un tribunale militare illegale e non in una corte civile.

2. Non mi è stato concesso pieno accesso all’atto di accusa e alle cosiddette “prove” contro di me: 422 volumi in azero, per i quali mi sono stati concessi solo 21 giorni lavorativi per esaminarli, che sono stati classificati come “segreti di Stato”.

3. L’”atto di accusa” che mi è stato presentato non è un documento ufficiale, in quanto non riporta le firme dei miei accusatori. Anche la traduzione di questo cosiddetto documento contiene errori grossolani, rendendo impossibile per me comprendere le accuse contro di me.

4. Mi è stato negato il diritto alla difesa: il mio avvocato locale, Avraam Berman, ha avuto accesso limitato ai materiali, i suoi documenti sono stati confiscati ed è stato sottoposto a pressioni psicologiche. Inoltre, al mio team legale internazionale è stato impedito di comunicare con me o di farmi visita e non ha avuto accesso a nessuno dei materiali del caso.

5. Non mi è stato permesso di convocare testimoni della difesa o di presentare denunce in merito alle violazioni commesse durante le indagini e il processo.

6. Tutte le udienze sono state segrete e chiuse al pubblico. I giornalisti stranieri e i rappresentanti internazionali indipendenti sono stati esclusi dall’aula di tribunale.

Questo cosiddetto “processo” non è solo contro di me. È un tentativo di criminalizzare tutti gli Armeni: tutti coloro che hanno sostenuto e dimostrato compassione verso l’Artsakh e il suo popolo, e tutti coloro che hanno mostrato compassione. Questo è un attacco ad un’intera nazione. Mi rifiuto di partecipare a questa farsa. Faccio appello ai leader mondiali, alle organizzazioni internazionali, ai difensori dei diritti umani e ai membri della stampa:
Questo processo richiede la vostra attenzione. L’imitazione della giustizia è un’approvazione dell’illegalità e dell’ingiustizia. Il silenzio di fronte a tali violazioni apre la strada a future tragedie, alimentando l’ostilità e una nuova ondata di odio. Solo attraverso la verità, la legge e l’umanità, la pace e la giustizia possono essere garantite nella regione.
Ruben Vardanyan».