Il principio di autodeterminazione dei popoli

Il dibattito giuridico (ma anche politico) sui limiti, e la conseguente contrapposizione, tra principio di autodeterminazione dei popoli e principio di integrità territoriale di uno stato non ha mai conosciuto momenti di pausa atteso che la cronaca internazionale riporta quasi quotidianamente le vicende di contenziosi che non cessano neppure dopo il raggiungimento di un accordo diplomatico, di scontri tra opposte fazioni o di conflittualità latenti pronte a sfociare in nuovi conflitti armati.

Tale dicotomia si è andata sviluppando (rectius, è emersa nella sua complessità giuridica) allorché dopo la fine della seconda guerra mondiale, il consesso internazionale sotto la nuova Organizzazione delle Nazioni Unite si è trovato di fronte a numerosi problemi di ridefinizione degli assetti territoriali partendo proprio da  quella Carta delle Nazioni Unite che all’art. 1, par.2, del Capitolo I individuava come fine del nuovo ente la necessità di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli.

Un concetto richiamato ripetutamente, ad esempio nella “Dichiarazione relativa alle relazioni amichevoli ed alla cooperazione fra stati” emanata dall’ONU nel 1970 dove espressamente si fa riferimento al “principio di uguaglianza dei diritti di tutti i popoli e del loro diritto all’autodeterminazione” nonché al divieto di ricorrere all’uso della forza come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali, o nell’ “Atto finale della Conferenza sulla cooperazione e sicurezza in Europa”, CSCE, rilasciato ad Helsinki nel 1975 che contiene (punto VIII del paragrafo a) del primo titolo) l’enunciazione del principio di eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli, peraltro preceduto (punto IV) dal riferimento al principio di integrità territoriale

Il confine tra l’inizio del diritto di un determinato soggetto e la cessazione di un diritto di segno contrario da parte di un altro soggetto è sempre stato labile, sottoposto più alle convenienze politiche internazionali del singolo caso specifico che al rispetto di regole giuridiche certe. E spesso, come si è visto, i documenti internazionali sono frutto di delicate e spericolate operazioni di equilibrismo politico che partoriscono atti suscettibili di molteplici interpretazioni e di rado in grado di chiarire in modo inequivocabile i termini giuridici di una questione.

Così che il tentativo di inquadrare una fattispecie entro i confini di un percorso certo si è scontrato con le dinamiche assai più variabili e volubili della diplomazia mondiale al punto che situazioni pressoché analoghe sono state valutate e gestite adoperando metri di giudizio completamente diversi fra loro.

A prescindere da ogni valutazione giuridica che sta alla base del diritto all’esistenza della repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh, focalizziamo l’attenzione sulle peculiarità che contraddistinguono il NK e ne certificano la sua specifica individualità statale:

Fattori primari: l’attuale Repubblica del Nagorno Karabakh insiste su un territorio ad alta specificità sia da un punto di vista geografico (si tratta di una regione montagnosa nettamente separata dalla piana azera e facente parte dell’altopiano armeno), sia analizzando la sua storia e la sua cultura che nulla hanno a che fare con quella dell’Azerbaigian. La volontà popolare del popolo karabakho è stata ripetutamente espressa sin dagli anni Venti con ripetute votazioni dei Congressi del popolo e da ultimo con il referendum del 1991.  La circostanza che non abbia mai fatto parte “ufficialmente” della nuova repubblica dell’Azerbaigian rafforza il diritto del Karabakh a veder riconosciuto la propria indipendenza.

Fattori distintivi gli abitanti del NK sono armeni, di lingua armena, e professano la religione cristiana mentre gli azeri sono turcofoni ed islamici.

Fattori correlati: la Repubblica del Nagorno Karabakh è a tutti gli effetti uno stato con proprie leggi e proprie istituzioni; appare alquanto difficile immaginare che – a prescindere da qualsiasi altra valutazione di natura politica – tutto l’impianto statale possa essere dismesso per ritornare ad essere un territorio sotto controllo azero. Si tratto di uno Stato de facto da venticinque anni.