Centinaia di uomini, forse addirittura mille come sostiene il governatore del Syunik, fatti entrare nel territorio dell’Armenia mentre il mondo era distratto dalla crisi israelo-palestinese. Continue provocazioni e minacce verso gli armeni.

A sette mesi dalla fine della guerra in Nagorno Karabakh, è ufficialmente partita la seconda fase della strategia turco-azera per annientare il nemico armeno.

Come hanno recentemente sostenuto alcuni esperti militari, Aliyev non commetterà lo stesso errore fatto dagli armeni del 1994. Allora, pur avendone la possibilità, loro si fermarono e non approfittarono della situazione politica in Azerbaigian e di un esercito nemico in rotta. Prevalse la “ragion di Stato”, accettarono le richieste di Mosca e temettero per un possibile intervento di Ankara nel conflitto. Insomma, avrebbero potuto schiacciare la serpe moribonda e non lo fecero permettendo al regime azero di riprendere vita, di riorganizzarsi, di acquistare armi per miliardi di dollari, di vendicarsi per l’onta subìta trenta anni prima.

Ora, il dittatore non vuole appunto rifare lo stesso errore compiuto dai suoi (benevoli) nemici. L’Armenia in questo momento è politicamente instabile, pandemia e guerra hanno minato la società e il bilancio nazionale. L’Artsakh è ridotto a un fazzoletto di terra, l’esercito è in crisi profonda, la guerra ha falcidiato migliaia di vite ma anche preziosi armamenti.

Aliyev sa che è questo il momento di affondare il colpo.

Nella mappa che riproduciamo sono evidenziate in rosso le aree che in questo momento sono occupate o sono oggetto di richiesta da parte degli azeri. Non è difficile scorgere un piano ben preciso in tutto questo. Vediamo nel dettaglio:

  • TIGRANASHEN: già exclave azera in epoca sovietica è attraversata dalla strada che collega il nord a l sud dell’Armenia. Controllarla significherebbe spezzare in due il Paese isolando Vayots Dzor e Syunik
  • TAVUSH: villaggi ed exclave azere nella regione nord-orientale dell’Armenia. Il loro controllo eliminerebbe uno dei tre collegamenti con la Georgia; inoltre permetterebbe agli azeri di proteggere meglio il proprio territorio in un tratto di confine con minori asperità montuose ma anche di avere facile accesso al territorio armeno per trasferire armi e truppe.
  • LAGO SEV: pochi chilometri a nord di Goris ovvero la possibilità di controllare dall’alto il corridoio di Lachin che in questo momento è l’unico passaggio per l’Artsakh. Ciò significa poter avere una porta di accesso privilegiata per incursioni in Armenia proveniendo dai territori dell’Artsakh ora sotto controllo azero
  • VARDENIS: la regione di Karvachar in Artsakh è ora sotto controllo azero. Buona parte della strada costruita alcuni anni fa che porta al passo Sotk (miniera) e a Vardenis farebbe la stessa fine. Anche in questo caso si tratta di una via d’accesso privilegiata in caso di invasione del territorio armeno

Aggiungiamo che gli azeri si sono posizionati inoltre posizionati in aree elevate (come il monte e Ishkhanasar a 3500 m slm) che consentono un controllo a vasto raggio del territorio.

La strategia è dunque chiara. In questi giorni sta circolando la bozza di un possibile accordo che il premier Pashinyan starebbe per firmare con la controparte azera e che di fatto prevederebbe la cessione di queste (in tutto o in parte) zone. Non sappiamo se tale documento sia ufficiale o meno, se vi sia in previsione un accordo scritto o meno ma ci auguriamo vivamente che l’Armenia non compia questo suicidio politico e militare che pagherebbe a caro prezzo in futuro. Tra l’altro in questo momento non viene fatto alcun cenno alle exclave armene in territorio azero.

Aliyev ha recentemente dichiarato che è disponibile a buone relazioni con il vicino a patto che questo riconosca il confine azero (ovvero ceda tutti i territori che l’Azerbaigian reclama) e rinunci a qualsiasi pretesa sull’Artsakh (di fatto regalando 130.000 armeni alla dittatura azera). Sono rivendicazioni folli, ovviamente.

Ma non possiamo dimenticare che alti funzionari governativi di Baku nei mesi passati avevano anticipato la necessità che l’Azerbaigian creasse una zona cuscinetto lungo il confine con l’Armenia, portasse la guerra oltre frontiera e occupasse il Syunik. Il tutto a giugno. Siamo quasi a fine maggio…

PROPOSTA DI RISOLUZIONE ( RC-B9-0277/2021) con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno per un dibattito sui casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto ai sensi dell’articolo 144 del Regolamento sui prigionieri di guerra all’indomani del più recente conflitto tra Armenia e Azerbaigian.

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sul Caucaso meridionale e sulla politica europea di vicinato,

– vista la sua risoluzione del 20 gennaio 2021 sull’attuazione della politica estera e di sicurezza comune – relazione annuale 2020,

– vista la raccomandazione del Parlamento europeo del 19 giugno 2020 al Consiglio, alla Commissione e al vicepresidente della Commissione / alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sul partenariato orientale, in vista del Vertice di giugno 2020,

– vista la lettera di 120 membri del Parlamento europeo a Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, e Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, sui prigionieri di guerra armeni detenuti dall’Azerbaigian del 3 maggio,

– vista la dichiarazione dell’alto rappresentante Josep Borrell sulla situazione al confine tra Armenia e Azerbaigian del 14 maggio 2021,

– vista la dichiarazione dell’UE sui prigionieri del recente conflitto tra Armenia e Azerbaigian alla 1402a riunione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 28 aprile 2021,

– vista la dichiarazione dell’Alto rappresentante a nome dell’Unione europea sul Nagorno Karabakh del 19 novembre 2020,

– viste le dichiarazioni dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE del 13 aprile e del 5 maggio,

– vista la lettera inviata il 20 aprile 2021 dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović al presidente Aliyev sul conflitto del Nagorno-Karabakh,

– viste le dichiarazioni congiunte del presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, l’eurodeputata Marina Kaljurand, la relatrice permanente del Parlamento europeo sull’Armenia, l’eurodeputata Andrey Kovatchev e la relatrice permanente del Parlamento europeo sull’Azerbaigian, l’eurodeputata Željana Zovko di 13 Novembre 2020, 2 febbraio 2021 e 23 marzo 2021,

– visto il rapporto di Human Rights Watch “Azerbaigian: prigionieri di guerra armeni maltrattati in custodia” del 19 marzo 2021,

– visto l’accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Armenia, dall’altra,

– viste le priorità del partenariato tra l’UE e l’Azerbaigian approvate dal Consiglio di cooperazione il 28 settembre 2018,

– visto l’articolo 144 del Regolamento;

A. considerando che l’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 tra Azerbaigian, Armenia e Russia ha posto fine alle ostilità nel Nagorno-Karabakh condotte dal 27 settembre al 9 novembre; considerando che la guerra ha provocato la morte di migliaia di militari di entrambe le parti e ha causato grandi sofferenze ai civili provocando centinaia di tragiche vittime civili e decine di migliaia di sfollati;

B. considerando che il paragrafo 8 dell’accordo di cessate il fuoco prevede che “venga effettuato lo scambio di prigionieri di guerra, ostaggi e altri detenuti, nonché i resti delle vittime”; considerando che le parti interessate hanno convenuto che il ritorno dei prigionieri sarebbe stato effettuato in base al principio “tutti in cambio di tutti”;

C. considerando che l’Armenia ha rilasciato tutti i prigionieri della recente guerra e che non risulta che nessun prigioniero di guerra o civile azero sia detenuto in Armenia o nel Nagorno-Karabakh;

D. considerando che l’Azerbaigian detiene ancora prigionieri di guerra armeni e ha presumibilmente fatto nuovi prigionieri, compresi i civili, dopo la fine ufficiale delle ostilità; considerando che è difficile stabilire con precisione il numero di prigionieri e prigionieri rimasti, a causa dell’elevato numero di persone scomparse e della mancanza di cooperazione da parte dell’Azerbaigian, ma includerebbe 69 persone la cui prigionia ammette l’Azerbaigian, 112 persone di cui l’Azerbaigian non ha fornito alcuna informazione e 61 persone la cui prigionia l’Azerbaigian nega categoricamente, ma su cui esistono prove concrete del contrario;

E. considerando che il rifiuto delle autorità azere di liberare incondizionatamente tutti i prigionieri di guerra e prigionieri è una grave violazione del diritto umanitario internazionale, un mancato rispetto dell’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 ed è anche in profonda contraddizione con le affermazioni dell’Azerbaigian passare alla normalizzazione e alla riconciliazione;

F. considerando che l’Azerbaigian non ha risposto alla richiesta di informazioni obbligatorie della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle circostanze della cattura, le condizioni in cui sono detenuti i prigionieri di guerra, le loro visite mediche o cure con il supporto di certificati medici, effettuata dalla Corte ai sensi dell’articolo 39 nel contesto di procedimenti legali avviati su richiesta urgente dell’Armenia [1];

G. considerando che Human Rights Watch ha riferito il 19 marzo che le forze armate e di sicurezza azerbaigiane hanno abusato dei prigionieri di guerra armeni, sottoponendoli a trattamenti crudeli e degradanti e torture quando sono stati catturati, durante il loro trasferimento o durante la detenzione in varie detenzioni strutture; considerando che le forze azere hanno fatto ricorso alla violenza per detenere civili e li hanno sottoposti a torture e condizioni di detenzione disumane e degradanti, che hanno provocato la morte di almeno due detenuti nella prigionia azera; considerando che le forze azere hanno arrestato questi civili anche se non vi erano prove che rappresentassero una minaccia alla sicurezza per giustificare la loro detenzione ai sensi del diritto internazionale umanitario;

H. considerando che la creazione di un “Parco dei trofei militari” a Baku va contro la responsabilità delle autorità dell’Azerbaigian di sanare le ferite inflitte dal conflitto armato e di garantire che i cittadini sotto il governo dell’Azerbaigian siano trattati con rispetto;

I. considerando che, secondo quanto riferito, su Internet e sui social media sono circolati video che hanno evidenziato casi di abusi e maltrattamenti di prigionieri da parte di membri delle forze armate di entrambe le parti; considerando che non vi sono indicazioni che le autorità azere o armene abbiano condotto indagini rapide, pubbliche ed efficaci su questi incidenti o che le eventuali indagini abbiano portato a procedimenti penali;

J. considerando che durante le ostilità da settembre a novembre 2020 le forze militari armene e azerbaigiane hanno effettuato attacchi missilistici illegalmente indiscriminati su aree popolate, provocando vittime civili e danneggiando case, aziende e scuole e contribuendo allo sfollamento di massa; considerando che entrambe le parti hanno utilizzato anche munizioni a grappolo, vietate a causa del loro effetto indiscriminato diffuso e del pericolo di lunga durata sui civili, nelle aree popolate, provocando vittime civili;

K. considerando che milioni di pezzi di ordigni inesplosi e mine sono sparsi nel Nagorno Karabakh e nei suoi dintorni; considerando che tutte le parti dovrebbero fornire mappe disponibili dei campi minati per consentire ai civili di tornare nelle ex regioni di conflitto;

L. considerando che il 12 maggio le truppe dell’Azerbaigian sono entrate nel territorio dell’Armenia, il che costituisce una violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia e del diritto internazionale;

M. considerando che il 16 maggio l’Azerbaigian ha iniziato esercitazioni militari nella Repubblica autonoma di Nakhchivan che hanno coinvolto fino a 15.000 militari e attrezzature militari pesanti;

N. considerando che il 17 maggio la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di ulteriori 10 milioni di euro in aiuti umanitari per aiutare i civili colpiti dal recente conflitto nel Nagorno Karabakh e nei dintorni, portando l’assistenza dell’UE alle persone bisognose sin dall’inizio delle ostilità nel settembre 2020, a oltre 17 milioni di euro;

1. accoglie con favore l’accordo su un cessate il fuoco completo nel Nagorno-Karabakh e nei dintorni concordato da Armenia, Azerbaigian e Russia il 9 novembre 2020; rileva positivamente che il cessate il fuoco è stato generalmente rispettato, a parte incidenti deplorevoli ma isolati; condanna l’ingresso di truppe azere all’interno del territorio dell’Armenia, in violazione del diritto internazionale; deplora le vaste esercitazioni militari dell’Azerbaigian che hanno ulteriormente intensificato le tensioni tra i due paesi; spera che questo accordo salverà le vite sia dei civili che del personale militare e aprirà prospettive più rosee per una soluzione pacifica di questo conflitto mortale;

2. deplora che durante i 25 anni di negoziati non ci siano stati risultati; deplora l’uso della forza militare intesa a modificare lo status quo; condanna fermamente l’uccisione di civili e la distruzione di strutture civili e luoghi di culto, condanna l’uso riferito di munizioni a grappolo nel conflitto;

3. deplora che l’esito dell’accordo di cessate il fuoco abbia portato al dispiegamento delle cosiddette forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh, che sulla base delle esperienze di altri paesi del partenariato orientale serve solo gli interessi della Russia;

4. condanna il sostegno fornito all’Azerbaigian dalla Turchia, che ha solo incoraggiato l’Azerbaigian a utilizzare la forza militare invece di negoziati pacifici; condanna, inoltre la partecipazione al conflitto armato di mercenari siriani, portati dalla Turchia;

5. rileva che il conflitto ha destabilizzato l’ambiente politico armeno, che dopo le elezioni parlamentari del 2018 ha intrapreso un percorso di riforme democratiche e filoeuropee, e ha aumentato l’affidabilità dell’Armenia dalla Russia, nota per la sua attiva opposizione alla democratizzazione dei partner orientali dell’UE;

6. Sottolinea che resta ancora da trovare una soluzione duratura e che il processo per raggiungere la pace e determinare il futuro status giuridico del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere guidato dai copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE e fondato sui loro Principi fondamentali del 2009, in linea con norme e principi del diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki del 1975 dell’OSCE;

7. si rammarica che gli Stati membri dell’UE che partecipano al gruppo di Minsk dell’OSCE non fossero presenti quando è stato mediato l’accordo di cessate il fuoco, così come l’UE non ha dato prova di leadership nel portare al tavolo dei negoziati due dei suoi preziosi partner orientali;

8. esprime preoccupazione per la ridotta attività del Gruppo di Minsk dell’OSCE e per la capacità di servire al suo scopo; chiede un impegno attivo dell’UE e dei suoi Stati membri per rafforzare il processo di pace e riconciliazione tra Armenia e Azerbaigian, applicando una leadership simile dimostrata in Georgia nel mediare la prolungata crisi politica;

9. esprime preoccupazione per la decisione del parlamento separatista del Nagorno-Karabakh di fare del russo la seconda lingua ufficiale della regione, insieme alla lingua armena;

10. invita entrambe le parti a completare in modo completo e rapido il processo di scambio di tutti i prigionieri, detenuti e resti umani ea rispettare i loro obblighi per garantire un trattamento umano dei detenuti;

11. Invita l’Azerbaigian a rispettare i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e dell’accordo di cessate il fuoco e di rilasciare senza indugio tutti i rimanenti prigionieri di guerra e le persone detenute, indipendentemente dalle circostanze del loro arresto e ad astenersi da detenzioni arbitrarie in futuro; esorta il governo dell’Azerbaigian a fornire gli elenchi di tutte le persone in cattività in Azerbaigian detenute in relazione al conflitto armato o alle sue conseguenze ea fornire informazioni sulla loro ubicazione e sullo stato di salute;

12. esprime la sua grave preoccupazione per le numerose accuse di abusi sui prigionieri della guerra del Nagorno-Karabakh, in particolare come documentato nel rapporto di Human Rights Watch “Azerbaigian: prigionieri di guerra armeni maltrattati in custodia”; ricorda ai governi dell’Azerbaigian e dell’Armenia i loro obblighi internazionali di condurre indagini indipendenti, rapide, pubbliche ed efficaci e perseguire tutte le accuse credibili di violazioni delle Convenzioni di Ginevra e violazioni del divieto di tortura; sottolinea che deve essere garantito il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario e il divieto di tortura e altri trattamenti degradanti o inumani;

13. chiede al governo dell’Azerbaigian di astenersi da qualsiasi violenza, molestia, tortura e maltrattamento dei prigionieri armeni e di rispettare pienamente le disposizioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani; invita inoltre a rispettare le garanzie legali, a garantire il controllo giudiziario sulle detenzioni, a consentire l’accesso di avvocati, medici e difensori dei diritti umani indipendenti ai detenuti e a facilitare la comunicazione con i parenti;

14. invita l’Azerbaigian a fornire le informazioni in sospeso richieste dalla Corte europea dei diritti dell’uomo;

15. Invita il governo dell’Azerbaigian a garantire l’accesso libero e senza ostacoli ai prigionieri per le organizzazioni internazionali competenti, come Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT);

16. Sottolinea l’urgente necessità di garantire che l’assistenza umanitaria possa raggiungere coloro che ne hanno bisogno, che sia garantita la sicurezza della popolazione armena e del suo patrimonio culturale nel Nagorno-Karabakh, che gli ordigni inesplosi e le mine siano rimossi, ad esempio. attraverso la fornitura di mappe dei campi minati e affinché gli sfollati interni e i rifugiati possano tornare ai loro precedenti luoghi di residenza;

17. disapprova l’apertura del “Parco dei trofei militari” a Baku, che mostra l’equipaggiamento militare armeno preso come trofeo durante la guerra e manichini caricaturali di soldati armeni; considera tale esposizione umiliante e disumanizzante, che accresce la violenta retorica e ostacola gli sforzi di riconciliazione tanto necessari;

18. insiste fermamente affinché entrambe le parti si astengano da qualsiasi azione che distrugga l’eredità armena in Azerbaigian e l’eredità azera in Armenia; deplora la distruzione del cimitero armeno a Julfa, nell’exclave di Nakhchivan dell’Azerbaigian, e lo smantellamento della cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi da parte dell’Azerbaigian, tra l’altro; deplora la distruzione di moschee e cimiteri da parte delle forze armene negli ultimi 30 anni; ritiene inaccettabili le segnalazioni di distruzione o manipolazione di siti culturali e religiosi armeni da parte delle autorità azere; insiste affinché non si verifichino interventi sui siti del patrimonio armeno prima di una missione di valutazione dell’UNESCO e che gli esperti del patrimonio culturale armeno e internazionale siano consultati prima e strettamente coinvolti durante gli interventi sui siti del patrimonio culturale armeno; chiede il pieno ripristino di questi e altri siti demoliti e di un maggiore coinvolgimento della comunità internazionale, in particolare dell’UNESCO, nella protezione del patrimonio mondiale nella regione;

19. sottolinea che sono necessari rinnovati sforzi per creare fiducia tra i due paesi, tra cui la revoca delle restrizioni all’accesso al Nagorno-Karabakh, anche per i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie internazionali, lo sblocco dei trasporti e delle linee di comunicazione in tutta la regione e la promozione dei contatti diretti e della cooperazione tra le comunità colpite dal conflitto, nonché altre misure di rafforzamento della fiducia tra le persone;

20. invita l’UE e gli Stati membri a esercitare pressioni sull’Azerbaigian e l’Armenia affinché assumano una posizione ferma contro qualsiasi retorica o azioni che portino a innescare animosità o odio e, invece, fornire pieno sostegno e sostegno politico agli sforzi volti a promuovere la pace e la riconciliazione tra le popolazioni colpite dal conflitto, in particolare tenendo conto del benessere delle future generazioni di Azerbaigian e Armenia;

21. invita le parti a riprendere quanto prima il dialogo politico ad alto livello sotto gli auspici dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE;

22. invita l’Azerbaigian e l’Armenia a impegnarsi immediatamente a non utilizzare munizioni a grappolo e ad adottare le misure necessarie per aderire senza ulteriori indugi alla Convenzione sulle munizioni a grappolo, che ne vieta completamente l’uso;

23. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Vicepresidente della Commissione / Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio, alla Commissione, agli Stati membri dell’UE, al Consiglio d’Europa, all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, l’OSCE, l’Armenia e l’Azerbaigian “.

[traduzione redazionale]

NOTA: tutti i deputati italiani che hanno partecipato alla votazione si sono espressi a favore della mozione.

RISULTATO:

votanti 688

favorevoli 607

contrari 27

astenuti 54

Dalla scorsa settimana, come noto, è prepotentemente salita la tensione alla frontiera tra Armenia e Azerbaigian a causa della penetrazione in territorio armeno di alcune centinaia di soldati azeri.

Le trattative diplomatiche intercorse hanno avuto finora parziale esito: pare che i militari di Baku si siano ritirati dalla zona intorno al lago Sev ma occupino ancora porzioni di territorio della repubblica di Armenia nella regione di Gegharkunik.

Per l’Azerbaigian, l’azione militare deriva dalla necessità di definire i confini di Stato eredità della esperienza sovietica. Però, invece di concordare soluzioni con la controparte armena, la via scelta da Baku è finora stata quella di prendere possesso di territori poco presidiati dai soldati avversari sfruttando l’andamento tortuoso della linea di demarcazione e le asperità montuose del territorio. Queste operazioni hanno il duplice scopo di guadagnare sempre più terreno, privare i villaggi armeni di confine dei pascoli e delle riserve idriche, imporre ulteriori condizioni nelle trattative negoziali (ad esempio trattenendo ancora i duecento prigionieri catturati dopo la firma dell’accordo di tregua del 9 novembre). Una politica altamente aggressiva e provocatoria che sfrutta il momento di debolezza politica della controparte.

Sulle problematiche di confine tra i due Stati avevamo già scritto nei mesi passati. Con la vittoria nella guerra e il doloroso accordo di tregua, l’Azerbaigian è entrato in possesso di territori che si trovano a ridosso della repubblica di Armenia e che prima erano amministrati dalla repubblica di Artsakh.

Giova precisare che in epoca sovietica non esistevano confini tra le repubbliche e ci si spostava liberamente senza alcun controllo. La linea di frontiera era meramente teorica, non aveva alcun valore sostanziale. Alcuni villaggi a prevalenza etnica erano stati inclusi all’interno delle rispettive repubbliche solo per salvaguardare l’identità nazionale dei residenti. Erano così sorte exclave dall’una e dall’altra parte che, ripetiamo, avevano solo un valore formale. Lo stesso confine invece di seguire l’andamento orografico privilegiava a volte solo la composizione demografica dei villaggi.

Quando l’Unione sovietica cessò la sua esistenza, riaffiorò il problema della separazione dei due nuovi Stati (la repubblica di Armenia e quella di Azerbaigian) sorti dalle ceneri delle precedenti repubbliche socialiste sotto controllo di Mosca. La questione durò tuttavia poco perché dall’estate 1991 all’inizio delle ostilità nella prima guerra del Nagorno Karabakh passarono solo pochi mesi.

Gli armeni ebbero la meglio sugli aggressori e riuscirono a prendere il controllo anche sulle regioni confinanti con l’Armenia. Di fatto, tutto il fianco orientale (nella parte centrale e meridionale) era privo di pericoli in quanto occupato dagli armeni da una parte e dell’altra.

Terminata l’ultima guerra, come detto, la repubblica di Armenia si è trovata nel giro di poche settimane a dover fare i conti con il pericoloso vicino azero e con le sue arroganti pretese. Suonano ridicole le giustificazioni di Baku: all’inizio gli azeri hanno dichiarato che stavano posizionando le loro truppe sulla base delle linee di confine esistenti (ma portando a comprova mappe false), poi hanno cominciato a fare immediati lavori di ingegneria per creare posizioni avanzate. Da ultimo il ministro degli Esteri Bayramov ha dichiarato che “l’Azerbaigian ha preso misure per rafforzare il confine con l’Armenia, tra cui il dispiegamento delle forze di frontiera azerbaigiane” ed è arrivato a sottolineare “l’approccio costruttivo del suo Paese”.

L’Armenia si è appellata al trattato CSTO che impone l’aiuto militare alla nazione aggredita, Francia e Stati Uniti hanno invitato l’Azerbaigian a ritirare le proprie truppe, la Russia ha spostato uomini e mezzi nel sud dell’Armenia. Le trattative sono in corso ma ancora non sono approdate a un risultato definitivo.

Ancora una volta Aliyev gioca con il fuoco. Ennesimo atto di prepotenza, ennesima provocazione, ennesima minaccia.

Mentre il dittatore azero Aliyev si trastulla a Shushi con il festival “tradizionale” (due edizioni oltre trenta anni fa…) di musica azera, circa 250 suoi soldati hanno invaso il territorio dell’Armenia, uno Stato internazionalmente riconosciuto.

Hanno superato i confini per oltre 3,5 km e occupato un’area intorno al piccolo lago Sev rivendicandone il pieno possesso. Contemporaneamente, hanno superato la frontiera entrando anche nella regione di Gegharkunik in direzione di Vardenis.

A nulla fino a oggi sono valsi i tentativi dei mediatori internazionali, del comando russo delle forze di pace e dei funzionari del CSTO di far ritornare i soldati dell’Azerbaigian alle originarie posizioni.

Il regime di Aliyev ha altresì annunciato lo scorso 12 maggio (con un preavviso minimo che viola le convenzioni internazionali) nuove imponenti manovre militari dal 16 al 20 maggio con oltre 15.000 uomini, forze terrestri e aeree, droni da combattimento e carri armati.

A sei mesi dalla fine della guerra scatenata contro la piccola repubblica de facto del Nagorno Karabakh (Artsakh) si tratta dell’ennesima provocazione e dell’ennesimo tentativo di minare ogni tentativo di raggiungere una pacificazione definitiva nella regione.

Questa nuova avventura bellica dell’Azerbaigian non deve però sorprendere. Ripetutamente Aliyev, spalleggiato dal compare Erdogan, ha pronunciato violente minacce contro gli armeni e la repubblica di Armenia reclamando come proprio diritto il possesso del Syunik (Armenia meridionale) e della zona intorno al lago Sevan. Suoi funzionari governativi (da ultimo l’ombudsman dell’Azerbaigian) hanno dichiarato che l’Azerbaigian deve creare una zona cuscinetto all’interno dell’Armenia (uno Stato sovrano, membro del Consiglio d’Europa!), hanno preannunciato l’occupazione prossima di Stepanakert (capitale dell’Artsakh) e, con le buone o le maniere forti, delle aree rivendicate in Armenia.

Mentre il regime di Baku tiene ancora prigionieri circa 200 soldati e civili armeni catturati dopo l’entrata in vigore della tregua utilizzati come ostaggi, mentre allestisce il macabro “parco della vittoria” a Baku, nuovi venti di guerra stanno dunque spirando nel Caucaso meridionale.

Dopo tanta accondiscendenza e tanta attenzione agli interessi economici è forse arrivato il momento di far sentire la voce forte dell’Europa (e dell’Italia) contro questa ennesima arrogante provocazione dell’Azerbaigian.

Chi tace d’ora in avanti sarà etichettato alla stregua di un complice di questo folle tiranno!

#STOPALIYEV!

Si moltiplicano gli appelli internazionali affinchè l’Azerbaigian liberi le decine di prigionieri armeni ancora detenuti nelle sue carceri dalla fine del conflitto. Come abbiamo già avuto modo di scrivere in passato, il regime di Aliyev utilizza militari (e civili) catturati durante e perfino dopo il conflitto come strumento di ricatto per alzare la posta al tavolo delle trattative negoziali su qualsiasi tema venga discusso.

Decine, forse anche duecento, uomini e donne armeni sono ostaggio del regime azero. Quersta perdurante violazione delle regole del diritto internazionale e delle convenzioni tra Stati sta tuttavia provocando un aumento della pressione da parte dell’opinione pubblica internazionale che provoca ripetuti inviti a Baku per il rilascio degli armeni.

Dopo l’appello firmato da 120 deputati del Parlamento europeo affinchè le istituzioni comunitarie facciano pressione sull’Azerbaigian, sono arrivate nelle scorse ore le dichiarazioni di Francia e Canada che hanno commentato il rilascio di tre (soli) armeni.

Chiediamo il rilascio rapido di tutti i detenuti armeni ancora detenuti. Il rilascio di ieri da parte dell’Azerbaigian di tre detenuti armeni è un passo nella giusta direzione“, ha scritto su Twitter il ministero degli Esteri francese. Dello stesso tenore anche la dichiarazione proveniente dal nord America.

Dal canto loro, i copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Igor Popov della Federazione Russa, Stephane Visconti della Francia e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America) hanno rilasciato lo scorso 5 maggio la seguente dichiarazione congiunta: ”I copresidenti accolgono con favore il rilascio da parte dell’Azerbaigian dei detenuti armeni Robert Vardanyan, Samvel Shukhyan e Seryan Tamrazyan e invitano entrambe le parti a completare in modo completo e rapido il processo di scambio di tutti i prigionieri, detenuti e resti [umani, NdR], e a rispettare i loro obblighi di garantire il trattamento umano dei detenuti. Ricordando la loro dichiarazione del 13 aprile, i copresidenti esortano le parti a scambiare tutti i dati necessari per condurre uno sminamento efficace delle regioni di conflitto e ad abolire le restrizioni all’accesso al Nagorno-Karabakh, anche per i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie internazionali. I copresidenti incoraggiano le parti ad adottare misure concrete per creare un’atmosfera di fiducia reciproca che favorisca una pace duratura, affrontando le restanti aree di preoccupazione delineate nella dichiarazione dei copresidenti del 13 aprile. Ciò include la ripresa del dialogo politico ad alto livello sotto gli auspici dei copresidenti il ​​prima possibile”, si legge nella dichiarazione.

E’ arrivato il momento che anche le istituzioni italiane facciano sentire la loro voce con il governo azero e impongano allo stesso la restituzione dei prigionieri armeni. Compriamo gas e petrolio da Baku per svariati miliardi di dollari all’anno e come “clienti speciali” forse possiamo anche avere il coraggio (oltre che la dignità) di imporre al regime di Aliyev un minimo rispetto dei diritti umani!

(nella foto tratta dal sito Haqquin.az, manichini di soldati armeni prigionieri esposti nel macabro “Parco della vittoria” allestiuto a Baku)

Vito Rosario Petrocelli, tarantino ma eletto in Basilicata, non è un senatore qualsiasi; ricopre, infatti, il ruolo di Presidente della Commissione Affari esteri a palazzo Madama e come tale dovrebbe muoversi con prudenza attesa la sua carica istituzionale.

Tuttavia, il suo sviscerato e certamente disinteressato amore per l’Azerbaigian lo ha spinto da qualche tempo a questa parte a intervenire con dichiarazioni sempre a senso unico.

In occasione degli scontri sul confine Armenia-Azerbaigian del luglio scorso, ad esempio non indugiò a schierarsi dalla parte di Baku e – pur senza avere ovviamente alcuna contezza di cosa stesse realmente accadendo laggiù – non esitò a rivolgere “un appello al rispetto del cessate il fuoco e delle quattro risoluzioni delle Nazioni Unite del 1993 che, a difesa del diritto internazionale e dell’integrità nazionale dell’Azerbaijan, chiedono il ritiro delle truppe armene filo-separatiste dai distretti occupati dalle forze armene e dai separatisti del Nagorno-Karabakh”. Dichiarazione quanto meno inopportuna considerato che gli incidenti non si stavano verificando sulla linea di contatto dell’Artsakh (Nagorno Karabakh).

All’attacco azero contro l’Artsakh nello scorso mese di settembre sono seguite le parole del senatore che, senza alcun indugio o prudenza vista la guerra in atto, dichiarò che “l’Italia supporta inequivocabilmente l’integrità territoriale dell’Azerbaigian”. Stante la delicatezza della situazione, in qualità della sua posizione di Presidente, avrebbe potuto e dovuto a nostro modesto avviso mantenere un profilo più basso ed equilibrato.

Non sappiamo quando e come sia scoppiato questo amore per l’Azerbaigian. Però su web leggiamo che il senatore, assieme ai suoi colleghi di partito (M5S) Castaldi (da non confondere con il vicepresidente del Parlamento europeo Castaldo) e Cioffi si reca in missione a Baku nel 2015 per spiegare le ragioni del NO del Movimento al progetto TAP che deve far affluire gas dal Caspio fino alle coste del Salento. Sul tema la posizione del Movimento è sempre stata chiara, dalla parte delle popolazioni locali che contestavano il progetto, e ribadita anche nel corso dell’ultima campagna elettorale del 2018.

Non sappiamo quale sia stata la sostanza dei colloqui a Baku. L’unica considerazione che possiamo fare è che i tre diventano molto frequentatori degli eventi organizzati dall’ambasciata azera in Italia e non mancano ripetute dichiarazioni di solidarietà all’Azerbaigian. Cioffi, divenuto sottosegretario allo sviluppo economico, entra a far parte dell’associazione interparlamentare di amicizia con l’Azerbaigian, Castaldi si spende con ripetute visite per promuovere sulle rive del Caspio l’industria vastese e rilancia appelli al ritiro degli armeni dai “territori occupati” senza null’altro aggiungere sulla risoluzione del contenzioso.

Ma ritorniamo al nostro Petrocelli. Come detto, in quanto Presidente della Commissione Affari esteri del Senato dovrebbe mantenere, sempre a nostro sommesso parere, un profilo più equilibrato. Invece si lascia andare a ripetute affettuose manifestazioni di vicinanza con il regime del dittatore Aliyev.

L’ultima in ordine di tempo è un twitt di pochi giorni fa a commento di quello dell’ambasciatore azero Ahmadzada sulla firma di un accordo fra il Comune di Matera e un’istituzione azera: “ORA E SEMPRE!” commenta Petrocelli con tanto di bandierine italiana e azera intervallate da due mani che si stringono. Sarebbe bastato un like, oppure un semplice messaggio di congratulazione ma il nostro ha voluto far vedere che lui, sì davvero ama l’Azerbaigian.

E rinnova il suo affetto poco dopo postando altro twitt da Aghdam nel quale si chiede “perché tanta distruzione e abbandono se l’Armenia considerava questa regione parte del suo territorio?” dimostrando una buona dose di ignoranza sulle trentennali vicende del contenzioso sul Nagorno Karabakh.

E ancora nel corso della sua visita a Ganja arriva a dichiarare che“sono venuto qui per vedere con i miei occhi cosa è successo in quei 44 giorni” (dimenticandosi di fare un salto dall’altra parte per vedere cosa hanno rappresentato 44 giorni di bombardamento con cluster bomb su Stepanakert e le altre città dell’Artsakh…) aggiungendo anche che “voglio sottolineare che appoggio le ragioni dell’Azerbaigian ha per questa guerra”  e augurandosi che “l’Azerbaigian prospererà per molto tempo e che sarà garantita la pace

Non una parola sull’osceno “parco dei trionfi di guerra” inaugurato proprio in quei giorni a Baku, ovviamente. Non una parola sul fatto che la guerra sia stata scatenata dagli azeri in piena pandemia, non una parola sulle morti e le distruzioni dall’altra parte.

Ora, nessuno toglie il diritto a un politico di scegliersi la parte con la quale schierarsi; a differenza di quanto accade in Azerbaigian, qui da noi c’è democrazia e ognuno è libero di dire e fare ciò che meglio crede.

Però una carica istituzionale della NOSTRA repubblica italiana dovrebbe assumere nel suo operato, in qualunque questione di politica internazionale, un atteggiamo più equilibrato e prudente che rifugga da univoche manifestazioni di parzialità che mal si conciliano con il ruolo rappresentativo che ricopre e che potrebbero anche nuocere al nostro Paese per le infinite sfumature politiche che si possono determinare.

A Petrocelli, come agli altri parlamentari filo azeri, rinnoviamo sempre la stessa domanda: perché?

[PS: questo non è un post politico e non vogliamo che passi il messaggio che il M5S sia a favore dell’Azerbaigian; ci sono infatti nel Movimento molti esponenti che hanno un pensiero molto diverso da quello di Petrocelli. Così come la lobby filo Aliyev conta seguaci in tutti i partiti. Tra gli altri, nella Lega segnaliamo Boldi e Lucidi, Marino di Italia Viva, Rizzotti di Forza Italia, Rosato del Pd, Urso di Fratelli d’Italia, oltre al pentastellato Ferrara. Non nutriamo alcun dubbio che la loro frequentazione con l’Azerbaigian sia dettata dall’intento di promuovere e migliorare le relazioni economiche fra i due Paesi, ci domandiamo solo per quale motivo la loro visione della storia della regione caucasica sia a senso unico. Si può essere buoni promotori delle aziende italiane e al tempo stesso mantenere un profilo politico più equilibrato]  

Uno dei recenti twitt di Petrucelli 

Nelle scorse settimane era stata annunciata l’imminente apertura di un nuovo parco a Baku. In un Paese normale si poteva pensare a una vasta area verde oppure a un parco giochi come ce ne sono tanti in Italia (da Gardaland a Mirabilandia, tanto per citarne due famosi).

Invece nella capitale dell’Azerbaigian il dittatore Aliyev ha fatto allestire un parco dedicato alla “apoteosi della guerra” dello scorso autunno contro l’Artsakh (Nagorno Karabakh).

Nell’area espositiva sono presenti mezzi militari sottratti alle forze armate armene, alcune decine di elmetti tolti ai nemici uccisi in battaglia, loro effetti personali e persino manichini raffiguranti i militari armeni in pose degradanti e in violazione della dignità umana.

È evidente dai video e dalle foto del “Parco” pubblicati che la mostra è stata progettata per aumentare e incoraggiare l’odio e l’animosità nei confronti della popolazione dell’Armenia e dell’Artsakh. Con cinismo si umilia pubblicamente la memoria delle vittime della guerra, i diritti delle persone scomparse e dei prigionieri, la dignità delle loro famiglie.

Le autorità azere hanno anche mostrato scene di prigionieri armeni nel “parco” aperto. Questo passo è particolarmente riprovevole tenuto anche conto che in Azerbaigian, prigionieri di guerra e civili continuano a essere detenuti illegalmente, in grave violazione dei requisiti internazionali dei diritti umani.

È ovvio per le autorità azere che questo delicato problema provoca dolore e sofferenza mentale alle famiglie delle persone scomparse e dei prigionieri, nonché alla società armena in generale.

L’apertura di un tale “parco” conferma quindi l’odio istituzionale verso gli armeni in Azerbaigian e l’esistenza di una politica statale di propaganda. Le conseguenze di questa politica armenofoba sono le atrocità e la tortura, le uccisioni di militari armeni e civili da parte delle forze armate azere nella guerra di settembre-novembre del 2020, nella guerra dell’aprile 2016 o in altri attacchi armati azerbaigiani contro popolo armeno.

In tanta manifestazione di odio, ci scappa tuttavia un sorriso: fra i “reperti” della mostra spicca il famoso tavolo azero che sarebbe stato centrato da un missile armeno e sarebbe rimasto miracolosamente intatto. Una delle più clamorose fake news della propaganda di guerra del regime di Aliyev.

Nella serata di ieri si è diffusa la notizia che un aereo proveniente da Baku sarebbe atterrato all’aeroporto di Erebuni (Yerevan) con un certo numero di prigionieri di guerra armeni. C’è chi parlava addirittura di cinquanta.

Una folla di familiari si è radunata nei pressi dello scalo. Si diceva che l‘aereo con il generale Muradov (che è il comandante delle forze di pace russe in Artsakh) sarebbe atterrato nell’arco di un’ora (il volo da Baku a Yerevan si copre in meno di mezz’ora) e un folto gruppo di prigionieri di guerra armeni sarebbe tornato a casa. Anche il portavoce del primo ministro, Mane Gevorgyan, e l’ufficio del vice-premier Tigran Avinyan avevano confermato questa notizia mentre tv e stampa assiepavano l’uscita dell’aeroporto militare della capitale armena e alcuni politici già rilasciavano dichiarazioni ufficiali.

Ma l’attesa è andata delusa: dall’aereo non sono scesi soldati armeni bensì una delegazione turco-azera che sta lavorando al progetto di costruzione di una strada nel sud dell’Armenia per collegare il Nakhichevan al territorio ora occupato dall’Azerbaigian.

Inevitabile la delusione e le polemiche che sono seguite. Pare che all’origine di tutto vi sia stato una incomprensione a livello politico in Armenia: la fonte dell’annuncio anticipato è stata il vicepremier, in assenza del premier. Si dice che il portavoce Mane Gevorgyan abbia chiesto ad Avinyan informazioni sul ritorno dei prigionieri e, ricevendo una risposta positiva, si sia affrettato a raccontare la buona notizia ai giornalisti. Il comportamento quanto meno superficiale (per non dire di peggio) di Avinyan ha messo l’intera squadra al governo in una posizione molto imbarazzante.

Ma c’è un altro interrogativo che viene posto in queste ore: per quale motivo il generale Muradov, è andato a Baku se i prigionieri non sono tornati? Forse aveva avuto anticipazioni anche dagli azeri che poi si sono rimangiati la parola?

Oggi Bayramov, ministro degli Esteri del regime di Aliyev, ha dichiarato che la “questione prigionieri” è chiusa, ovvero che i 62 (almeno) soldati armeni che sono detenuti in Azerbaigian non verranno rilasciati in quanto considerati “terroristi e sabotatori”.

La ragione dell’atteggiamento dell’Azerbaigian sulla questione è facilmente comprensibile: i militari armeni sono stati catturati dopo la tregua del 9 novembre in una vallata che, incredibilmente, era rimasta isolata e sotto controllo armeno. In virtù dell’accordo di tregua quel territorio sarebbe dovuto rimanere sotto giurisdizione dell’Artsakh; quando gli azeri si sono accorti che i villaggi di Hin Tagher e Khtzaber hanno organizzato un’operazione di “pulizia” uccidendo alcuni soldati e imprigionando gli altri.

Dichiararli “terroristi e sabotatori” (cioè infiltrati dopo la fine della guerra) e quindi non consegnarli è l’unico modo per il regime azero per nascondere le proprie responsabilità nella violazione della tregua; e anche per continuare a ricattare l’Armenia aumentando le richieste su vari temi.

Dunque, l’areo arrivato da Baku non riportava armeni pronti a riabbracciare le famiglie dopo mesi di prigionia ma funzionari turchi e azeri venuti in Armenia con Muradov per individuare la strada in costruzione nell’area di Meghri e per studiare l’area.

Così, per l’accordo del 9 novembre vengono rapidamente rispettati tutti i punti che sono vantaggiosi per l’Azerbaigian, mentre i punti riguardanti l’Armenia non sono presi in considerazione, i prigionieri sono chiamati “criminali” e rimangono detenuti nelle carceri del dittatore azero.

Guerre, genocidi, crimini contro l’umanità sono conseguenza della mancata condanna internazionale di analoghi atti precedenti. Nell’aprile 2016, in violazione dell’Accordo del 1994 sulla completa cessazione del fuoco e delle ostilità, l’Azerbaigian, impiegando tutto il suo arsenale militare offensivo, ha lanciato un’aggressione su larga scala contro la Repubblica dell’Artsakh, prendendo di mira le posizioni dell’Esercito di Difesa, il civile infrastrutture e insediamenti di confine.

La mancata condanna internazionale, la politica dell’equidistanza che nei fatti finisce con il premiare l’aggressore e gli garantisce impunità, ha poi prodotto nel settembre 2020 una nuova guerra. Se cinque anni fa, le organizzazioni internazionali e gli Stati fossero stati unanimi nella condanna dell’aggressione azera, allora forse non ci sarebbe stata una nuova guerra, altri lutti altre distruzioni; forse la via del dialogo sarebbe stat l’unica percorsa.

Il ministero degli Esteridell’ Artsakh lo ha sottolinetato in una dichiarazione rilasciata sulla guerra dell’aprile 2016:

“Durante la guerra di aprile, l’Azerbaigian ha commesso numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in particolare uccisioni brutali, torture e trattamenti disumani di prigionieri di guerra armeni e civili, che sono stati registrati e documentati.

Il fatto che la comunità internazionale non abbia condannato l’Azerbaigian per i suoi crimini di guerra ha ulteriormente intensificato le aspirazioni militanti di quel paese negli anni successivi, il cui culmine è diventato la guerra su larga scala scatenata dall’Azerbaigian contro l’Artsakh il 27 settembre 2020, con il sostegno della Turchia e la partecipazione dei terroristi internazionali.

La comunità internazionale dovrebbe dare una forte valutazione alla politica aggressiva in corso dell’Azerbaigian, al suo estremo disprezzo per il diritto internazionale e ai suoi tentativi di respingere i negoziati sulla soluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh.

L’unità del popolo armeno e le imprese dei nostri eroi durante la guerra di aprile rimarranno per sempre nella nostra storia e nella memoria delle generazioni ”, si legge anche nella dichiarazione del Ministero degli Affari Esteri Artsakh.

L’ombudsman dell’Armenia, Armen Tatoyan, ha rilasciato un comunicato riguardo il problema della demarcazione dei confini tra i due Paesi a seguito del recente conflitto. In conseguenza dell’accordo di tregua del 9 novembre, alcuni territori della repubblica dell’Artsakh sono stati ceduti all’Azerbaigian (regione di Shahumian e Kashatagh) e questo ha comprtato che le forze armate azerbaigiane si sono insediate a stretto contatto con l’Armenia.

La dislocazione degli azeri è infatti avvenuta sulla base di un supposta demarcazione di epoca sovietica che tuttavia Tatoyan contesta per i seguenti motivi:

1) Giustificare gli schieramenti azeri nelle vicinanze delle province di Syunik e Gegharkunig e sulle strade Syunik, affidandosi alle frontiere sovietiche dell’Armenia o dell’Azerbaigian degli anni ’40 ’70, ‘ 80 (ad esempio, 1975-1976 , 1985, 1942), o altre mappe e dati GPS è irricevibile. Come Stati sovrani, non c’è mai stata una delimitazione o una delimitazione tra Armenia e Azerbaigian, e non è stato firmato alcun documento internazionale su questo argomento.

2) Quello che è successo in Unione Sovietica non è stata la determinazione dei confini statali tra due stati sovrani, Armenia e Azerbaigian, ma la divisione amministrativa dei confini tra due soggetti all’interno di uno stato sovrano – l’URSS. Le mappe sovietiche sono proprio queste. Il caso in questione è il motivo per cui le mappe degli anni ‘ 20 non sono riferite al processo di confine in questi giorni.

3) Il processo di determinazione dei confini statali della Repubblica d’Armenia non può essere incrociato con la divisione amministrativo-territoriale. Si tratta di fenomeni completamente diversi tra loro;

4) Le frontiere e le cartine della Prima Repubblica di Armenia non possono essere ignorate nel processo di determinazione dei confini statali della Repubblica d’Armenia oggi. Ciò richiede l’imperativo di una reale garanzia dei diritti dei cittadini, popolazione della Repubblica d’Armenia;

5) Gli schieramenti odierni da parte dell’Azerbaigian sono stati compiuti in gravi violazioni di norme internazionali, compresi i diritti umani, sotto la reale minaccia della guerra e dell’uso della forza e nel contesto della politica genocida aperta azera;

6) Il processo di determinazione dei confini statali non può compromettere la normale vita della popolazione frontaliera o ledere diritti e legittimi interessi del cittadino dello Stato, compreso il diritto alla vita e alla sicurezza fisica, il vivere sicuro dei bambini, la coltivazione di uno la propria terra, e il pieno godimento delle risorse idriche, dei pascoli e dei prati;

Questi punti sono tra i fattori chiave che garantiscono i diritti e la vita normale dei cittadini di RA e della sua popolazione frontaliera.